sabato 23 febbraio 2013

Per un errore di latino le dimissioni di Benedetto XVI sono invalide ?

 

 

Errori di latino nella Dichiarazione di Rinuncia del Sommo Pontefice

Interrompiamo il silenzio che ci siamo imposti dal 3 febbraio per presentare alla meditazione di chi di dovere una questione che ci pare CAPITALE: può un Papa come Benedetto XVI infilare due errori grossolani di latino nella dichiarazione di annuncio della sua Rinunzia senza accorgersene? o con questo gesto Benedetto XVI ci vuol far capire che la mano che ha preparato il testo non è la sua? è poi possibile che nessuno abbia ancora fatto notare che il nuovo Papa potrà sempre essere ricattato con la minaccia della rivelazione, vera o falsa che sia, che le dimissioni di Benedetto XVI non sono state date liberamente e dunque invalide e che quindi l'elezione di un nuovo Papa sarebbe di conseguenza invalida e lui diverrebbe un "antipapa"? Una cosa del genere nessuno l'ha ancora detta, però così è.

Ecco chi ha segnalato gli errori: http://www.tecnicadellascuola.it/index.php?id=43480&action=view

Sia stato il turbamento o sia stata la fretta, resta il disagio per le imperfezioni di un testo destinato a passare alla Storia. Il lapsus della 29.ma ora nel testo dell’11 Febbraio 2013 ha qualcosa di magico


“Fratres carissimi Non solum propter tres canonizationes ad hoc Consistorium vos convocavi, sed etiam ut vobis decisionem magni momenti pro Ecclesiae vitae communicem. (…)
Bene conscius ponderis huius actus plena libertate declaro me ministerio Episcopi Romae, Successoris Sancti Petri, mihi per manus Cardinalium die 19 aprilis MMV commissum renuntiare ita ut a die 28 februarii MMXIII, hora 29 (sic), sedes Romae, sedes Sancti Petri vacet et Conclave ad eligendum novum Summum Pontificem ab his quibus competit convocandum esse”. (Fonte Web)

mercoledì 20 febbraio 2013

BENEDETTO XVI DOVREBBE RITIRARE LE SUE DIMISSIONI


PERCHÉ PAPA RATZINGER-BENEDETTO XVI

DOVREBBE RITIRARE LE SUE DIMISSIONI:

NON È ANCORA IL TEMPO DI UN NUOVO PAPA

PERCHÉ SAREBBE QUELLO DI UN ANTIPAPA




di Enrico Maria Radaelli

1. LE DIMISSIONI

L’11 febbraio 2013, festa della Santa Vergine di Lourdes, il mondo ha ascoltato impietrito il Comunicato con cui è stato annunciato che Papa Joseph Ratzinger-Benedetto XVI ha dato le dimissioni, con effetto il giorno 28 dello stesso mese, dal suo altissimo Trono di Vicario di Cristo, di Sommo Romano Pontefice, di Vescovo di Roma e del mondo.
Le motivazioni adombrerebbero un sentimento di riconoscimento razionale e ponderato di insufficienza della persona, ormai molto avanti negli anni, impossibilitata ad affrontare i doveri cui è chiamato un Pontefice “del giorno d’oggi”, ossia davanti al carico immenso, sempre più oneroso, oramai davvero soverchiante, dell’altissimo ufficio.

Quel che qui si vuole esprimere potrebbe contrastare in qualche misura o anche totalmente il punto di vista di persone religiose di diversa sensibilità da quella di chi scrive, ma mi si permetta di esporre il mio convincimento prendendolo quale vuol essere e non come forse nella foga del discorso potrebbe apparire: una del tutto possibile congettura, un’ipotesi di lavoro; certo: ragionevolmente convinta, adeguatamente argomentata – si crede – logicamente e scritturalmente, che non vuole avere alcuno scatto di perentorietà se non quello di sollecitare il tempo a fermarsi almeno qualche attimo, così da avere per un giorno, quasi, il sole fermo, e così non permettere ciò che, nella prospettiva qui da me aperta – l’irreparabile, appunto – davvero avvenga.

In un lunedì di ordinario concistoro, divenuto improvvisamente fatidico, la cattolicità resta frastornata, inebetita da un annuncio inatteso, da una sonorità di tuono che quasi la pietrifica: “Il Papa si dimette”. La notizia avvolge il mondo in un baleno, e subito lo rinserra come in unica pietra.

2. L’ELEZIONE DI PIETRO. A COSA? ALLA CROCE DI CRISTO

Il Papa si dimette. Si dimette?! Come: “Si dimette”? E la madre di famiglia? e la luna? è caduta anche la luna? perché non si dimette la madre di famiglia? perché non cade la luna?
Come fa il Papa a ‘dimettersi’?

Infatti la carica ricoperta da un Papa è carica dove il sacrificio è natura sua indistruttibile e assoluta conditio a priori a ogni altra considerazione: « “Simone di Giovanni, mi ami tu più
di costoro?”. Gli rispose:Certo, Signore, tu lo sai che ti amo”. Gli disse: “Pasci i miei agnelli”. Gli disse di nuovo: “Simone di Giovanni, mi ami?”. Gli rispose: “Certo, Signore, tu lo sai che ti amo”. Gli disse: “Pasci le mie pecorelle”. Gli disse per la terza volta: “Simone di Giovanni, mi ami?”. Pietro rimase addolorato che per la terza volta gli dicesse: Mi ami?, e gli disse: “Signore, tu sai tutto; tu sai che ti amo”. Gli rispose GESÙ: “Pasci le mie pecorelle. In verità, in verità ti dico: quando eri più giovane ti cingevi la veste da solo, e andavi dove volevi; ma quando sarai vecchio tenderai le tue mani, e un altro ti cingerà la veste e ti porterà dove tu non vuoi”. » (Gv 21, 15-8).


La croce è lo status di ogni cristiano: Cristo, crocevia tra Dio e gli uomini, Imago Dell’Immagine di Dio per rappresentare dai Cieli Dio agli uomini e dalla terra gli uomini a Dio; è il modello esemplare a ogni suo seguace. Non c’è seguace di Cristo, non c’è “cristiano” cui la croce possa essere alleggerita, né tantomeno tolta: a san Paolo, esemplarmente, che ben tre volte supplicò il Signore di sollevarlo dai tormenti, Cristo rispose: « Ti basta la mia grazia. La mia potenza infatti si manifesta pienamente nella [tua] debolezza » (2 Cor 12, 9). E se si
sale al Monte degli Ulivi, si sentirà ancora l’eco delle decise, coraggiose parole di obbedienza e sottomissione del divino Agonizzante: « Padre mio, se questo calice non può passare da me
senza che io lo beva, sia fatta la tua volontà » (Mt 26, 42).

Conseguenze: ribellarsi al proprio status, rigettare una grazia ricevuta, parrebbe per un cristiano, da san Paolo in giù – per non dire da Cristo in giù –, colpa (grave) contro la virtù
della speranza, contro la grazia e contro il valore soprannaturale dell’accettazione della propria condizione umana, tanto più grave se la condizione ricopre ruoli in sacris, come è la condizione, di tutte la più eminente, di Papa.



3. LA CROCE DEI PAPI NELLA STORIA

Non mi avvalgo delle centinaia di Pontefici che accettarono fino allo stremo il durissimo incarico: a decine li troviamo, nei secoli più terrificanti e bui della storia, eletti al Sacro Soglio
magari già vecchi di anni oltre ogni dire – e spesso, maliziosamente, eletti proprio in quanto vecchi e acciaccati oltre ogni dire –, e Papi che ciò accettarono spesso ben sapendo della
malizia con cui si approfittava della loro canizie.
Chi non ha letto nei libri di storia dei Papi che gli eletti dopo Papa Gregorio X, furono tutti di breve, di brevissima durata, perché nominati con la machiavellica intenzione che per la loro età o la loro salute o entrambe le cose, sul Sacro Soglio restassero l’espace d’un matin, così da creare una situazione insostenibile e poi prenderla ancor meglio in pugno?

Non mi avvalgo delle centinaia di Papi che eroicamente resistettero davanti ai soprusi più sfacciati, alle angherie più ribalde, ai tormenti più atroci: querce indomite, spesso però dal fisico di fuscelli e di men che fuscelli, macerati poi di sovente anche da lunghi digiuni e da vere penitenze (allora digiuni e penitenze si comandavano e si facevano), la Chiesa offre boschi interi di forti Papi tanto ben radicati nell’amore a Cristo e nella fede che di tale amore è la sostanza più interna e inflessibile: queste robustissime querce, come Pietre son rimaste tutte al loro posto malgrado la violenza dei tormenti soffiasse sopra di esse e tutt’attorno – e certo anche nei loro cuori di carne, ben tremebondi com’erano per ciò che sapevano essi di essere se non avessero anche saputo che era il Signore a comandarli dov’erano –, cercando di spazzarle via come pagliuzze e anche abbruciarle.

Non mi avvalgo poi delle decine e decine di Papi propriamente e materialmente ‘martiri’, sarebbe troppo facile: il loro sangue si è sparso a fiumi per almeno tre secoli sulla rena del primo Cristianesimo davanti a plebi e imperatori che sghignazzando li avrebbero anche volentieri calpestati pur di annientare in loro il loro vero nemico, Cristo GESÙ: essi non si sottrassero al martirio, né al carcere durissimo, né ai lavori forzati, ma tutto assunsero nella loro intrepida ma anche trepidissima carne.

« “Simone di Giovanni, mi ami tu?” “Certo, Signore, tu lo sai che ti amo”. “Pasci i miei agnelli”. ». Che è a dire: “Simone di Giovanni, vuoi vincolarti a me con il vincolo più forte della morte?” “Sì, Signore, lo voglio”. “Governa ciò che è mio”.
Neanche la morte può recidere un vincolo tre volte più forte della morte come è questo vincolo, questo specialissimo vincolo. Non c’è un vincolo tra Cielo e Terra, tra Verità e
umanità, più solido e più indistruttibile di questo vincolo.


Dunque non mi avvalgo della storia. Ma è del Cristo che mi avvalgo. La storia nulla è, se non le si riconosce l’intima sua qualità di rivestire, di ricoprire, quasi di nascondere, un’essenza, la quale essenza però, di suo, le sfugge, le è superiore, e la governa: i Papi, molti, moltissimi Papi si sono sacrificati fino a dare la vita, e non solo col sangue; molti, la maggioranza straripante, si sono interamente regalati all’amore totale e totalizzante per il loro Cristo e per il loro gregge, il quale è loro perché è del loro Cristo. La storia dei Papi è stracolma di esempi straordinari di immolazione sull’altare della fede e dell’amore per il loro GESÙ. L’essenza rivestita dalla storia, immobile e sovrastorica, è l’amore divino che l’ha generata, che da Dio fluisce ma pure che a Dio ritorna attraverso l’immolazione dei suoi adoratori e seguaci.

Molti, non tutti, dicevo, sono i Papi ‘donatori di sé’: molti, e non tutti, perché la storia, schiava del diavolo, mille volte cerca di sottrarsi all’amore potente ma delicato di Cristo, e viene strattonata con le unghie e con i denti dal vile menzognero, malgrado l’amore del Cristo sia mille volte più ragionevole e diecimila volte più persuasivo delle insignificanti suggestioni del feroce e astutissimo suo imitatore.


