lunedì 25 aprile 2016

Riconoscimento canonico unilaterale: quale pericolo per la Fede?





Riconoscimento canonico unilaterale:
quale pericolo per la Fede?



 In seguito alla diffusione del documento
Riflessioni sulla Chiesa e sulla posizione della FSSPX al suo interno,
a firma di Don Franz Schmidberger della FSSPX
è stato diffuso, a mo' di risposta, il seguente articolo,
che noi abbiamo ripreso dal sito
Gloria TV


 L'immagine e l'impaginazione sono nostre




Don Franz Schmidberger e Mons. Bernard Fellay


Forse si potrà pensare che dopotutto, se a Roma piace riconoscerci ufficialmente senza chiederci alcunché in cambio, la cosa potrebbe andare benissimo e ci potrebbe anche permettere di avere una più ampia diffusione.
Era così che la pensava Mons. Lefebvre?

1. Un riconoscimento canonico ci pone sotto dei nuovi Superiori

«Questo trasferimento di autorità, è questo che è grave, è cosa eccessivamente grave. Non basta dire: “Non cambia niente nella pratica (1). È questo trasferimento che è molto grave, perché l’intenzione di queste autorità è di distruggere la Tradizione» (2).
«Non sono i sottoposti che fanno i Superiori, ma i Superiori che fanno i sottoposti» (3).
«Sentiamo la necessità assoluta di avere delle autorità ecclesiastiche che sposino le nostre preoccupazioni e che ci aiutino a premunirci contro lo spirito del Vaticano II e lo spirito di Assisi» (4).
A questo si aggiunga il fatto che i vescovi della Fraternità invecchiano, quando ci sarà bisogno di consacrare dei nuovi vescovi per rimpiazzarli, per la loro scelta occorrerà avere l’approvazione della Roma attuale, la quale, se ancora non si è convertita, non accetterà mai dei candidati antiliberali e antimodernisti. Questo significa correre al suicidio della Tradizione.


2. Un riconoscimento canonico, anche unilaterale, nelle circostanze attuali fa inevitabilmente fermare la battaglia per la Fede.

Vi è un processo psicologico evidente: quando ci si è posti sotto dei nuovi Superiori, si smette di criticare i propri nuovi maestri, per non rischiare di perdere uno status che è stato ottenuto dopo anni di fatiche. D’altronde, Mons. Fellay ha cessato da tempo i suoi attacchi alla Roma conciliare, su richiesta della stessa Roma:
«Roma si augura che noi attacchiamo di meno, e io sono d’accordo» (5).
Ad Arcadia, in California, il 10 maggio 2015, Mons. Fellay precisò:
«Quando vediamo il Papa, i cardinali, i vescovi, dire delle cose malvagie, non siamo pronti a criticarli rapidamente? Ma pensate che questo li aiuterà? Una preghiera per loro li aiuterà maggiormente»

Ma il semplice fatto di non denunciare più gli scandali di Roma, o di farlo solo timidamente e sotto la pressione dei fedeli e dei sacerdoti inquieti, evitando di prendere di mira personalmente il Papa, fa assomigliare sempre più la Tradizione alle comunità rientrate, che hanno abbandonato la battaglia per la Fede.

