Mons. Fellay – II
Cerchiamo di essere fermi con la mente, con modi gentili. La mollezza della mente rende sciocchi, sentimentali.
Un errore non è mai adeguatamente confutato fino a quando non
viene sradicato. In altre parole, per superare veramente un errore è
necessario dimostrare non solo che si tratta di un errore, ma perché
è un errore. Prendiamo, con il “Commento” della scorsa settimana, la
Dichiarazione del 28 giugno del Superiore Generale della Fraternità San
Pio X, che guarda al pio sacerdozio della Fraternità come alla soluzione
per risolvere la crisi della Fede nella Chiesa. In esso si commette
l’errore di mettere il carro del sacerdozio davanti ai buoi della Fede.
Ora, questo errore ha le sue radici nella sottovalutazione quasi
universale della mente, presente nella nostra epoca, insieme alla
sopravvalutazione della volontà, le quali resultano, anche
inconsapevolmente, nel disprezzo per la dottrina (fatta eccezione per la
dottrina dei Beatles di “Tutto il necessario è luv”).
Già verso l’inizio della Dichiarazione si
trova un accenno di questo errore, quando in essa si dice che il principio centrale condannato nella Pascendi,
la condanna magistrale di Pio X del modernismo, è quello
dell’”indipendenza”. Non è così. Il principio costantemente condannato
lì come radice del modernismo è invece l’agnosticismo, la dottrina
secondo la quale la mente non può conoscere alcunché di ciò che sta
dietro a quello che appare ai sensi. E’ su questa misconoscenza che si
basa l’indipendenza della mente dal suo oggetto, seguita a sua volta
dalla dichiarazione di indipendenza della volontà da tutto ciò da cui
non vuole dipendere. E’ nella natura delle cose che se la volontà può
dichiarare la propria indipendenza è perché prima c’è stato il suicidio
della mente. Così, quando la Dichiarazione pone al cuore della Pascendi
l’indipendenza prima dell’agnosticismo, questo è segno che questa
Dichiarazione è parte del problema della Chiesa piuttosto che della sua
soluzione.
E a sua volta, da dove viene questo declassamento della
mente e della dottrina? Principalmente da Lutero che ha definito
“prostituta” la ragione umana, e che più di chiunque altro ha avviato la
Cristianità lungo la via del sentimentalismo che l’ha portata
all’odierna auto-distruzione. Ma questo per ben 500 anni? Sì, perché vi
fu una resistenza naturale e cattolica lungo tale via. Ma Lutero aveva
ragione quando disse al Papa che alla fine egli l’avrebbe distrutto –
“Pestis eram vivus, functus tua mors ero, Papa” – La tua piaga fui
quando ero vivo, ma una volta morto, o Papa, sarò la tua morte.
A
questo radicale e gigantesco errore del declassamento della mente e
della dottrina possono essere attribuiti due sub-errori dell’autore
della Dichiarazione del 28 giugno: in primo luogo, la sua incomprensione
di Mons. Lefebvre, e in secondo luogo la sua eccessiva comprensione di
Madame Cornaz (il cui pseudonimo era Rossinière).
Com
e molti
di noi seminaristi a Ecône, quando a dirigere c’era lo stesso Mons.
Lefebvre, Bernard Fellay fu giustamente incantato e stregato
dall’eccezionale esempio che stava sotto i nostri occhi di ciò che un
sacerdote cattolico può e deve essere. Ma l’asse portante del suo
sacerdozio e della sua lotta eroica per la Fede non era la sua pietà –
molti modernisti sono “pii” – ma la sua dottrina, la dottrina che fa
l’eterno sacerdozio profondamente allergico al liberalismo e al
modernismo. Né Monsignore ebbe mai a dire che la sua Fraternità avrebbe
salvato la Chiesa. Piuttosto diceva che i suoi sacerdoti erano a
salvaguardia degli inestimabili tesori della Chiesa, in vista di giorni
migliori.
La persona che ebbe a dire che i sacerdoti della
Fraternità avrebbero salvato la Chiesa fu Madame Cornaz, una madre di
famiglia di Losanna, in Svizzera, la cui vita è trascorsa per la maggior
parte del XX secolo, e che tra il 1928 e il 1969 ricevette delle
comunicazioni,
che
secondo lei venivano dal Cielo, su come le coppie sposate dovrebbero
santificare il sacerdozio (!). Le comunicazioni ripresero di nuovo nel
1995 (!), quando incontrò un sacerdote della Fraternità che lei
convinse, e tramite lui Mons. Fellay, che i sacerdoti della FSSPX erano
destinati dalla Provvidenza a salvare la Chiesa con la diffusione delle
sue “Case di Cristo Sacerdote”. Con tutta la sua autorità il Superiore
Generale sostenne questo progetto, ma la reazione negativa dei sacerdoti
della Fraternità portò rapidamente alla sua pubblica rinuncia. Ma nel
suo intimo, quella visione mistica del futuro esaltante della Fraternità
persiste in lui? Sembra del tutto possibile. Come Martin Luther King,
il Superiore Generale “has a dream” – ha un sogno.
Kyrie eleison.
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