4. PIETRO E IL PRIMO TENTATIVO DI DIMISSIONI DALLA CROCE

Sull’Appia antica, all’incirca all’incrocio con la via Ardeatina, ai tempi della prima persecuzione di Nerone, gli Atti di Pietro, pur apocrifi, narrano comunque di un Pietro fuggiasco, che, impaurito, terrorizzato dalla ferocia neroniana scatenata come fuoco contro la nuova setta dei Cristiani, temendo di presto perdere la vita, corre sulla strada che porta a Brindisi, per poi lì imbarcarsi verso Israele, verso Ierusalem, ma si imbatte in GESÙ, che cammina in direzione contraria, verso l’Urbe: « Quo vadis, Domine? », « Dove vai, Signore?», stupefatto gli dice. E GESÙ: « Vado a morire al posto tuo, Simone ».

Notare: “Simone”, non “Pietro”. Il fuggiasco non è più degno di portare il nome caricatogli dal Cristo, Cefa, Pietra, Roccia, ‘L’Infallibile certezza di altissima Verità’. Il pavido egoista e molto umano Simone, che certo avrebbe ricevuto la più totale comprensione dai de Bortoli, dai Galli della Loggia, dai Magris, dai Mancuso, dai Mauro, dai Melloni, dagli Scalfari, dai liberali insomma di tutto il mondo dentro e fuori la Chiesa, quasi il suo sia « per il bene della Chiesa » un gesto di grande libertà e di ardente coraggio, « un gesto profetico», come sussiegosamente esclamano persino i laicisti più spinti, si trova nudo nel suo antico nome di pescatore da nulla, Simone: un uomo slegato dalla Croce.
Ma qui ci si chiede se quell’uomo non si sia slegato, in qualche modo, anche dalla Provvidenza dei Cieli.


Ecco cosa succede quando un Papa (ma anche un vescovo qualsiasi, anche un chierico tra i tanti, dirò di più: persino l’ultimo dei fedeli) fugge dal luogo dove l’ha spinto Cristo a penare, a soffrire, forse a morire: succede che Cristo va a penare, a soffrire, forse anche a morire, sì, al posto suo.
Il fatto è che quella sofferenza qualcuno la deve fare, e la deve fare perché la deve offrire, perché il male non può andare perduto: il male, ogni singolo male, va redento, va riscattato,
ossia non solo va raccolto e tramutato nel bene originale che era, ma, con l’avvento di Cristo, va fatto salire alla pienezza del bene divino e di bene divino va riempito.

Cristo ha portato la croce nel mondo per togliere, « inchiodandolo alla croce » (Col 2, 14), il male dal mondo, come dice il Salmo: « Gli insulti di coloro che ti insultano sono caduti sopra
di me » (Sal 69, 10): il male, immane insulto dei demoni e dell’Inferno alla meraviglia dell’opera della creazione compiuta da Dio Padre, è ricaduto tutto sulla croce del Figlio, tutto, così che essa ha raccolto tutto il male del mondo e lo ha inchiodato a sé. Tutti i fedeli di Cristo si lasciano compenetrare dal desiderio d’amore di dedizione di partecipare in crocifiggente
pienezza al suo Sacrificio anche solo con la propria semplice vita quotidiana da nulla, con atti banali quali salire sui mezzi pubblici stracolmi, affrontare il freddo e il gelo per fare anche qualcosa di più del proprio dovere, non rispondere a un ingiusto rimprovero, preparare la tavola con amore anche quando a fine giornata si è prostrati dalla fatica, pronti sempre a salire nell’immolazione in atti sempre più eroici – pubblici o silenti che siano – sempre nella più
generosa offerta di sé, nell’obbedienza anche estrema alle leggi di Dio e a ogni suo volere, inchiodandosi in ogni modo comunque alla croce con lui e così, trafitti dai medesimi chiodi dal demoniaco insulto, in ogni attimo invece vincerlo.

Qui non ci si sta interrogando su quali possano essere le ragioni di un ripiegamento, perché, o si sta alle ragioni addotte – « sono pervenuto alla certezza che le mie forze, per l’età avanzata,
non sono più adatte per esercitare in modo adeguato il ministero petrino » –, o si possono aprire le porte alle illazioni più fantasiose, ma lasciando nell’angolo il punto fondamentale: se le dimissioni costituiscano o non costituiscano un bene per la Chiesa, cioè se siano moralmente un lacerante vulnus o invece l’unica strada da prendere per il prosieguo del suo cammino di evangelizzatrice e santificatrice del mondo.


5. SE LE DIMISSIONI DEL PAPA SIANO CONVENIENTI
AL MOMENTO STORICO CHE STA ATTRAVERSANDO LA CHIESA

Davanti alla Chiesa si sono assiepati in questi ultimi cinquant’anni conflitti teologici sempre più gravi, le eresie più antiche e pericolose si sono ridestate come serpi alzando il capo davanti e fin dentro le chiese di tutto il mondo senza che alcun Pastore le riconoscesse, le additasse, le fulminasse; la sconcezza della libertà di Rito si è sparsa per gli altari dell’orbe cattolico schiacciando al muro l’unico Rito che avrebbe avuto e difatti aveva la forza di combattere e vincere il liberalismo e il modernismo dedogmatizzante ora tanto vittorioso; per non dire delle terrificanti, squallide e odiose cancrene in cui sono stati e sono tutt’ora coinvolti a centinaia i suoi Pastori, e, di questi, proprio quelli che più dovrebbero mostrare integrità celestiale per il loro contatto con la purezza infantile; premono infine da ogni dove, ossia persino dalle voci inaspettate di cardinali ad alta visibilità e ad ancor più alto progressismo come il defunto Carlo Maria Martini, e in generale oramai direi da pressoché tutta l’universalità cattolica, che, avendo subìto negli ultimi cinquant’anni una forte accelerazione alla propria già latente protestantizzazione dal Rito dedogmatizzato del Novus Ordo Missæ, ora non chiede che di uniformarsi, nei costumi, alle dottrine naturalistiche assorbite, premono, dicevo, le richieste
per equiparare i costumi cattolici a valenza soprannaturale a quelli laicisti a valenza naturalistica, e quest’ultimo è forse, di tutti, l’elemento più vistoso, e magari anche lo scatenante.

La marcatura naturalistica è oramai nella Chiesa spiccatissima (vedi Comunione e Liberazione), il sentire semiprotestantico prepotente (vedi Bose, Taizé, Sant’Egidio, Neocatecumenali e Focolarini), e quelle pur larghe sacche cattoliche integre che ancora volentieri sarebbero anche disposte a rigettare l’una e l’altro, sono intimidite, intimorite oltre ogni dire dalla voce grossa e boriosa dei potentissimi laicisti e liberisti, i quali, esterni e interni alla Chiesa, dettano legge, nel senso che, appropriatisi da decenni dei registri accademici e
dei tabulati degli organici di filosofia, scienza, cultura, pedagogia, di tutte le arti e della comunicazione, impongono come vere e come naturali quelle leggi velleitarie e innaturali
che da se stessi si sono a propria misura procacciate.
Da qui le richieste di rivoluzionare finalmente i costumi concedendo per esempio la comunione alle coppie divorziate e ai risposati, il matrimonio alle persone dello stesso sesso,
il diritto alle medesime, una volta “sposate”, di adottare bambini, per non parlare delle pretese che si hanno nel vastissimo e delicatissimo campo del diritto alla vita, pressato dalla nascita alla morte da richieste germinate non da altro che dal più sfrenato naturalismo. Ma perché non chiamarlo con il suo nome? Esso nient’altro è se non sfrenato, puro e semplice egoismo.

Tutte queste varie maree che sui due piani – teoretico sopra, pratico sotto – sono da tempo straripate nella Chiesa dopo il Vaticano II, che ha aperto le porte della doppia esondazione
allorché trapassò il linguaggio della Chiesa, da naturaliter dogmatico qual era, a simpliciter pastorale, che poi neanche pastorale è, come dimostro ne Il domani – terribile o radioso? – del dogma appena pubblicato, in tal modo polverizzando l’unica e sola diga veritativa che avrebbe potuto e dovuto tenere la Chiesa a propria difesa dal demonio e dal mondo, e, in sé, l’uomo, e intorno a sé la civiltà, la storia, l’avvenire tutto, per tutti tenere e tutti portare nella realtà.
Quindi si deve capire bene, a mio avviso, che non è certo questo il momento in cui – se per ipotesi la cosa si potesse realizzare, ma ora si vedrà che no: non si può – si possano dare le dimissioni da Vicario di Cristo: la Chiesa è sotto schiaffo ora più che mai, e il timoniere, con gli argomenti portati, a mio avviso deve stare ben saldo, malgrado tutto, al suo posto di timoniere. A Dio il sommo timone: Egli sa commisurare le nostre forze alle altrui, e ciò sufficit.



6. LE DIMISSIONI DI BENEDETTO XVI,
IL CONCILIO VATICANO II E IL CONCETTO DI AUTORITÀ

Le dimissioni di Benedetto XVI vanno inquadrate in questo scenario ipodogmatico, a basso profilo veritativo, in questa che Amerio chiamava « desistenza dell’autorità », dove dominano
i gesti e i linguaggi artificiali, i gesti e i linguaggi di legno, finti, irreali, portati dal mondo nella Chiesa in occasione dell’assise di cinquant’anni fa, che siano quelli del linguaggio magisteriale piuttosto che quelli della liturgia, quelli delle nuove comunicazioni con cui ancora il magistero si inerpica con una certa dose di sprovvedutezza, tipo Biennale di Venezia o twitter, alla ricerca della società, o quelli di irrevocabili decisioni del supremo Pastore: magistero pastorale
post Vaticano II, Novus Ordo Missæ e dimissioni papali sono tre eventi epocali, grandiosi, abnormi, protratti per decenni nel tempo o ratti come fulmine che siano non ha alcuna influenza né importanza: restano comunque artificiali, restano avvenimenti disgiunti, sconnessi, avulsi dalla realtà.

Il motivo per cui sono “di legno”, come ho detto, i linguaggi di magistero e liturgia post Vaticano II, lo spiego esaurientemente nel mio appena citato Il domani del dogma; quello invece per cui lo sono le attuali dimissioni papali lo argomenterò ora: va considerato infatti che il canone 332.2 del Codice di Diritto Canonico, di recessione dal triplo mandato che le consentono (recessione dal munus docendi, dal munus regendi e dal munus sanctificandi), non a caso voluto da quel Papa autodimissionato che Dante inchioda nella vigliaccheria (Inf., III, 60), Pietro da Morrone-Celestino V, usa assolutamente del potere che gli è conferito di monarca sommo e assoluto, ma è un canone che mette in contraddizione il papato con se stesso, e ciò, a mio avviso, non è possibile.


7. IL CONCETTO DI “POTERE ASSOLUTO DEL PAPA”

Infatti, nemmeno Dio usa assolutamente del suo potere assoluto, né lo potrebbe, ma solo relativamente, come ben spiega san Tommaso, che in primo luogo ricorda: « Nulla si oppone
alla ragione di ente, se non il non-ente » e spiega: « Dunque, alla ragione di possibile assoluto, oggetto dell’onnipotenza divina, ripugna solo quello che implica in sé simultaneamente l’essere e il non-essere. Ciò, infatti, è fuori del dominio della divina onnipotenza, non per difetto della potenza di Dio, ma perché non ha la natura di cosa fattibile o possibile. Così, resta che tutto ciò che non implica contraddizione, è contenuto tra quei possibili rispetto ai quali Dio si dice onnipotente » (S. Th., I, 25, 3).