È interessante rileggere ciò che scriveva Mons. Fellay dopo il riconoscimento unilaterale del clero tradizionale di Campos (Brasile) da parte della Roma conciliare:
«Un’attitudine di duplicità implicita è divenuta come la norma … Si sottolineano i punti dell’attuale pontificato che appaiono favorevoli e si passa sotto reverenziale silenzio ciò che non va bene. Si potrà dire tutto ciò che si vorrà: il 18 gennaio 2002 a Campos, non vi è stato solo un riconoscimento unilaterale di Campos da parte di Roma, ma si è avuta una contropartita: la complicità del silenzio. Così, a poco a poco, la battaglia si dissolve e si finisce per accomodarsi nella situazione. Certo, a Campos, tutto ciò che è positivamente tradizionale è conservato, dunque i fedeli non vedono il cambiamento, tranne i più attenti che fanno notare la tendenza a parlare di più e più rispettosamente delle dichiarazioni e degli avvenimenti romani attuali, omettendo le messe in guardia di un tempo e le deviazioni odierne» (6).
Mons. Fellay rimproverava in particolare al clero di Campos di non aver reagito pubblicamente quando Giovanni Paolo II organizzò di nuovo la stessa riunione nella città di San Francesco (questo clero si era appena riconciliato con la Roma conciliare):
«Bisogna distinguere una mancanza alla virtù della stessa Fede da un difetto nella confessione pubblica della Fede, che in certe circostanze è necessaria, come ricordò Mons. de Castro Mayer il giorno delle consacrazioni [1988]. Ora, una prevaricazione come quella di Assisi reclama tale confessione pubblica… che noi non abbiamo ascoltato da parte di Campos» (7) [e che noi non ascoltiamo più da parte di Menzingen].
Tuttavia, le conseguenze di questo silenzio sono molto pericolose per la stessa Fede, come faceva notare Mons. Lefebvre:
«Dal punto di vista delle idee, essi [queste comunità riconciliate] virano molto dolcemente e finiscono con l’ammettere le false idee del Concilio, perché Roma accorda loro qualche favore per la Tradizione. È una situazione molto pericolosa.» (8).
L’aveva constatato lo stesso Benedetto XVI. Dopo la remissione delle «scomuniche» e per rassicurare i vescovi del mondo intero su un possibile riconoscimento della Fraternità San Pio X, scrisse loro:
«Io stesso ho visto, negli anni dopo il 1988, come mediante il ritorno di comunità prima separate da Roma sia cambiato il loro clima interno; come il ritorno nella grande ed ampia Chiesa comune abbia fatto superare posizioni unilaterali e sciolto irrigidimenti così che poi ne sono emerse forze positive per l’insieme.» (9).

3. La Prelatura Personale ci fa rientrare di fatto nella Chiesa conciliare


Aggiungiamo che la Prelatura Personale che verrebbe accordata a Mons. Fellay, come lascia intendere Roma, e che è un’innovazione del nuovo Codice di Diritto Canonico, dà giurisdizione al Prelato solo sui suoi sacerdoti. Riguardo all’apostolato, il Canone 297 precisa:
«Parimenti gli statuti definiscano i rapporti della prelatura personale con gli Ordinari del luogo nelle cui Chiese particolari la prelatura stessa esercita o intende esercitare, previo consenso del Vescovo diocesano, le sue opere pastorali o missionarie.» (10).

Se questa Prelatura fosse accordata, il riconoscimento unilaterale sarebbe quindi, né più né meno, un rientro, poiché essa metterebbe i sacerdoti e i fedeli sotto le direttive del nuovo Codice, che è la versione legislativa delle novità del Vaticano II.


4. Un riconoscimento canonico sopprime le nostre protezioni, mettendoci in pericolosa coabitazione con il clero e con i fedeli conciliari


Diamo qui uno stralcio di alcune note che Mons. Lefebvre aveva consegnato ai Superiori religiosi in occasione di una riunione svoltasi al Priorato di Pointet il 30 maggio 1988, per chiedere il loro parere sulla possibilità di un riconoscimento da parte di Roma:

«Relazioni con i vescovi, il clero e i fedeli conciliari:
«malgrado l’esenzione molto estesa, con le barriere canoniche sparite, vi saranno necessariamente dei contatti di cortesia e forse delle offerte di cooperazione: per le unioni scolari – unioni dei Superiori, riunioni sacerdotali, cerimonie regionali, ecc – Tutto questo mondo è di spirito conciliare, ecumenista, carismatico.
[…]
«Fino ad oggi noi ci siamo protetti naturalmente, la selezione veniva assicurata di per sé, anche per la necessità di una rottura con il mondo conciliare. Da allora bisognerà prendere delle precauzioni continue, premunirsi senza sosta nei confronti degli ambienti romani, degli ambienti diocesani. È per questo che noi vogliamo tre-quattro vescovi e la maggioranza nel Consiglio romano (11). Il problema morale che si pone quindi per noi è: dobbiamo assumerci i rischi dei contatti con questi ambienti modernisti, con la speranza di convertire qualche anima e con la speranza di potersi premunire, con la grazia di Dio e con la virtù della prudenza, e così rimanere uniti a Roma nella lettera nonostante non lo siamo nella realtà e nello spirito? Oppure dobbiamo prima di tutto preservare la famiglia tradizionale per mantenere la sua coesione e il suo vigore nella Fede e nella grazia, considerando che il legame puramente formale con la Roma modernista non può essere preso in considerazione per la protezione di questa famiglia, che rappresenta ciò che resta della vera Chiesa cattolica?»

«Se avessimo accettato [l’accordo], noi saremmo morti! Non saremmo durati un anno. Saremo divenuti conciliari» (12).
Citiamo anche ciò che Monsignore disse al cardinale Ratzinger il 14 luglio 1987:
«Eminenza, anche se ci concedeste un vescovo, anche se ci concedeste una certa autonomia in rapporto ai vescovi, anche se ci concedeste tutta la liturgia del 1962, se ci concedeste di continuare con i seminari e la Fraternità come facciamo adesso, noi non potremmo collaborare, è impossibile; perché noi lavoriamo in direzioni diametralmente opposte: voi lavorate alla decristianizzazione della società, della persona umana, della Chiesa, noi lavoriamo alla cristianizzazione. Non ci si può intendere. Lei mi ha appena detto che la società non può essere cristiana.» (13).
È per questo che, dopo aver provato invano per tanti anni di ottenere un riconoscimento con tutte le protezioni necessarie, Mons. Lefebvre non considerava più possibile un accordo con Roma senza prima la conversione del Papa e della gerarchia dell’epoca. E ai futuri vescovi, prima della consacrazione scrisse:
«Vi conferisco questa grazia confidando che quanto prima la Sede di Pietro sarà occupata da un successore di Pietro perfettamente cattolico (14), nelle mani del quale voi potrete rimettere la grazia del vostro episcopato perché egli la confermi.» (15).
Egli riaffermerà questa necessità della conversione di Roma in diverse occasioni, per esempio:
«È dunque uno stretto dovere per ogni sacerdote che voglia rimanere cattolico, separarsi dalla Chiesa conciliare, fino a quando essa non ritroverà la Tradizione del Magistero della Chiesa e della Fede cattolica» (Itinerario spirituale [1990], ed. Ichthys, Albano Laziale,  p. 34)
«Quando mi si chiede quando ci sarà un accordo con Roma, la mia risposta è semplice: quando Roma re intronizzerà Nostro Signore Gesù Cristo» (16)


Parlando del tentativo di accordo fatto nel 1988, scriverà:
«…io mi sono spinto più oltre di quanto avrei dovuto fare» (17).
Non si comprende dunque come Mons. de Galarreta, a Bailly, il 17 gennaio 2016, a proposito del rifiuto di un accordo, abbia potuto dire:
«non era questa la posizione di Mons. Lefebvre»;
e Mons. Tissier de Mallerais, il 21 marzo 2016:
«Mons. Lefebvre non ha mai posto, come condizione per il nostro nuovo riconoscimento, che Roma abbandonasse gli errori e le riforme conciliari» (18),
quando un anno prima, in una bella predica fatta a Chicago, l’1 gennaio 2015, usava queste pesanti parole:
«Noi metteremo in opera ciò che Mons. Lefebvre, nostro fondatore, scrisse nel suo Itinerario spirituale, che è il suo testamento spirituale: «È dunque uno stretto dovere per ogni sacerdote che voglia rimanere cattolico, separarsi dalla Chiesa conciliare, fino a quando essa non ritroverà la Tradizione del Magistero della Chiesa e della Fede cattolica» (Itinerario spirituale [1990], ed. Ichthys, Albano Laziale,  p. 34).
La Fraternità San Pio X confermò la posizione di Mons. Lefebvre nel suo Capitolo Generale del 2006:
«…i contatti che essa mantiene sporadicamente con le autorità romane hanno per unico scopo di aiutarle a riappropriarsi della Tradizione che la Chiesa non può perdere senza rinnegare la propria identità, e non la ricerca di un vantaggio per se stessa, o di giungere ad un impossibile “accordo” puramente pratico
Questa posizione venne mantenuta fino al 2012, e Mons. Fellay predicava chiaramente:
«È impossibile e inconcepibile considerare degli accordi prima che i colloqui [dottrinali] non siano riusciti a chiarire e correggere i princípi della crisi» (Fideliter, maggio-giugno 2006).
La situazione a Roma sarebbe talmente migliorata da pensare che tutto questo che abbiamo appena ricordato oggi non sarebbe più vero?