Solo la nozione di Dio degli Islamici è una nozione assolutista, perché per essa Dio è onnipotente nel senso che può persino – per tale sua illimitata potenza – volere di non essere
Dio. Ma san Tommaso mostra che Dio, Essere tutto in atto, non può volere ciò che ripugna all’essere: lui, l’Essere, non può volere di non essere (e neanche lo può pensare).

Solo un Papa, si dice, può avere il potere di dimettersi, ma io dico che tale potere non l’ha neanche il Papa, perché sarebbe l’esercizio di un potere assoluto che contrasta con l’essere di se stesso medesimo, di non essere quel che si è.
Ora, imporre a se stesso di non essere se stesso è impossibile, come si è visto essere impossibile persino a Dio, perché, come a Dio, ciò implica la contraddizione dell’essere.
Un occhio non può dire a se stesso di accecarsi, né un piede di rattrappirsi. Essi ricevono da altri la vista e il moto, e da altri ne riceveranno l’annichilimento. Certo, altri sono i datori di vista e moto e altri i loro distruttori, come nel caso di un Papa i datori del suo essere sono i cardinali elettori e il suo rapitore è invece Dio, ma, come si vede, i soggetti: occhio, piede o Papa che siano, per quanto perfetti in ciascuna delle specifiche loro forme di occhio, di piede e di Pontefice Massimo, sono del tutto impotenti in quanto a ricevere o viceversa veder da sé sottratta la loro propria vita e sussistenza.

Cosa vuol dire infatti “essere Papa”? Ecco cosa vuol dire: come il sacerdote riceve uno status, un marchio – l’ordine del sacerdozio – che rimane in eterno, perché riceve dal vescovo la partecipazione al sacerdozio di Cristo che è sacerdozio eterno, così anche la papalità riceve da Dio un munus spirituale: la vicarietà di Cristo Capo della Chiesa in eterno, che solo Dio può togliere. E Dio la toglie solo con la morte. Ma la toglie solo al corpo che muore, non all’anima che non muore. È solo in questo senso che si dice che Dio fa scendere dalla Croce: perché il corpo ha smesso di soffrire.

I poteri che implicano l’eternità possono essere interrotti solo materialiter, non substantialiter, infatti chi è consacrato sacerdote rimane sacerdote in eterno, che egli sia post mortem eletto al Regno dei Cieli o gettato nelle fiamme perenni.
Nella Chiesa esiste un solo sacerdozio in Cristo, come sappiamo, ma i gradi di sacerdozio sono due: uno universale, al quale partecipano tutti i battezzati, e uno sacramentale, conferito con l’Ordine. Ma anche questo grado di sacerdozio, metafisicamente parlando, si distingue in due gradi: uno è quello di tutti i chierici, l’altro è quello, ad personam, conferito unicamente al Vicario di Cristo, al Papa, in virtù della sua vicarietà: egli solo è rappresentante di Cristo in terra.

Il Papa riceve da Dio ad personam un vincolo mistico tra sé e il Corpo mistico della Chiesa, vincolo che lo lega ad essa con un legame divino unico, che non ha assolutamente nessun altro membro della Chiesa, come ad essa con il suo amore divino – e dunque legame divino – è legato il Cristo.
Questo vincolo, tre volte stretto all’essere dal laccio perentorio della risposta « Signore, tu lo sai che ti amo » alla perentoria domanda di Cristo: « Simone di Giovanni, mi ami tu? », è un
vincolo che solo la morte può togliere. Ma, ripeto, è, questa, un’interruzione unicamente materiale: l’amore proclamato e dunque affermato come ‘fatto dato nell’essere’, nell’essere rimane, e vi rimane in eterno. È il carisma di Pietro.

Le dimissioni sono permesse legalmente, il canone congetturato dalla persona stessa che aveva maturato la volontà di dimettersi ne configura le modalità. Ma l’istituto delle dimissioni non è stato mai indagato nella sua conformazione metafisica, e tutti hanno sempre ritenuto che esse potessero discendere dal potere assoluto del monarca, che può tutto, senza distinguere – come invece fa san Tommaso – tra potenza assoluta in sé e potenza assoluta relativamente alla ragione di ente, ossia al principio di non-contraddizione.


8. LE DIMISSIONI DI UN PAPA DAVANTI ALLA LEGGE CANONICA
E DAVANTI ALLA LEGGE METAFISICA DELL’ESSERE


Le dimissioni non sono permesse metafisicamente, e misticamente, perché nella metafisica sono legate al laccio dell’essere, che non permette che una cosa contemporaneamente sia e non sia, e nella mistica sono legate al laccio del Corpo mistico che è la Chiesa, per il quale la vicarietà assunta con il giuramento dell’elezione pone l’essere dell’eletto su un piano ontologico non accidentalmente ma sostanzialmente diverso da quello lasciato: dal piano già alto del sacerdozio sacramentale di Cristo lo pone sul piano ancora più metafisicamente e spiritualmente alto di Vicario di Cristo.
Dunque la legge è sovrastata ancora una volta dalla metafisica, che è a dire che la storia (la legge positiva appartiene alla storia) ancora una volta è sovrastata dalla metafisica, dall’ontologia, che è a dire dalla verità delle cose, dalla legge naturale, in primo luogo dal principio di non-contraddizione, cui deve assolutamente obbedire.


9. IL CONFLITTO TRA LEGGE CANONICA E LEGGE METAFISICA
HA COME CONSEGUENZA LA CREAZIONE DI UN ANTIPAPA

Non considerare questi fatti è a mio parere un colpo micidiale al dogma, dimissionarsi è perdere il nome universale di Pietro e regredire nell’essere privato di Simone, ma ciò non può darsi, perché il nome di Pietro, di Cephas, di Roccia, è dato su un piano divino a un uomo che, ricevendolo, non è più solo se stesso, ma “è Chiesa”: « Tu sei Pietro, e su questa Pietra fonderò la mia Chiesa » (Mt 16, 18).
Il dogma rigetta il colpo, e non ne risente, perché l’atto, come solito, non è stato formalizzato dogmaticamente, ma ne risente la Chiesa nel suo ambito umano, che difatti accusa il colpo nella sua confusione estrema, nella prostrazione e nel turbamento massimi subito corsi per tutta la cattolicità.

Senza contare che si sta realizzando la probabilità che, lasciando che una legge positiva permanga nell’ordinamento canonico malgrado sia in patente contrasto con una legge
metafisica che le è superiore e che dovrebbe governarla, ciò porti a conseguenze ancor più gravi della gravità dell’atto compiuto a mezzo di quella legge: non potendo in realtà
dimettersi il Papa autodimessosi, il Papa subentrante, suo malgrado, in realtà, metafisicamente parlando, che vuol dire nella realtà più vera e che di per sé sorpassa ogni legge storica, non sarà che un antipapa. Ma regnante sarà lui, l’antipapa, non il vero Papa, ora dimesso. Siamo tornati ai secoli atri di Guiberto e di Maginulfo, ma ribaltati, e dunque ora, di quelli, questo secolo è anche peggio.

La Chiesa sta correndo verso il naturalismo, e queste dimissioni papali, staccando ancor più la Chiesa reale da quella metafisica da cui dipende, la avvicinano ancor più all’orlo del baratro. Che questo orlo non sia superabile, come dimostro ancora in Il domani – terribile o radioso? – del dogma, non toglie il pericolo, ma lo accentua, perché il mondo e il diavolo, credendoci, inneggiano come già fatta alla vittoria.


10. CONCLUSIONE: RITIRARE LE DIMISSIONI

Si può suggerire a un Papa ciò che il Papa deve fare? In linea di massima non si potrebbe, sarebbe cosa davvero massimamente disdicevole. Ma il momento è di tale gravità, è di tale straordinarietà, è di tale turbamento che si rende necessario osare ciò che in tempo ordinario è proibito, e qui si compie proprio questo atto: si osa mettere sul tappeto davanti al Trono più alto ciò che si considera essere un dato da prendere in seria considerazione, e ciò si osa fare prima che sia troppo tardi, prima che sia compiuto l’ineluttabile: un atto legale, ma metafisicamente “ripugnante”.

La considerazione finale è dunque questa, e la porto dopo aver fatto tutte le premesse che ho fatto sul valore assolutamente scientifico e dunque del tutto ipotetico delle mie osservazioni e argomentazioni, e il rispetto sommo da dare alla persona e ancor più alla figura del Sommo Pontefice.

Papa Joseph Ratzinger-Benedetto XVI non dovrebbe dimettersi, ma dovrebbe recedere da tale sua suprema decisione riconoscendone il carattere metafisicamente e misticamente inattuabile, e così anche legalmente inconsistente.

« Cristo fu tentato per tre volte dal diavolo nel deserto – dice sant’Agostino commentando il Salmo 60 –, ma in Cristo eri tentato anche tu. Perché Cristo prese da te la sua carne, ma da sé la tua salvezza, da te la morte, da sé la tua vita, da te l’umiliazione [la fragilità, la minimanza, l’inettitudine], da sé la tua gloria [sulla sua croce], dunque prese da te la sua tentazione, da sé la tua vittoria ».


11. IL VERO ATTO DI CORAGGIO, SCANDALO DEL MONDO,
È NON SCENDERE DALLA CROCE A NESSUN COSTO

Con nell’animo queste considerazioni, non le dimissioni, ma il loro ritiro diventa sì un atto di soprannaturale coraggio, e Dio solo sa quanto la Chiesa abbia bisogno di un Papa soprannaturalmente, e non umanamente, coraggioso. Un Papa cui non inneggino i liberali di tutta la terra, ma gli Angeli di tutti i Cieli. Un Papa martire in più, giovane leoncello del Signore, porta più anime al Cielo che cento Papi dimissionati (quanti saranno da oggi in futuro i Papi).

Atto dunque dettato da argomenti soprannaturali, riconoscendo che dalla Croce gloriosa non si scende perché comunque non si può scendere, meglio: perché, pur tentati, non c’è la strada per scendere, e la strada che si intravvede esservi non è vera, ma è una strada di nuvole, di niente, e tanto più non può scendere e percorrere quella strada inconsistente la persona del Papa: la propria libertà, in specie se libertà di Papa, è affissata, è inchiodata alla volontà divina, unica, potente e vera Realtà che sulla Croce mistica ha voluto con sé il suo Vicario.

Enrico Maria Radaelli

Director of Department of Æsthetic Phylosophy
of International Science and Commonsense Association (Rome)

www.enricomariaradaelli.it

18 febbraio 2013
San Simone, vescovo

domenica 17 febbraio 2013

"Commenti Eleison" di Mons. Williamson: Di Noia, che annoia

     Numero CCXCII (292)                                                                       16 febbraio  2013



Di Noia, che annoia

Due mesi fa, il Vice Presidente della romana Pontificia Commissione Ecclesia Dei ha scritto una lettera di diverse pagine al Superiore Generale e a tutti i sacerdoti della Fraternità San Pio X, lettera che è accessibile su Internet e che Padre Lombardi, portavoce della Santa Sede, ha definito un “appello personale”. Da allora, la lettera ha suscitato parecchi commenti. Si tratta chiaramente dell’ultima mossa della campagna romana volta a mettere la FSSPX al guinzaglio e a porre fine alla sua quarantennale resistenza alla rivoluzione conciliare. Come ha detto Mons. de Galarreta nell’ottobre 2011, anche se la FSSPX rifiuta le offerte di Roma, questa tornerà sempre alla carica. Ed infatti. Ma vediamo brevemente cos’ha da dire Mons. Di Noia a Sua “Eccellenza e Cari fratelli sacerdoti della Fraternità Sacerdotale San Pio X”:-

Egli comincia con l’ammonire i dirigenti della FSSPX, in particolare Don Schmidberger, Don Pfluger e Mons. Fellay (in questo ordine), per aver rilasciato delle interviste così critiche su Roma, da rimettere in questione il fatto che la FSSPX voglia realmente la riconciliazione con Roma. Prosegue dicendo che le differenze dottrinali tra la FSSPX e Roma sono irrisolvibili come sempre. Quindi, che c’è bisogno di un nuovo approccio che faccia perno sull’unità.