NOTE

1
– È quello che dicono all’inizio i rientrati per giustificarsi.
2 – Mons. Lefebvre, Conferenza a Ecône l’8 ottobre 1988
3 – Mons. Lefebvre, in Fideliter n° 70, p. 6. Ne abbiamo avuto una nuova prova con i Francescani dell’Immacolata, fortemente sanzionati da Papa Francesco (tutti i Superiori importanti allontanati dal loro incarico) per essere passati alla Messa tradizionale appoggiandosi tuttavia sul Motu Proprio di Benedetto XVI. Oggi si fa firmare ai novizi un documento in cui si impegnano a celebrare la nuova Messa.
4 – Mons. Lefebvre, Lettera al Papa Giovanni Paolo II del 2 giugno 1988. È Francesco che ci proteggerà dallo spirito del Vaticano II e dallo spirito di Assisi?
5 – Mons. Fellay, Conferenza al seminario di Winona (USA) del febbraio 2015.
6 – Mons. Fellay, Lettera agli amici e benefattori della Fraternità San Pio X, n° 54, gennaio-febbraio 2003.
7Nouvelles de Chrétienté n° 73, marzo aprile 2002.
8 – Mons. Lefebvre, Intervista apparsa su Fideliter n° 79, gennaio-febbraio 1991.
9 – Benedetto XVI, Lettera 
ai vescovi della Chiesa cattolica 
riguardo alla remissione della scomunica dei  
quattro vescovi consacrati dall'arcivescovo Lefebvre, 
10 marzo 2009.
10 – Il commento al nuovo Codice fatto dal canonico Paralieu (Bourges, Trady, 1985) dice chiaramente: «Il Prelato che è a capo della Prelatura non ha dunque un suo popolo» (p. 113). Quindi i fedeli rimangono sotto la giurisdizione del vescovo diocesano.
Il commento di Caparros (Montréal, Wilson et Lafleur Itée, 1999) precisa ancora: «Le opere pastorali o missionarie a cui si riferisce qui il Codice costituiscono la finalità per la quale la Santa Sede erige le prelature personali. Queste opere […] devono inserirsi armoniosamente nella pastorale comune della Chiesa universale, così come nella pastorale organica delle Chiese particolari» (p. 231). Non rimarrà più gran cosa della libertà dei Priorati. La Prelatura è una vera trappola. Mons. Lefebvre non aveva mai considerato la Prelatura personale, ma un “Ordinariato”, struttura che esisteva prima del Concilio, per esempio per il vescovo militare, e che esenta i fedeli dalla giurisdizione del vescovo locale (si veda Mons. Marcel Lefebvre, una vita, di Mons. Tissier de Mallerais, Ed. Tabula Fati, Chieti, 2005, p. 623).
Oggi, Roma si guarda bene dall’avanzare questa possibilità.
11 – Per proteggerci in caso di accordo, Mons. Lefebvre voleva una Commissione a Roma composta con una maggioranza di tradizionalisti, per regolare i problemi tra i vescovi diocesani e la Tradizione. Roma non accettò mai; e non se n’è più parlato, né per alcuna comunità rientrata, né nelle trattative tra Mons. Fellay e la Roma modernista.
Ora, questo è il minimo che si dovrebbe esigere.
12 – Consiglio ai futuri vescovi prima della consacrazione, pubblicato su Le Sel de la Terre n° 28, primavera 1999.
13 – Mons. Lefebvre, Conferenza ai sacerdoti a Ecône, per il ritiro sacerdotale, 1 settembre 1987. Mons. Lefebvre parla, tra l’altro, del colloquio avuto a Roma col Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede il 14 luglio 1987.
14 – Ne siamo ben lontani con Francesco.
15 – Mons. Lefebvre, Lettera ai futuri vescovi, 29 agosto 1987. Se si accettasse un riconoscimento canonico, contrasterebbe con l’intenzione espressa da Mons. Lefebvre al momento della consacrazione dei quattro vescovi.
16 – Mons. Lefebvre, Conferenza a Flavigny, dicembre 1988, su Fideliter n° 68, p. 16.
17Intervista, su Fideliter 79, gennaio-febbraio 1991, a due mesi della morte.
18 – Pubblicato su La Porte Latine il 22 marzo 2016.


tratto da: http://www.unavox.it/ArtDiversi/DIV1495_Riconoscimento_canonico_unilaterale.html

sabato 23 aprile 2016

La scure: La cernita divina Per il giusto è sorta la luce, ...



 



La scure: La cernita divina

 Per il giusto è sorta la luce, la letizia per i retti di cuore (Sal 96, 11).


Ora il gioco si fa duro. Grandi e dolorose scelte ci stanno di fronte. Ma abbiamo la certezza che il Signore onnipotente ci guida per mezzo della Sua santissima Madre. Anche le parole ispirate della preghiera si caricano di significati gravi, ma illuminanti. Verba iniquorum praevaluerunt super nos (Sal 64, 4): voglia Dio che i discorsi degli iniqui, che in questo momento hanno più forza di quelli dei giusti, non prevalgano sulla nostra coscienza. Le mie parole non passeranno (Mc 13, 31), ci assicura il nostro Maestro – e questo ci basta. Certo, vorremmo che i giusti parlassero forte e chiaro; ma per il momento sembrano meritarsi la condanna del Salmista: Omnes declinaverunt, simul inutiles facti sunt (Sal 13, 3). A meno che non sia una forma di resistenza passiva, anche i buoni Pastori sembrano tutti dileguati o finiti fuori strada; in ogni caso, se non si svegliano, saremo costretti a concludere che, per un motivo o per un altro, son diventati inutili.

Giusto trecento anni fa, il 28 aprile 1716, moriva il grande Patrono della nostra Parrocchia virtuale. L’importante anniversario non può passare inavvertito, almeno per noi. Invito perciò tutti a recitare, giovedì prossimo, la sua sublime Preghiera infuocata, in gruppo o singolarmente. Si direbbe che l’abbia composta per la nostra epoca; il suo carisma profetico, d’altronde, era più che evidente. «È tempo che tu agisca, secondo la tua promessa. Hanno violato la tua legge (Sal 118, 126), è stato abbandonato il tuo vangelo, torrenti di iniquità dilagano sulla terra e travolgono perfino i tuoi servi. Tutta la terra si trova in uno stato deplorevole, l’empietà siede in trono, il tuo santuario è profanato e l’abominio è giunto nel luogo santo (cf. Mt 24, 15). Signore, Dio giusto, lascerai nel tuo zelo che tutto vada in rovina? Tutto diverrà alla fine come Sodoma e Gomorra? Continuerai sempre a tacere e sempre pazienterai? La tua volontà non deve compiersi in terra come in cielo, e non deve stabilirsi il tuo regno? Non hai rivelato, già da tempo, a qualcuno dei tuoi amici un futuro rinnovamento della Chiesa? Non devono gli Ebrei riconoscere la verità?».

È possibile che il Santo della vera devozione a Maria, dotato di una coscienza ipersensibile nei riguardi degli inevitabili limiti della vita cristiana di ogni tempo, li abbia percepiti in modo un po’ esasperato; ma le condizioni religiose della sua epoca, per quanto sempre perfettibili, non sembrano giustificare le sue invettive. Dopo la crisi calvinista e le cosiddette guerre di religione, finanziate da immancabili banchieri votatisi alla distruzione del cristianesimo, la Francia rifioriva nella fede grazie all’applicazione dei decreti del Concilio di Trento, a una pleiade di altissimi autori spirituali e a un efficace rinnovamento del clero, che usciva santo e preparato dai nuovi seminari, mentre nuovi ordini e congregazioni, tanto nella vita attiva che in quella contemplativa, si diffondevano in modo strabiliante, offrendo alla Chiesa straordinarie figure di Santi. Il rischio era semmai quello opposto delle derive rigoriste, come nel caso del giansenismo, prontamente represso, tuttavia, sia a livello civile che ecclesiastico, almeno oltralpe.

Non si spiega dunque il pessimismo di san Luigi Maria, a meno che non si riferisse all’insorgere di quel libertinismo che, ammantato di “progresso” e rabbioso di ribellione contro la “superstizione” cattolica, sarebbe dilagato nel XVIII secolo, del quale egli non vide però che gli albori. In ogni caso, le terre solcate a piedi dall’infaticabile missionario itinerante, morto di sfinimento all’età di quarantatre anni, otto decadi più tardi avrebbero subìto l’orrenda repressione operata dalle colonne infernali inviate dai giacobini di Parigi. Proprio dal Paese che era chiamato la fille aînée de l’Église uscirà un anticristo còrso che, come un fulmine, raggiungerà Roma e rapirà nientemeno che il Papa. La Chiesa sembrerà finita, ma la Provvidenza aveva altri progetti; una dozzina d’anni dopo, la volata dell’effimero imperatore sarà fermata a Mosca e, per lui, sarà l’inizio della fine. Quei pochi anni di dominio, tuttavia, basteranno all’uom fatale per riempire l’Europa, compresa l’Italia e lo Stato Pontificio, di quelle logge massoniche che provocheranno poi le cosiddette rivoluzioni liberali, la rivoluzione bolscevica e ben due guerre mondiali.