L’unità della Chiesa è ostacolata da quattro vizi e promossa da quattro opposte virtù: umiltà, mansuetudine, pazienza e carità. Coloro che sono contro l’unità della Chiesa sono nemici di Dio. Ciò di cui abbiamo bisogno è amore. Al bando quindi la “retorica aspra e controproducente”. Che la FSSPX adempia il suo carisma della formazione di sacerdoti, ma di sacerdoti che siano docili nei confronti del Magistero ufficiale, che predichino la fede e non facciano polemica, e che trattino i problemi teologici, non di fronte ai laici impreparati, ma con le competenti autorità a Roma. Il Papa è il giudice supremo di tali difficili questioni. In conclusione, Benedetto XVI vuole la riconciliazione. Ogni amarezza dev’essere superata. Nelle parole di Nostro Signore: “Che siano una cosa sola” (fine della lettera dell’Arcivescovo.)

Si noti di passaggio che, com’è tipico dell’uomo moderno e dei modernisti, l’Arcivescovo mette in sordina la questione essenziale della dottrina, così che l’interesse principale di questa lettera sta altrove: l’Arcivescovo, come ha osato indirizzarla a tutti i sacerdoti della Fraternità senza prima aver concordato la cosa con la direzione della FSSPX? Avrà dovuto farlo, perché è da questa direzione che la lettera è stata inoltrata a tutti i sacerdoti della FSSX!  Ecco quindi un indizio tra molti altri che vi sono dei contatti fra Roma e la FSSPX che vengono nascosti al pubblico. Ma la domanda che sorge è: qual è il motivo per cui la direzione della FSSPX ha dato all’Arcivescovo modernista un accesso, tanto privilegiato e pericoloso, a tutti i sacerdoti della FSSPX? Vuole che anch’essi diventino modernisti? Bisogna supporre che no! Ma potrebbe voler aiutare Roma per la “riconciliazione”.

Trasmettendo l’amorevole appello dell’Arcivescovo, la direzione della FSSPX ha mandato un messaggio morbido a tutti i sacerdoti della FSSPX, senza che nessuno possa accusarla di essere essa stessa morbida. Piuttosto, la lettera romana permetterà di far vedere a tutti, quanto siano dolci i Romani. Vero è che essa contiene un gentile rimprovero ai capi della FSSPX, ma questo servirà a dimostrare quanti essi siano saldi nella difesa della fede! Soprattutto la lettera servirà da banco di prova per testare le reazioni dei sacerdoti. Cosa stanno pensando? Roma e Menzingen hanno bisogno di calcolare quanto possono spingere in avanti la “riconciliazione”, in maniera da portarsi dietro una larga maggioranza di sacerdoti e non alienarsene così tanti da permettere la continuazione della resistenza organizzata alla nuova religione del Nuovo Ordine Mondiale.

Cari sacerdoti della FSSPX, se non volete essere fagocitati dal Nuovo Ordine di Roma, io vi consiglio gentilmente di reagire. Fate sapere ai vostri Superiori, con tutta la discrezione che volete, ma senza mezzi termini, che voi non volete avere niente, ma proprio niente, a che fare con la Roma conciliare, fino a quanto essa non abbandonerà chiaramente il Concilio. 

Kyrie eleison   

   
Londra, Inghilterra


© 2012 Richard N. Williamson. Tutti i diritti sono riservati.
Viene concessa una licenza non esclusiva inerente la stampa, la spedizione tramite e.mail, e/o la pubblicazione di questo articolo in Internet agli utenti che desiderassero farlo, a patto che non vengano apportate modifiche al contenuto così riprodotto o distribuito, e che esso conservi al suo interno il presente avviso. Oltre a questa licenza, limitata e non esclusiva, nessuna parte di questo articolo può essere riprodotta in qualsiasi forma o con qualsiasi mezzo sia elettronico che meccanico senza il permesso scritto dell'Editore, eccezion fatta per i recensori che possono citare brevi passaggi in una recensione, o tranne nei casi in cui vengano conservati i diritti sui contenuti qui riprodotti dal (dai) rispettivo(i) Autore(i), o da altri detentori del diritto d'Autore. In questi casi, la riproduzione di quegli specifici contenuti è soggetta all'autorizzazione che può essere concessa solo da chi ne possiede i(l) diritti(o) d'Autore. Ogni richiesta di riproduzione deve essere indirizzata a editorial@dinoscopus.org.

"Commenti Eleison" di Mons. Williamson: Quarto processo


Numero CCXCI (291)                                                      9 febbraio  2013


Quarto processo


Un lettore mi chiede del mio ultimo processo e della condanna per “negazione dell’Olocausto” emessa dal Tribunale Regionale di Ratisbona, nella Germania del Sud, il 16 gennaio. I lettori ricorderanno che la mia colpa originaria è stata quella di aver detto ad un intervistatore della televisione svedese, il 1 novembre del 2008, nell’intimità della sagrestia del seminario tedesco della Fraternità San Pio X, ma in territorio tedesco, che io credevo che né “sei milioni di Ebrei” fossero morti sotto il regime di Hitler nella seconda guerra mondiale, né che un solo Ebreo fosse morto in una “camera a gas”.

Per aver espresso queste convinzioni in Germania, dove la “negazione dell’Olocausto” è un reato penale, nel 2010 fui condannato dal Tribunale Regionale di Ratisbona, e la pena avrebbe dovuto essere di € 10.000 di multa.
Io presentai appello. Lo stesso Tribunale mi condannò di nuovo nel 2011, ma la multa venne ridotta a € 6.500. Mi appellai ancora, così che il caso passò ad un organismo superiore, il Tribunale Provinciale di Norimberga, che, mi avevano detto, fosse meno soggetto alle pressioni esterne. Qui i tre giudici annullarono il processo per vizi procedurali, e imposero allo Stato bavarese il pagamento delle mie spese legali, ma lasciandolo libero di correggere gli errori procedurali e di ricominciare tutto daccapo.

Ora, non solo ciò che è noto come “Olocausto” serve come religione secolare del Nuovo Ordine Mondiale (Auschwitz che rimpiazza il Calvario, le camere a gas che rimpiazzano la Croce di Nostro Signore e i sei milioni che fanno la parte del Redentore), ma mi sembra che i Tedeschi del dopoguerra abbiano difficoltà a rispettare loro stessi se prima non si battono il petto per i presunti crimini del Terzo Reich. Così perseguono la “negazione dell’Olocausto” come una sorta di rivalsa dettata dalla disperazione, e il 16 gennaio sono stato processato per la terza volta davanti ad un giudice donna di Ratisbona.

Due avvocati tedeschi hanno lottato duramente per la mia difesa, ma invano - Sono stato condannato di nuovo. Tuttavia, la giudice ha ridimensionato l’aspetto morale dell’accusa e, avuta compassione per la mia condizione di disoccupato, ha ridotto la multa a € 1.600. Non c’è dubbio che lo Stato della Baviera sarebbe stato ben felice di sbarazzarsi del caso, se solo io avessi accettato di pagare la multa così tanto ridotta. Un nobile collega della FSSPX mi ha chiesto di concedergli il privilegio di pagare tutto lui. Ma qui è in giuoco molto più che il solo denaro. Qui sono coinvolti: una grande nazione, la vera religione e l’Ordine Mondiale di Dio.

“La verità è potente e prevarrà”, dicevano i Latini. Così, ogni nazione, religione o Ordine Mondiale che si fondi sulla menzogna, è fragile e alla fine crollerà.
Ora, la verità poggia sulla corrispondenza della mia mente con la realtà e non sugli auspici di un nazionale rispetto di sé, né sui bisogni provati da una religione, né tampoco sulle esigenze di un Ordine Mondiale senza Dio. E la verità storica scaturisce dalle prove, di cui le più affidabili sono i resti materiali del passato, perché sono sufficientemente indipendenti dalle emozioni umane. “Per questo sono nato e per questo sono venuto al mondo; per rendere testimonianza alla verità”, dice Nostro Signore (Gv. XVIII, 37).
Che tranquillità nelle parole divine!

Ho gentilmente rifiutato l’offerta del mio collega, ma se qualcuno di voi avesse piacere di contribuire alle spese legali, è bene accetto un bonifico bancario sul mio conto in Inghilterra:
-IBAN: GB63NWBK60020960609826 – BIC: NWBKGB2L.
Da notare che dalla Germania il BIC è diverso: NWBKGB2131M.

Vi ringrazio in anticipo per ogni aiuto. Ho presentato di nuovo appello.

Kyrie eleison.




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sabato 16 febbraio 2013

IL GIUDAISMO E LA CHIESA: prima e dopo il Vaticano II

di John Vennari


È vero che Papa Benedetto ha fatto del bene reale per la Chiesa: l’esempio più evidente sono i suoi sforzi per ristabilire uno status giuridico alla Messa tridentina. Purtroppo, però, egli continua a seguire le orme sbagliate del suo predecessore post-Concilare. Con l’attuazione e la diffusione dei nuovi orientamenti del Vaticano II.

Ciò è particolarmente evidente nei rapporti di Papa Benedetto col moderno giudaismo, che sono basati sull’insegnamento del Concilio sugli Ebrei, contenuto nel documento Nostra Aetate. Questo nuovo orientamento non ha quasi nulla in comune con i 2000 anni di Tradizione della Chiesa.

Il cardinale Kurt Koch, Presidente del Pontificio Consiglio per la Promozione dell’Unità dei Cristiani, il 16 maggio ha tenuto un discorso presso l’Angelicum a Roma, in cui ha elogiato la dedizione di Benedetto XVI alla Nostra Aetate e ai suoi sviluppi successivi.

Koch ha elogiato il cardinale Ratzinger per gli “articoli innovativi” nel campo delle relazioni cattolico-ebraiche, e ha continuato celebrando Papa Benedetto come un uomo impegnato in un nuovo approccio del concilio Vaticano II, lodandolo per il fatto che segue esattamente le orme di Papa Giovanni Paolo II:

Papa Benedetto XVI porta avanti e sviluppa il lavoro conciliatorio del suo predecessore riguardo ai colloqui ebraico-cattolici. Egli non solo ha indirizzato la prima lettera del suo pontificato al Rabbino Capo di Roma, ma, nel suo primo incontro con una delegazione ebraica, il 9 Giugno 2005, ha anche assicurato che la Chiesa si muove fermamente secondo i principi fondamentali della Nostra Aetate e che egli ha intenzione di proseguire il dialogo sulle orme dei suoi predecessori. Passando in rassegna i sette anni del suo pontificato, troviamo che in questo breve lasso di tempo egli ha anche ricalcato tutti quei passi che Papa Giovanni Paolo ha compiuto nei suoi 27 anni di pontificato: Papa Benedetto XVI ha visitato l’ex campo di concentramento di Auschwitz-Birkenau, il 28 maggio 2006; durante la sua visita a Israele nel maggio 2009 è stato in piedi davanti al Muro del Pianto, si è incontrato con il Gran Rabbinato di Gerusalemme e ha pregato per le vittime della Shoah a Yad Vashem; il 17 gennaio 2010 è stato accolto calorosamente dalla comunità ebraica di Roma, nella loro sinagoga. La sua prima visita a una sinagoga è stata compiuta, naturalmente, già il 19 agosto 2005 a Colonia, in occasione della Giornata Mondiale della Gioventù, e il 18 aprile 2008 ha visitato la Sinagoga di Park East a New York. Possiamo quindi affermare con gratitudine che nessun altro Papa nella storia ha visitato così tante sinagoghe come Benedetto XVI [1].