La profezia del Montfort, allora, si è compiuta in questi eventi storici? Eppure la profanazione del Santuario e la penetrazione dell’abominio nel Luogo santo non si erano ancora verificati, almeno non nella forma attuale. Si era attaccata la religione dall’esterno, ma ora è dall’interno che proviene la dissoluzione. Sodoma non si era ancora introdotta nella Città di Dio rivestendosi delle sue vesti e della sua dignità. Le verità teologiche e morali non erano state stravolte da chi dovrebbe difenderle e insegnarle: Diminutae sunt veritates a filiis hominum (Sal 11, 2). Non si era mai peccato contro lo Spirito Santo in modo così sfacciato da giungere ad affermare in un documento pontificio che «la misericordia è la pienezza della giustizia e la manifestazione più luminosa della verità di Dio» (Amoris laetitia, 311) nel momento stesso in cui è presentata come negazione della verità e della giustizia in quanto atteggiamento arbitrario totalmente sganciato dalla Sua Legge, declassata a fonte di ispirazione per le decisioni personali (purché uno non abbia troppe difficoltà a comprendere i valori insiti nella norma morale, peraltro ben conosciuta…). Che io sappia, i Comandamenti obbligano in virtù del fatto che sono stati dati da Dio, non in base alla comprensione soggettiva dell’individuo; ma la nuova morale mondano-chiesastica adora ormai non più Dio, ma l’io.

È tutto perduto? Certo che no! Il Signore sta semplicemente facendo la Sua cernita, distinguendo i Suoi fedeli dagli ipocriti, purificando i primi e smascherando i secondi in vista del Suo trionfo sul padre della menzogna. Il nostro compito è più che mai urgente, specie nei confronti degli incerti e dei confusi, anche fra i Suoi ministri. Facciamo il possibile per strapparli al fuoco (quello eterno) e incendiarli della fiamma di carità che arde nei Cuori di Gesù e Maria. Là abitiamo e lasciamo risuonare nel nostro cuore i loro appelli, che si fanno a volte udibili in parole chiare e nette. Così, attraverso di noi, Dio risponderà alla preghiera di san Luigi Maria inviando gli apostoli degli ultimi tempi: «Liberos: sacerdoti liberi della Tua libertà, distaccati da tutto, senza padre, madre, fratelli, sorelle, senza parenti secondo la carne, senza amici secondo il mondo; senza beni, impedimenti e preoccupazioni, perfino senza volontà propria. Liberos: schiavi del Tuo amore e della Tua volontà, uomini secondo il Tuo cuore che, senza volontà propria che li contamini e trattenga, compiano tutte le Tue volontà a abbattano i Tuoi nemici come altrettanti novelli Davide, con in mano il bastone della Croce e la fionda del Rosario: in baculo Cruce et in virga Virgine. […] Liberos: veri figli di Maria, Tua santa Madre, generati e concepiti dalla Sua carità».

http://lascuredielia.blogspot.it/ 

venerdì 15 aprile 2016

Il giorno del grande combattimento











Il giorno del grande combattimento


È il trionfo delle tenebre. Dal falso vicario di mio Figlio è infine arrivata l’autorizzazione, se non l’ingiunzione di gettare in pasto ai peccatori pubblici, induriti e ostinati, il Suo preziosissimo Corpo, che io gli ho fornito dalla mia stessa purissima sostanza, unito in modo indissolubile alla Sua divinità… quella carne con la quale si è immolato sulla croce in espiazione dei peccati umani e quel sangue che ha versato in riscatto dell’umanità decaduta a causa della sua prevaricazione, quella stessa umanità che ora è tornata al suo vomito calpestando la grazia inestimabile, assolutamente immeritata, che il Frutto delle mie viscere le ha meritato con me, fusa con Lui, sul Calvario. Non credono più nel Sacrificio redentore, non sanno più di quale impensabile amore li abbiamo amati, non si rendono conto del rischio terribile che corrono… perché non riconoscono più i loro peccati. Ora si sentono pienamente confermati da quella che ritengono la suprema autorità morale – e che lo sarebbe, se non occupasse quel posto in modo illegittimo e indegno.