Allo stesso modo, quando Papa Benedetto XVI ha visitato la sinagoga di Roma, il rabbino David Rosen, direttore dell’American Jewish Committee’s Interreligious Affairs, ne fu entusiasta e capì meglio di molti cattolici la vera natura rivoluzionaria di tali atti.

Con la visita alla sinagoga, Papa Benedetto ha istituzionalizzato la rivoluzione”, ha detto il rabbino Rosen. “Con la visita alla sinagoga di Roma, Papa Benedetto sta rendendo difficile ad un futuro Papa non compiere una tale visita. La visita di Giovanni Paolo II [1986] si svolse una tantum, ma ora con la visita di Benedetto XVI, abbiamo un senso di continuità” [2].
 
Papa Giovanni Paolo II visitò una sinagoga durante i suoi 26 anni di regno. Nel breve arco di sei anni, Papa Benedetto XVI ne ha già visitate tre.

Da questo punto di vista, nelle azioni di Papa Benedetto vediamo al lavoro il rivoluzionario documento conciliare Nostra Aetate. I nostri più importanti uomini di Chiesa acclamano continuamente Nostra Aetate, non come una riaffermazione della Tradizione, ma come un segno di una nuova direzione.

“Un fondamentale ri-orientamento”

Il cardinale Koch, oggi a capo del Pontificio Consiglio per la Promozione dell’Unità dei Cristiani - voluto appositamente da Benedetto XVI per questo prestigioso posto in Vaticano - celebra Nostra Aetate come la “bussola cruciale” di tutti gli sforzi verso il dialogo cattolico-ebraico. Nel suo discorso del 16 maggio, Koch si riferisce ad esso come al “documento basilare”, la Magna Carta del dialogo tra la Chiesa cattolica romana e il giudaismo. Egli definisce Nostra Aetate un testo che ha determinato “un fondamentale ri-orientamento della Chiesa cattolica” dopo il Concilio . [3]

Nostra Aetate venne concepita per essere solo l’inizio di qualcosa di molto più grande. Fu il culmine di oltre due decenni di lavoro da parte di teologi filo-modernisti, che erano determinati a superare la teologia tradizionale e a stabilire una nuova base nei rapporti tra Cattolici ed Ebrei [4].

Su questo punto, il testo chiave della Nostra Aetate è nel quarto paragrafo del documento:

Essendo perciò tanto grande il patrimonio spirituale comune a cristiani e ad ebrei, questo sacro Concilio vuole promuovere e raccomandare tra loro la mutua conoscenza e stima, […] gli Ebrei tuttavia non devono essere presentati come rigettati da Dio, né come maledetti, quasi che ciò scaturisse dalla sacra Scrittura. […] La Chiesa […] deplora gli odi, le persecuzioni e tutte le manifestazioni dell’antisemitismo dirette contro gli Ebrei in ogni tempo e da chiunque

È ovvio che nessun cattolico può favorire il maltrattamento degli Ebrei o di chiunque altro. Questo è un dato certo. Ma quello che preoccupa è l’ambiguità contenuta nella frase: “gli Ebrei tuttavia non devono essere presentati come rigettati da Dio, né come maledetti, quasi che ciò scaturisse dalla sacra Scrittura.”

Questa frase manca delle necessarie distinzioni.

In primo luogo, tutti noi siamo membri di una “razza maledetta” - la razza umana. Nessuno di noi nasce cattolico, ma entra in questo mondo, contaminato dal peccato originale, in quanto figlio di Adamo ed Eva. Nasciamo quindi, come spiega il Beato Abate Marmion, “nemici di Dio” [5]. I Salmi insegnano: «Ecco, nella colpa io sono nato, nel peccato mi ha concepito mia madre» (Salmo 50, 7). E San Paolo afferma: «eravamo per natura meritevoli d’ira» (Efesini 2, 3). Siamo tutti nati come parte del Regno di Satana.
Per essere liberati da questo regno, abbiamo bisogno di essere “salvati”. L’eminente Mons. Joseph Clifford Fenton spiega: il processo di salvezza richiede un trasferimento dal regno di Satana al Regno di Dio. Questo Regno di Dio, secondo l’antica dottrina dei due regni [6],  è la Chiesa cattolica, l’unica e sola società soprannaturale stabilita da Cristo, in cui si possa trovare la salvezza.

Il processo di salvezza, come nota Fenton, è simile all’essere salvato dal naufragio di una barca a remi, in cui l’individuo è sicuro di morire, e l’essere trasferito in una nave da crociera. Questo trasferimento necessario dal regno di Satana al Regno di Dio esige il Battesimo e l’accettazione di Gesù Cristo e della sua divina Rivelazione. “Chi crederà e sarà battezzato sarà salvo. Chi non crederà sarà condannato” (Marco 16, 16). Questo insegnamento si applica a tutte le persone della terra, siano essi Ebrei, Musulmani, Indù o laicisti.


Beato Columba Marmion
(1858-1923)

Così, nasciamo tutti come parte di una “razza maledetta”. L’unico modo per liberarci da questa maledizione, l’unica via d’uscita dal regno di Satana, è lasciare l’impero del diavolo e trasferirsi nell’unica vera Chiesa di Cristo e mantenersi in stato di grazia per mezzo della preghiera e dei sacramenti.

“Ha dichiarato antiquata la prima”

Nostra Aetate non riesce a fare la distinzione fondamentale tra gli Ebrei in quanto individui e la religione ebraica. È vero che gli Ebrei non sottostanno ad una maledizione che preclude la loro salvezza, tant’è che la nostra storia sacra è piena di Ebrei convertiti che hanno lasciato la religione della sinagoga ed hanno abbracciato la Chiesa cattolica.

Ciò che oggi si chiama religione ebraica, tuttavia, non è di Dio, in quanto è basata sul rifiuto del Messia. Nostro Signore ha avvertito gli Ebrei del Suo tempo: “Perciò io vi dico, vi sarà tolto il Regno di Dio e sarà dato a un popolo che lo farà fruttificare” (Matteo, 21, 43).

Allo stesso modo, San Paolo scrive che la Nuova Alleanza di Cristo “ha dichiarato antiquata la prima” (Ebrei 8,13)

Mons. Joseph Clifford Fenton, riaffermando la dottrina infallibile e immutabile di due millenni, spiega che la vecchia unità sociale - la religione ebraica dell’Antica Alleanza - era stata l’ecclesia di Dio, ma essa “ha perso il suo status di ecclesia o di regno di Dio sulla terra” a causa del suo rifiuto formale del Messia. Nostro Signore Gesù Cristo ha sostituito la Vecchia Alleanza con la Sua Nuova Alleanza per mezzo della Sua Passione e della Sua Morte in Croce e con la creazione della Sua Chiesa. “Questo nuovo organismo, come resto fedele di Israele”, scrive Fenton, “ha continuato ad essere l’ecclesia in un senso molto più completo e perfetto di quanto lo fosse stato l’altro”.

Così” - continua Fenton – “la società su cui regna il Romano Pontefice è chiamata la Chiesa, non solo a causa del fatto che si tratta di una comunità o organismo religioso, ma perché questa società è realmente e definitivamente il Regno di Dio sulla terra, l’assemblea del popolo della divina Alleanza, l’unità sociale fuori dalla quale non c’è salvezza” [7].


Mons. Joseph C. Fenton
(1906-1969)

Queste distinzioni cruciali non si trovano tra le ambiguità di Nostra Aetate. Cosa che costituisce un altro esempio di come il Vaticano II abbia prodotto essenzialmente dei documenti difettosi. Le deliberate ambiguità [8] e le omissioni cruciali del testo, aprono la porta ad una nuova teologia senza precedenti nella storia della Chiesa. Questa nuova interpretazione è diventata l’“interpretazione ufficiale” del Concilio, attuata dal Vaticano post-conciliare.

Nostra Aetate parla di “legami spirituali che collegano” Ebrei e Cristiani e del “grande patrimonio spirituale” comune ad entrambi. Questo nuovo approccio non parla più dell’infedeltà di Israele, ma della sua fedeltà [9]. Lo scrittore ebreo Lazare Landau si rallegrava perché al Vaticano II, “la dottrina della Chiesa ha indubbiamente subito un cambiamento totale” [10].

E come abbiamo visto, Nostra Aetate viene celebrata dal cardinale Koch  proprio perché è un testo rivoluzionario che si discosta dall’insegnamento cattolico di 2000 anni. Egli chiama l’insegnamento di Nostra Aetate, la “bussola cruciale” che ha realizzato “un fondamentale ri-orientamento della Chiesa cattolica” dopo il Concilio.

Questo nuovo orientamento sfida la natura della stessa verità oggettiva. E sfida anche l’insegnamento de fide del concilio Vaticano I, così come il Giuramento antimodernista, i quali impegnano i cattolici ad aderire alla sacra dottrina “nel medesimo senso e secondo la stessa interpretazione” che la Chiesa ha sempre tenuto. Il nuovo orientamento di Nostra Aetate è un esempio notevole del modernismo in azione.

Rendere esplicito ciò che era implicito



Papa Giovanni Paolo II all'incontro interreligioso di Assisi del 1986


All’elevazione al papato, Giovanni Paolo II disse che uno dei suoi compiti primari come Papa era quello di rendere esplicito ciò che era implicito nel Concilio [11]. Fu questo che motivò i suoi atti ecumenici, i suoi incontri pan-religiosi di Assisi e gli altri programmi rivoluzionari. Allo stesso modo, il suo intero approccio al giudaismo, incluso il suo essere il primo Papa a visitare una sinagoga, faceva parte di quel rendere esplicito ciò che nel Vaticano II era implicito.

Il 6 marzo 1982, Papa Giovanni Paolo II, in un discorso sulle relazioni ebraico-cattoliche, dichiarò:

«Infine, il nostro patrimonio spirituale comune è soprattutto importante a livello della nostra fede in un unico Dio, buono e misericordioso, che ama gli uomini e si fa amare da loro, maestro della storia e del destino degli uomini, che è nostro Padre, e che ha scelto Israele, “l’ulivo buono su cui sono stati innestati i rami dell’ulivo selvatico che sono i gentili”» [Discorso di Giovanni Paolo II ai delegati delle Conferenze Episcopali per i rapporti con l’ebraismo].

Papa Giovanni Paolo II parlò anche di un impegno congiunto con gli Ebrei, di “una stretta collaborazione a cui siamo chiamati dal nostro patrimonio comune, vale a dire il servizio dell'uomo” [12].

Jean Madiran, il noto scrittore cattolico francese, spiega succintamente la novità delle parole di Giovanni Paolo: “Abbiamo due nuove idee”, scrive Madiran, l'idea che Ebrei e Cattolici venerino “lo stesso Dio” e un appello agli Ebrei e ai cattolici per lavorare “in stretta collaborazione, due idee che sembrano derivare dalla logica del Concilio … anche se il testo del Concilio non si è spinto a parlare di esse così chiaramente ” [13].

Sotto il pontificato di Giovanni Paolo, il nuovo atteggiamento della Chiesa post-conciliare nei confronti degli Ebrei si è reso ancora più esplicito nel maggio 1985, col documento della Commissione della Santa Sede per i rapporti religiosi con l'Ebraismo: “Circa una corretta presentazione degli Ebrei e dell’Ebraismo nella Predicazione e nella Catechesi della Chiesa cattolica”. Questo documento vaticano fu approvato da Giovanni Paolo II, che “lo ratificò in quanto in linea col suo pensiero” [14].

Il testo vaticano afferma:

Attenti allo stesso Dio che ha parlato, legati alla stessa parola, noi dobbiamo testimoniare una stessa memoria e una comune speranza in Colui che è il maestro della storia. Bisogna anche che ci assumiamo la nostra responsabilità per preparare il mondo alla venuta del Messia, lavorando insieme per la giustizia sociale, per il rispetto dei diritti della persona umana e delle nazioni, per la riconciliazione sociale e internazionale. A questo siamo spinti, Ebrei e cristiani, dal precetto dell’amore per il prossimo, da una speranza comune del Regno di Dio e dalla grande eredità dei profeti. Trasmessa al più presto dalla catechesi, una tale concezione educherà in maniera concreta i giovani cristiani a dei rapporti di cooperazione con gli Ebrei, ben al di là del semplice dialogo (cap. II, n. 11) [15].

Così, in questo documento del 1985, il Vaticano - con il cardinale Joseph Ratzinger a capo della Congregazione per la Dottrina della Fede – invitava ufficialmente i cattolici a cooperare con gli Ebrei per preparare la venuta del Messia.

Ancora, Madiran nota:

Questa idea, totalmente estranea al cattolicesimo, corrisponde ad una concezione tradizionale della teologia ebraica, nella sua visione del ruolo delle “religioni derivate dall’ebraismo”. Un’indicazione ufficiale di essa si ritrova nella dichiarazione fatta dal Gran Rabbinato di Francia il 16 aprile 1973, nella quale si ricorda “l’insegnamento dei più grandi teologi ebrei, per i quali la missione della religione derivata dall’ebraismo [che per loro sarebbe il cattolicesimo] è quella di preparare l’umanità per l’avvento dell’era messianica annunciata dalla Bibbia”.
Nelle sue direttive del maggio 1985, Roma ha così assegnato al cattolicesimo il posto e il ruolo assegnatole dalla teologia ebraica [16].

Vale la pena di soffermarsi a considerare una recente dichiarazione in proposito di Mons. Tissier de Mallerais, della Fraternità San Pio X. In una conferenza in Francia del 16 settembre 2012, egli ha affermato che Papa Benedetto, il 30 giugno 2012, in una lettera di suo pugno scritta a Mons. Fellay ha ribadito: “Le confermo effettivamente che per essere veramente reintegrati nella Chiesa occorre veramente accettare il concilio Vaticano II e il magistero post-conciliare” [17].

L’orientamento completamente nuovo nei confronti degli Ebrei è una componente inevitabile del “magistero post-conciliare” che dovrebbe accettare la FSSPX, compresa l’istanza vaticana avanzata ai cattolici e agli ebrei “per preparare il mondo alla venuta del Messia, lavorando insieme per la giustizia sociale, per il rispetto dei diritti della persona umana e delle nazioni, per la riconciliazione sociale e internazionale

Inoltre, secondo lo stesso documento vaticano del 1985, questa istanza dovrebbe essere “trasmessa al più presto dalla catechesi”, al fine di educare “in maniera concreta i giovani cristiani a dei rapporti di cooperazione con gli Ebrei, ben al di là del semplice dialogo”.

Non è impensabile che la gerarchia post-conciliare possa in seguito cercare di imporre tale istanza nel programma di studi per i giovani di St. Mary’s, Post Falls, Massena e perfino Winona [scuole e seminari della FSSPX]; cosa che costituisce uno dei tanti motivi per i quali la direzione della FSSPX non può fare in questo momento un accordo con la Roma odierna.

Impegnati nella Nuova Direzione

In tutti i suoi scritti nel corso degli anni, relativi ai rapporti cattolico-ebraici, Papa Benedetto ha trascurato di sottolineare il dovere dei cattolici di operare e pregare per la conversione degli Ebrei alla fede cattolica. Invece, il suo sforzo costante è stato quello di insegnare che Ebrei e Cristiani dovrebbero essere la “testimonianza comune” dell’unico Dio.

Questo tema si trova nei suoi libri: Molte religioni, un’unica Alleanza; Dio e il mondo; Gesù di Nazaret, parte II;  Luce del mondo. Ho parlato ampiamente di questo nel mio articolo di aprile 2011: “Common Mission and Significant Silence” e non mi ripeterò qui, passerò in rassegna solo alcuni dei punti più significativi.

Nel suo libro Gesù di Nazaret, Parte II, Papa Benedetto XVI, cita San Bernardo di Chiaravalle, il quale afferma che per gli Ebrei “è stato fissato un tempo, che non può essere anticipato. Deve avvenire prima la conversione di tutti i pagani… [18].
Queste parole vengono usate per dare l’impressione che la Chiesa cattolica non dovrebbe cercare di convertire gli Ebrei all’unica vera fede, poiché vi è una profezia che dice che si convertiranno comunque verso la fine del tempo [19].

Sfortuntamente, Papa Benedetto non riporta la citazione completa di San Bernardo, che su questo punto affina la dottrina cattolica. In accordo con la dottrina perenne della Chiesa, San Bernardo insegna: “Ci è stato detto dall’Apostolo che quando il tempo sarà maturo tutto Israele sarà salvato. Ma coloro che muoiono prima [che cioè non si sono convertiti] rimarranno nella morte” [20].

La citazione completa da San Bernardo contrasta mortalmente col nuovo orientamento del Vaticano II, ecco perché non viene riportata integralmente. Qui Papa Benedetto si dimostra essere innanzi tutto un teologo ecumenico, piuttosto che un vero cattolico. Già nel 1962, il brillante teologo Padre Edward Hanahoe avvertiva che la tattica dei teologi ecumenici è quella di passare sotto un “significativo silenzio” ogni verità cattolica che si oppone al loro disegno ecumenico [21].


San Bernardo di Chiaravalle

Allo stesso modo, nei primi del 1960, il protestante Dott. Visser’t Hooft ammetteva che “il semplice ABC dell’ecumenismo” è che “non esiste un linguaggio ecumenico che sia completamente privo di ambiguità” [22]. Ci sarà sempre una non-chiarezza. Ci saranno sempre elementi mancanti. È questa la natura dell’ecumenismo moderno e dei suoi teologi ecumenici, uno dei quali è Joseph Ratzinger. Non si guadagna niente facendo finta che le cose stiano diversamente.

Nel suo libro del 1998, Molte religioni, un’unica Alleanza, l’allora cardinale Ratzinger ha definito un tema centrale della sua teologia: Ebrei e Cristiani che adorerebbero lo stesso Dio e l’implicazione che i Cattolici non dovrebbero cercare di convertire gli Ebrei all’unica vera Fede.
Il cardinale Ratzinger scrive:
Ebrei e cristiani devono accettarsi l’un l’altro in una profonda intima riconciliazione, né violando la loro fede, né negandola, ma sulla base della profondità della fede stessa. Con la loro reciproca riconciliazione essi potranno diventare una forza per la pace nel e per il mondo. Attraverso la loro testimonianza nell’unico Dio, che non può essere adorato a prescindere dall’unità dell’amore di Dio e nemmeno in violazione della loro fede, né negandolo, ma per la profondità della fede stessa. Nel loro reciproco riconoscimento, essi potranno diventare una forza per la pace in e per il mondo…, potranno aprire la porta del mondo per questo Dio, così che possa essere fatta la sua volontà… [23].

In tutta evidenza, non possiamo fare a meno di concludere che Benedetto vede Ebrei e Cristiani come aventi una “missione comune” per portare Dio agli uomini e la pace al mondo. Non vediamo alcuna menzione della necessità degli Ebrei di convertirsi alla Chiesa per la loro salvezza, piuttosto siamo costretti a trarre la conclusione opposta.

È certamente difficile conciliare le parole del cardinale Ratzinger con l’insegnamento di Papa Pio VII, che nella sua enciclica Post tam diuturnas, denuncia l’indifferentismo e il nuovo concetto di libertà religiosa:

Per il fatto che venga proclamata l’indiscriminata libertà di tutte le forme di culto, la verità si confonde con l’errore, e la santa e immacolata sposa di Cristo è posta sullo stesso piano delle sette eretiche e anche della mancanza di fede ebraica [24].

Per questo Nostro Signore disse agli Ebrei che non lo accettavano:
Voi siete di quaggiù, io sono di lassù; voi siete di questo mondo, io non sono di questo mondo. Vi ho detto che morirete nei vostri peccati; se infatti non credete che Io Sono, morirete nei vostri peccati (Giovanni, 8, 23-24).

Al contrario, il nuovo programma post-conciliare dice effettivamente: “Se non credete che io sono Io, a modo vostro siete ancora fedeli all’Alleanza”. Questo nuovo approccio è l’esatto opposto delle parole di Cristo.


Papa Pio VII

Quando Papa Benedetto visitò la sinagoga di Roma nel 2010, ribadì lo stesso tema che si trova nei suoi libri.
Papa Benedetto disse:
Cristiani ed Ebrei hanno una grande parte di patrimonio spirituale in comune, pregano lo stesso Signore [25], hanno le stesse radici, ma rimangono spesso sconosciuti l’uno all’altro. Spetta a noi, in risposta alla chiamata di Dio, lavorare affinché rimanga sempre aperto lo spazio del dialogo, del reciproco rispetto, della crescita nell’amicizia, della comune testimonianza di fronte alle sfide del nostro tempo, che ci invitano a collaborare per il bene dell’umanità in questo mondo creato da Dio, l’Onnipotente e il Misericordioso [26].

Eppure sappiamo che gli Ebrei e i Cristiani non adorano lo stesso Dio. Gli Ebrei respingono il Dio Trinitario. Rifiutano Gesù Cristo come Signore e Messia. E San Giovanni, l’Apostolo dell’amore, scrive: “Chi non onora il Figlio, non onora il Padre che lo ha mandato” (Giovanni 5, 23).

Infine, come abbiamo notato, il nuovo approccio a rendere una “comune testimonianza” a Dio insieme con gli Ebrei, impone implicitamente che, per la loro salvezza, non si parli più della necessità della loro conversione all’unica vera Chiesa di Cristo. Così che in effetti, tale approccio dice agli Ebrei che hanno la libertà morale di vivere la loro vita come se Gesù Cristo fosse un truffatore e un impostore.

In realtà, il cardinale Koch accenna brevemente all’insidioso problema degli Ebrei che non accettano Cristo, ma lo fa in un modo che sfida la ragione. Nel suo discorso del 16 maggio, Koch dice:
 “Che gli Ebrei partecipino alla salvezza di Dio è cosa teologicamente indiscutibile, ma come questo possa essere possibile senza che confessino Cristo in modo esplicito, è e rimane un insondabile mistero divino”  [27].