Dalla sera di quel venerdì al mattino del primo giorno della settimana fu per me com’è oggi per voi: un’unica, assoluta, interminabile notte dello spirito. Io scrutai quel buio siderale, sostenni quel vuoto imponderabile, mi piantai nel nulla dell’assenza totale di Dio, senza il minimo appoggio né umano né divino… se non quello della fiamma di carità e di fede che lo Spirito Santo alimentava nel mio Cuore immacolato, a tal punto nascosta in esso che non ne scorgevo neanch’io la luce. Fu l’amore a mantenere accesa in me la fede: solo per amore volli continuare a credere, nonostante la radicale e apparentemente irreversibile smentita dei fatti. Io sapevo, certo sapevo di aver messo al mondo un figlio che sarebbe risorto; ma conoscere le promesse di Dio risparmia forse dall’essere dilaniati, non dal dubbio, no, bensì dallo strazio di vedere il proprio stesso Amore, la Vita della propria vita, giacere esanime nel sepolcro, reso irriconoscibile dall’odio satanico?

Anche il Suo Corpo mistico, nato dall’acqua e dal sangue del Suo costato trafitto, nutrito della mia carne incontaminata, da Lui assunta, si riconosce ormai a stento, schiaffeggiato, deriso e umiliato nelle sue membra fedeli, macchiato, disgregato e disperso nelle sue membra fedifraghe. Certo, nella sua essenza la Chiesa è e sarà sempre, indefettibilmente, una, santa, cattolica e apostolica, ma nella condizione storica della sua porzione militante è orrendamente lacera e infangata. Quanti miei figli se ne allontaneranno ancora, scandalizzati e disillusi? Già quando falsificarono il santo Sacrificio dell’altare, molti di loro si dissero: «Se i preti possono cambiare la religione dall’oggi al domani, vuol dire che non era vero niente e che, finora, ci hanno ingannati». Così smisero di credere e di andare in chiesa, mettendo a repentaglio la propria eterna salvezza. Quanto ho dovuto faticare per scusarli di fronte a mio Figlio, che, pur con tutte le attenuanti, vede perfettamente le inaggirabili responsabilità individuali!

Ora, a maggior ragione, diranno: «Se la Chiesa ha cambiato parere in materia morale, significa che finora si era sbagliata e che, quindi, può sbagliarsi ancora, in questo come in tutto il resto». E poi, se più nulla è peccato, a che serve pregare, confessarsi e cercare di evitare il male? Quante anime si perderanno a causa di questo supremo inganno? Sì, se acconsentono all’iniquità sono responsabili della propria sorte; ma l’amore di una madre può per questo rimanere indifferente, abbandonandole al loro tragico destino? Perciò svegliatevi, figli miei fedeli! Smettete di lamentarvi e di gemere inutilmente, per quanto vi sanguini il cuore. Siate forti nel sopportare il buio con olimpica quiete e nel lasciarvi purificare dal serafico ardore che vi mando. È doloroso, ma dovete farvi immacolati per la missione che vi attende, per formare il resto santo degli ultimi tempi. E voi, ministri del mio Unigenito, miei figli prediletti, voi che siete Sua bocca, Sue mani, Suo cuore, scuotete il vostro animo dall’incertezza e dallo smarrimento, alzatevi in piedi con coraggio per mettervi alla testa del mio esercito di eletti. Se vi obbligheranno ad agire contro coscienza (cioè contro la santa Legge di Dio, che, quale unica via del Paradiso, della vostra coscienza è la forma), prendete con sicurezza le vostre decisioni. Non abbiate paura: mi incarico io stessa del vostro futuro.

Ora che – secondo la parola profetica – non avete più né principe, né capo, né profeta, Gesù stesso vi pasce e vi guida, Gesù stesso è il pastore e vescovo delle vostre anime, Gesù stesso è la vostra norma inviolabile e sicura: Ego sum pastor bonus, qui pasco oves meas… Ego sum via, veritas et vita. Volgetevi a Lui e radunate il Suo gregge. Siate semplici come colombe e scaltri come serpenti. Se mio Figlio vi concederà la grazia del martirio, in qualunque forma, non fuggitela, purché siate certi che è Lui a volerlo, piuttosto che un impeto avventato o una fiammata di zelo inopportuno. C’è bisogno di valenti ed esperti generali che guidino le mie truppe alla vittoria, non di eroi di un momento di cui si avrà facilmente ragione. Imparate la lezione del 1812 dai miei cari figli della terra russa: dopo aver lasciato avanzare il nemico fino all’antica capitale, lo privarono di ogni approvvigionamento per costringerlo ad andarsene, poi lo attaccarono nella ritirata. Ho invano chiesto la consacrazione di quel nobile Paese affinché la sua conversione ribalti le sorti del mondo dominato dai nemici di Dio; perciò pregate, digiunate e offrite per questa intenzione decisiva.