È possibile che una dichiarazione di un Cardinale possa essere più insulsa? La verità è che i nostri uomini di Chiesa post-conciliari hanno distorto la dottrina cattolica tradizionale e hanno fabbricato una falsa teologia per servire il nuovo dio delle “relazioni ebraico-cattoliche”. Questi uomini di Chiesa hanno adottato contraddizioni e impossibili indovinelli e hanno provato a camuffare il disastro, avvolgendolo nel pio sudario dell’“insondabile mistero divino”.

Il “fondamentale ri-orientamento della Chiesa cattolica” operato dal Vaticano II è una manifestazione delle componenti del cattolicesimo liberale: soprattutto dell’“indifferentismo religioso” e della convinzione modernista di “qualche trasformazione del messaggio dogmatico della Chiesa nel corso dei secoli” [28].

Nel seguire l’approccio post-conciliare agli Ebrei, Papa Benedetto, per usare le parole del rabbino Rosen, sta “istituzionalizzando la rivoluzione” – una rivoluzione che si scontra frontalmente con l’infallibile decreto del Concilio di Firenze, secondo il quale “Pagani, Ebrei, eretici e scismatici” sono “fuori dalla Chiesa cattolica” e come tali “non potranno mai essere partecipi della vita eterna”, a meno che “prima di morire” non si riuniscano all’unica vera Chiesa di Gesù Cristo: la Chiesa cattolica.

Koch e l’“antisemitismo”

Negli ultimi due mesi, il Cardinale Koch ha ribadito ancora una volta la centralità di Nostra Aetate, in un discorso ai membri della Pontificia Commissione per i rapporti religiosi con l’ebraismo, pubblicato ne L’Osservatore Romano del 7 novembre.

Lo sforzo per raggiungere un accordo con la FSSPX, ha detto Koch alla Commissione, “non significa assolutamente” che la Chiesa cattolica accetti o sostenga le posizioni anti-ebraiche o antisemite che si presume abbiano sposate alcuni membri della FSSPX.

Il Santo Padre mi ha incaricato”, ha detto Koch, “di presentare la questione nel modo corretto. Per quanto riguarda l’ebraismo, Nostra Aetate non può essere messa in discussione in alcun modo dal magistero della Chiesa, come lo stesso Papa ha ripetutamente dimostrato con i suoi discorsi, con i suoi scritti  e con i suoi gesti personali riguardo agli Ebrei” [29].

L’abortista Anti-Defamation League ha immediatamente elogiato le dichiarazioni di Koch: “… Noi condividiamo ed applaudiamo la forte e chiara riaffermazione del Cardinale Koch sull’importanza di Nostra Aetate per la Chiesa cattolica”, ha detto Abraham Foxman, Direttore Nazionale dell’ADL.
Un comunicato stampa dell’ADL loda la riaffermazione di Koch che Nostra Aetate è “la bussola fondamentale di tutti gli sforzi verso il dialogo ebraico-cattolico”.
Lo stesso comunicato stampa cita il rabbino Eric J. Greenberg, direttore interreligioso dell’ADL, che ha detto che l’ADL:
chiede rispettosamente che qualsiasi potenziale riabilitazione della FSSPX, includa il requisito che la Fraternità rigetti pubblicamente i loro decenni di odio [sic], e come espressione della loro accettazione di Nostra Aetate, si esiga che rimuovano  tutta la retorica antisemita dalle loro pubblicazioni, sia on-line sia a stampa [30].

Non possiamo ritrarci troppo in fretta davanti all’accusa di “antisemitismo” o di “antigiudaismo”, fin quando non sapremo esattamente in che modo devono essere intesi questi termini abborracciati. Bisogna tenere presente che l’ADL, in linea con lo storico ebreo Jules Isaac, considera “antisemiti”: San Tommaso d’Aquino, San Giovanni Crisostomo, i santi Papi e Padri della Chiesa, nonché gli stessi autori del Santo Vangelo.

L’8 giugno del 1999, partecipai ad una serata di dialogo ebraico-cattolico in un seminario cattolico locale. I due oratori che conducevano i lavori erano il professor James McManus della Conferenza episcopale degli Stati Uniti e il rabbino Leon Klenicki della Anti-Defamation League del B'nai B'rith [31].


Il rabbino Klenicki affermò che gli uomini di Chiesa dei primi secoli (quelli che noi veneriamo come Padri della Chiesa: Agostino, Ambrogio, Cipriano, ecc.) operarono con una visione altamente imperfetta di ciò che era accaduto al tempo di Nostro Signore. Affermò anche che Pilato fu l’unico responsabile per la morte di Cristo e che i Farisei in realtà cercarono di mettere in guardia Gesù sul tradimento di Pilato.
In altre parole, Klenicki propugnò la falsa idea che i racconti evangelici degli eventi che hanno portato alla Passione e alla Morte di Nostro Signore non sono degni di fiducia, il che può significare soltanto che i Vangeli non sono veramente Parola di Dio.

La dottrina cattolica tradizionale, disse Klenicki, è stata avvelenata dal presunto “trionfalismo” e dall’“anti-giudaismo”, che si è manifestato nel cosiddetto “insegnamento del disprezzo” [32] della Chiesa cattolica al tempo del Medio Evo. Questo cosiddetto “insegnamento del disprezzo”, d’altronde, non era altro che la dottrina tradizionale della Chiesa, basata sulla Sacra Scrittura, secondo la quale Nostro Signore pose fine alla Vecchia Alleanza con la sua Passione e la sua Morte in Croce, e l’istituzione della Chiesa cattolica come Nuova Alleanza.

Per rendersi conto appieno del disprezzo che alcuni di questi gruppi di potere ebraico nutrono nei confronti di Cristo, del suo Vangelo e della sua Chiesa, e per meglio valutare il danno alla dottrina cattolica prodotto da Nostra Aetate, basta solo leggere, con un fremito, l’elogio di Papa Benedetto XVI espresso da Abraham Foxman, membro dell’Anti-Defamation League, per essersi “dedicato alla piena attuazione di questo documento [Nostra Aetate] e per il suo genuino e sincero impegno nelle relazioni cattolico-ebraiche” [33].

Trattare tutti gli uomini, cattolici e non, con amore e rispetto è richiesto sia dalla legge naturale sia da quella divina. Ed è il fine naturale dell’anima che ama veramente Cristo e conforma le sue azioni al modello divino.
Allo stesso modo, le pacifiche relazioni con le religioni non cattoliche sono legittime. Ma ri-orientare la nostra sacra dottrina per compiacere le religioni non cattoliche, come ha fatto il Vaticano II, è criminale. Lavorare a questo ri-orientamento della dottrina è, obiettivamente, un peccato contro la stessa fede. Per coloro che sono stati ordinati prima del 1967, questo peccato è aggravato dalla rottura del giuramento solenne contro il modernismo, che essi hanno prestato davanti a Dio, con una mano sulla Bibbia, alla vigilia della loro ordinazione [34].

Mentre il fedele non può in alcun modo giudicare le intenzioni soggettive del Papa (ad esempio, non sappiamo quanto lui comprenda appieno la natura oggettivamente peccaminosa delle sue azioni ecumeniche), bisogna rendersi conto che i cattolici non sono obbligati in alcun modo ad accettare queste nuovi insegnamenti, anche se provengono da un Pontefice. Ricordiamo l’istruzione data da Papa Innocenzo III, che ha insegnato che se un Papa si discosta dagli insegnamenti universali e dai costumi della Chiesa, “non bisogna seguirlo” [35]. In realtà, come insegna San Roberto Bellarmino, abbiamo il dovere di resistere [36].

Il Messaggio di Fatima ci esorta a “pregare molto per il Santo Padre”.

Che Nostro Signore ci invii presto un Pontefice che sia nuovamente fedele al monito del Vaticano I e al Giuramento antimodernista, per insegnare e preservare la fede “nello stesso senso e secondo una stessa interpretazione”, come la Chiesa ha sempre insegnato nel corso dei secoli.

NOTE

1
- CARD. KURT KOCH, Building on Nostra Aetate - 50 Years of Christian-Jewish Dialogue [Costruire su Nostra Aetate: 50 anni di dialogo ebreo-cristiano], Lettura alla Pontificia Università San Tommaso d’Aquino (Angelicum), Centro Giovanni Paolo II, Roma, 16 maggio 2012. Pubblicato dal Council of Centers of Jewish-Catholic Relations (i neretti sono miei).
2 - Da Pope to Make Symbolic Visit to Rome Synagogue this Sunday, in Catholic Herald, 15 gennaio 2010 (i neretti sono miei).
3 - KOCH, Building on Nostra Aetate.
4 - Si veda: PROF. JOHN CONNELLY, From Enemy to Brother: The Revolution in Catholic Teaching on the Jews, 1933-1965, Harvard University Press, 2012. Il libro dell’autore è chiaramente in sintonia con i progressisti, ma questo non toglie nulla al valore della documentazione. Questo libro appena pubblicato, documenta il lavoro dei teologi progressisti pre-Vaticano II per la costruzione di una nuova teologia in grado di favorire le moderne relazioni ebraico-cattoliche. Fu il lavoro di questi teologi, in primo luogo quello di Karl Theime, che gettò le basi per il nuovo approccio di Nostra Aetate. Speriamo di poter fornire maggiori dettagli su questo materiale in un prossimo numero di CFN.
5 - ABATE COLUMBA MARMION, Christ the Life of the Soul, St. Louis, Herder, 1925, p. 33.
6 - “La razza umana dopo la sua miserevole caduta da Dio, Creatore e Datore dei doni celesti, ‘per invidia del diavolo’ fu divisa in due parti diverse, di cui l’una sostiene con fermezza la verità e la virtù, l’altra quelle cose che sono contrarie alla virtù e alla verità. L’una è il Regno di Dio sulla terra, la vera Chiesa di Gesù Cristo, e coloro che desiderano col cuore di essere uniti con esso, in modo da ottenere la salvezza,  devono necessariamente servire Dio e il Suo Figlio Unigenito con tutta la mente e con l’intera volontà. L’altra è il regno di Satana, nel cui possesso e controllo si trovano tutti coloro che seguono il fatale esempio del loro capo e dei nostri primi genitori, tutti coloro che si rifiutano di obbedire alla legge divina ed eterna, e che perseguono molti obiettivi propri in spregio a Dio, e molti obiettivi anche contro Dio. Questo duplice regno, Sant’Agostino, con acuto discernimento, lo ha descritto come due città, in contrasto nelle loro leggi perché in lotta per obiettivi contrari; e con sottile brevità ne ha espresso la causa efficiente con queste parole: ‘due amori hanno formato le due città: l’amore di sé, che arriva fino al disprezzo di Dio: la città terrena; l’amore di Dio, che arriva fino al disprezzo di sé: la città celeste’. In ogni tempo l’una è stata in lotta con l’altra…”. La citazione è tratta da MONS. FENTON, The Catholic Church and Salvation [La Chiesa cattolica e la salvezza], p. 135. (i neretti sono miei). Eppure, come spiega Michael Davies in Pope John’s Council, il Vaticano II, in particolare il documento conciliare Gaudium et spes, ha di fatto abbandonato la dottrina dei due regni. Davies scrive, “Gaudium et spes è pervasa dall’idea che tutti gli uomini sono fondamentalmente uomini di buona volontà, alla ricerca della verità e ansiosi di fare il bene. Lungi dall’idea di conflitto tra la Città di Dio e la città dell’uomo [come esposto, come abbiamo appena visto, negli scritti di Sant’Agostino e di Papa Leone XIII - Humanum Genus], il documento conciliare Gaudium et spes prevede un futuro in cui le due città lavoreranno insieme per il bene comune del genere umano.” (Pope John’s Council, pp 184-185).
7 - Si veda: MONS. JOSEPH CLIFFORD FENTON, The Meaning of the Word ‘Church’[Il significato della parola “Chiesa”], in American Ecclesiastical Review, ottobre 1954.
8 - Padre Ralph Wiltgen rivela che, nei documenti conciliari, i progressisti avrebbero usato termini ambigui in modo da poterli sfruttare in seguito. Egli cita un peritus progressista del Concilio che ha detto: “Stiamo stabilendo questo in maniera diplomatica, ma dopo il Concilio trarremo le conclusioni implicite in esso.” (PADRE RALPH WILTGEN, SVD, The Rhine Flows into the Tiber (Il Reno si getta nel Tevere), originariamente pubblicato nel 1966 da Hawthorne Books, ristampato da Tan Books nel 1985, Pag. 242). Michael Davies, nel suo libro Pope John’s Council, dedica un intero capitolo a queste deliberate “bombe a orologeria”.
9 - Tratto da JEAN MADIRAN, L'accord secret de Rome avec les dirigeants juifs (L'accordo segreto di Roma con i dirigenti ebrei), in Itineraires, autunno 1990 (i neretti sono miei). Per una sintesi dell’articolo di Madiran si veda: Common Mission and Significant Silence, in CFN, aprile 2011.
10
- Ibid.
11 - Nel suo primo discorso da Papa, Giovanni Paolo II non ha parlato del suo dovere di preservare la purezza della dottrina cattolica contro i molti errori del tempo, come aveva fatto Papa San Pio X. Al contrario, Giovanni Paolo II ha considerato suo compito primario promuovere l’agenda progressista del Vaticano II. Il 17 ottobre 1978, il neo-eletto Giovanni Paolo II disse: “Consideriamo, perciò, un compito primario quello di promuovere, con azione prudente e insieme stimolante, la più esatta esecuzione delle norme e degli orientamenti del medesimo Concilio, favorendo innanzitutto l’acquisizione di un’adeguata mentalità. Intendiamo dire che occorre prima mettersi in sintonia col Concilio per attuare praticamente quel che esso ha enunciato, per rendere esplicito, anche alla luce delle successive sperimentazioni e in rapporto alle istanze emergenti e alle nuove circostanze, ciò che in esso è implicito”. (Primo radiomessaggio dalla Cappella Sistina - i neretti sono miei).
12 - Da: JEAN MADIRAN, La question juive dans l’Eglise [La questione ebraica nella Chiesa], in Itineraires, marzo 1986, pubblicato in inglese in Supplement to Approaches, n° 93, p. 4.
13 - Ibid., p. 4.
14 - Ibid., p. 5.
15 - Ibid., p. 8.
16 - Ibid. (i neretti sono miei)
17 - Pubblicato il 27 settembre 2012 sul sito della CFN: www.cfnews.org/tiss-sept27.htm [in italiano si veda la conferenza in questo sito]
18 - BENEDETTO XVI, Gesù Nazareth, vol 2: Dall’ingresso a Gerusalemme fino alla risurrezione, pp. 44-45 dell’edizione inglese [Jesus of Nazareth Part II: Holy Week: From the Entrance into Jerusalem to the Resurrection]. (i neretti sono miei).
19 - Il teologo progressista Karl Theime, che il Prof. John Connelly chiama un pioniere nelle moderne relazioni ebraico-cattoliche, propose un tema simile prima del Vaticano II. “Theime notava che Paolo aveva infatti profetizzato che ‘tutto Israele sarà salvato’, ma solo dopo che il 'numero completo' dei Gentili sarà entrato nel Regno messianico. Se la salvezza di Israele è certa, le attività missionarie dovrebbero concentrarsi su quelli la cui salvezza non è certa. Questa nuova lettura era già divenuta popolare nell’emergente dialogo ebraico-cristiano in Francia, dove Jules Isaac sosteneva che il significato della missione doveva trasferirsi in un mondo post-Olocausto.” (From Enemy to Brother, pag. 203). Il giovane Don Joseph Ratzinger era in corrispondenza con Karl Theime. Maggiori informazioni su questo vasto argomento, nei prossimi numeri di CFN.
20 - “Letter to England to Summon the Second Crusade, 1146”. Traduz. di Bruno Scott James, The Letters of St. Bernard of Clairvaux (London: Burns Oates, 1953). Tratto dalla pagina web del Council of Centers on Jewish-Catholic Relations.
21 - In PADRE EDWARD HANAHOE, Ecumenism and Ecclesiology, Part II, in American Ecclesiastical Review, novembre 1962.
22 - FATHER DAVID GREENSTOCK, Unity: Special Problems, Dogmatic and Moral, in The Thomist, 1963, citato in un articolo della The Ecumenical Review, VIII, gennaio 1956.
23 - JOSEPH RATZINGER, Many Religions – One Covenant, San Francisco: Ignatius Press, 1998, p. 45-46 [Joseph Ratzinger, Molte religioni, un’unica alleanza, Ed. San Paolo, 2007].
24 - Lettera di Pio VII a Mons. de Boulogne, Post tam diurturnas, citata in FATHER DENIS FAHEY, The Kingship of Christ and Organized Naturalism, 1943 e 1987, p. 10. Citata anche in The Kingship of Christ and the Conversion of the Jewish Nation, p. 12.
25 - Parlando della nozione modernista secondo la quale varie religioni adorerebbero lo stesso Dio, l’eminente teologo Padre Reginald Garrigou-Lagrange ha spiegato che tale principio nega il principio di non-contraddizione, che è il principio fondamentale della ragione. Padre Garrigou-Lagrange, spiega: “È ingiurioso dire che Dio avrebbe considerato con equanimità tutte le religioni, mentre l’una insegna la verità e l’altra l’errore, mentre l’una promette il bene e l’altra promette il male. Dire questo equivale all’affermare che Dio sarebbe indifferente al bene e al male, a ciò che è onesto e a ciò che è vergognoso” (De Revelatione, Paris: Galbalda, 1921, Tome 2, citato da PADRE FRANÇOIS KNITTEL, Christians, Muslims and Jews: Do we all Have the Same God? [Cristiani, Musulmani ed Ebrei: abbiamo tutti lo stesso Dio?], in  Christendom, novembre-dicembre 2007).
26 - Il Signore ha fatto grandi cose per loro, Intervento pronunciato da Papa Benedetto XVI nella Sinagoga di Roma, 17 gennaio 2010, in Zenit, 17 gennaio 2010.
27 - KOCH, Building on Nostra Aetate.
28 - Si veda: MONS. JOSEPH CLIFFORD FENTON, The Components of Liberal Catholicism [Le componenti del cattolicesimo liberale], in American Ecclesiastical Review, luglio 1958. Per una lettura che descrive queste componenti come la radice del nuovo orientamento del Vaticano II, si consulti il CD audio “Catholic Identity Theft; The Components of Liberal Catholicism” di John Vennari (Oltyn Library Services, 2316 Delaware Ave, PMB 325, Buffalo NY 14216).
29 - Cardinal: Vatican-SSPX talks do not signal toleration of anti-Judaism, in Catholic News Service, 8 novembre 2012.
30 - Comunicato stampa dell’ADL del 12 novembre 2012: ADL Praise Cardinal Koch’s Reaffirmation of Positive Relations Between Catholics and Jews.
31 - I resoconti di questa serata di dialogo ebraico-cattolico sono pubblicati in J. VENNARI, The Gospel According to Non-Believers, Part I, Catholic Family News, Maggio 2000.
32 - L’espressione “insegnamento del disprezzo” è stata effettivamente coniata dal Prof. Jules Isaac (1877-1963), lo storico ebreo francese riverito dagli Ebrei di tutto il mondo. Nei suoi molti scritti, Isaac ha mosso guerra ai Santi Vangeli come la “vera fonte” dell’antisemitismo. Secondo Isaac: “La permanente fonte dell’antisemitismo non è altro che l’insegnamento religioso cristiano con le sue descrizioni e le sue tendenziose interpretazioni tradizionali della Scrittura”. Dal momento che Jules Isaac rifiuta Gesù Cristo come Messia, necessariamente rigetta il Nuovo Testamento come ispirata e infallibile Parola di Dio. Per lui, i Vangeli sono scritti umani fallibili che possono essere criticati, corretti o condannati. Egli è particolarmente virulento contro il Vangelo di Matteo: “È una vera e propria competizione a chi può fare apparire più odiosi gli Ebrei. Ampiamente variegato e patetico, come è il narratore del quarto Vangelo [San Giovanni], la palma va a Matteo, la sua mano infallibile ha scagliato la freccia avvelenata che non potrà mai essere ritirata”, Jules Isaac: Gesù e Israele. Citato in VISCONTE LEON DE PONCIS, Judaism and the Vatican (Giudaismo e Vaticano), 1967, ristampato da Christian Book Club of American, Palmdale, CA, 1999, p. 4.
33 - Comunicato stampa dell’ADL del 12 novembre 2012.
34 - Mons. Joseph Clifford Fenton insegnava che un uomo che ha prestato il giuramento antimodernista e che poi sostiene il modernismo stesso o permette che il modernismo avanzi “marcherebbe se stesso, non solo come peccatore contro la fede cattolica, ma anche come comune spergiuro.” (MONS. JOSEPH CLIFFORD FENTON, Sacrorum Antistitum and the Background of the Oath Angaist Modernism, in The American Ecclesiastical Review, ottobre 1960, pp 259-260.
35 - Il Cardinale Giovanni da Torquemada (1388-1468) è stato un venerato teologo medievale, responsabile della formulazione delle dottrine che sono state definite al Concilio di Firenze. Il Cardinale Torquemada insegna: “Se il Papa comanda qualcosa contro le Sacre Scritture o gli articoli di fede o la verità dei sacramenti o i dettami della legge naturale o divina, non gli si deve ubbidire e i suoi comandi devono essere ignorati”. Citando la dottrina di Papa Innocenzo III, il cardinale Torquemada insegna ancora: “Così, Papa Innocenzo III (De Consuetudine) afferma che è necessario obbedire al Papa in tutte le cose, finché lui stesso non vada contro i costumi universali della Chiesa, se egli  dovesse andare contro i costumi universali della Chiesa “ è necessario non seguirlo”. Fonte: Summa de Ecclesia, Venezia, M. Tranmezium, 1561, Lib. II, c. 49, pag. 163B.
36  - San Roberto Bellarmino, Dottore della Chiesa, insegna: “Così come è lecito resistere al Pontefice che aggredisce il corpo, è anche lecito resistere a colui che aggredisce l’anima o che disturba l’ordine civile, o, soprattutto, che tenta di distruggere la Chiesa. Dico che è lecito resistergli: non facendo ciò che ordina e impedendo che la sua volontà venga eseguita; non è lecito, invece, giudicarlo, punirlo o deporlo, dal momento che questi sono atti propri di un superiore” (De Romano Pontifice, lib. II, cap. 29, in Opera omnia, Napoli/Palermo/Parigi, Pedone Lauriel, 1871, vol. I, p. 418). Per ulteriori informazioni, si veda: J. VENNARI, Resisting Wayward Prelates, According to the Saints, in Catholic Family News, gennaio 1998.



tratto da: Unavox.it