«La Chiesa tutta subirà una tremenda prova, per pulire il carname che si è infiltrato tra i ministri, specie fra gli Ordini della povertà: prova morale, prova spirituale. Per il tempo indicato nei libri celesti, sacerdoti e fedeli saranno messi in una svolta pericolosa nel mondo dei perduti, che si scaglierà con qualunque mezzo all’assalto: false ideologie e teologie! L’appello d’ambo le parti, fedeli e infedeli, sarà fatto in base a prove. Io fra voi eletti, con Cristo capitano, combatteremo per voi. […] L’ira di Satana non è più mantenuta; lo Spirito di Dio si ritira dalla terra, la Chiesa sarà lasciata vedova, ecco il drappo talare funebre, sarà lasciata in balìa del mondo. Figli, diventate santi e santificatevi di più, amatevi tanto e sempre. […] Schieratevi tutti sotto il vessillo di Cristo. Lavorando in tal modo, vedrete i frutti della vittoria nel risveglio delle coscienze al bene; pur essendo nel male, vedrete, tramite vostro aiuto cooperativo efficace, peccatori che si convertono e l’Ovile riempirsi d’anime salvate» (la Vergine della Rivelazione a Bruno Cornacchiola, il 12 aprile 1947 alle Tre Fontane – Roma).
 

lunedì 11 aprile 2016

Amoris laetitia: prime riflessioni



Amoris laetitia: prime riflessioni

 

 

Pubblichiamo questo articolo del Prof. De Mattei sulla terribile allocuzione Apostolica di Papa Francesco che, proponendo una morale a geometria variabile non più fondata sui principi, ne distrugge i fondamenti e, da norma oggettiva e faro di luce che deve illuminare l’agire degli uomini, la trasforma, adeguandola ai tempi ed ai costumi.
L’insegnamento di sempre della Chiesa sul matrimonio, fondato sulla legge naturale e divina, non può cambiare e, contrariamente a ciò che si afferma nel testo, il «valorizzare gli elementi costruttivi in quelle situazioni che non corrispondono ancora o non più al suo insegnamento sul matrimonio» (§292) significa rassicurare il peccatore nel suo peccato invece di spingerlo alla penitenza. Si manca così gravemente alla carità in nome di una falsa misericordia.
La redazione


L’Esortazione post-sinodale Amoris laetitia:
prime riflessioni su un documento catastrofico
di Roberto de Mattei
Con l’Esortazione apostolica post-sinodale Amoris laetitia, pubblicata l’8 aprile, Papa Francesco si è ufficialmente pronunciato sui problemi di morale coniugale di cui si discute da due anni.
Nel Concistoro del 20-21 febbraio 2014 Francesco aveva affidato al cardinale Kasper il compito di introdurre il dibattito su questo tema. La tesi del card. Kasper, secondo cui la Chiesa deve cambiare la sua prassi matrimoniale, ha costituito il leit motiv dei due Sinodi sulla famiglia del 2014 e del 2015 e costituisce oggi il cardine dell’esortazione di Papa Francesco.
Nel corso di questi due anni, illustri cardinali, vescovi, teologi e filosofi sono intervenuti nel dibattito per dimostrare che tra la dottrina e la prassi della Chiesa deve esistere un’intima coerenza. La pastorale infatti si fonda sulla dottrina dogmatica e morale. «Non vi può essere pastorale che sia in disarmonia con le verità della Chiesa e con la sua morale, e in contrasto con le sue leggi, e non sia orientata al raggiungimento dell’ideale della vita cristiana!» ha rilevato il cardinale Velasio De Paolis, nella sua Prolusione al Tribunale Ecclesiastico Umbro del 27 marzo 2014. L’idea di staccare il Magistero da una prassi pastorale, che potrebbe evolvere secondo le circostanze, le mode e le passioni, secondo il cardinale Sarah, «è una forma di eresia, una pericolosa patologia schizofrenica» (La Stampa, 24 febbraio 2015).
Nelle settimane che hanno preceduto l’Esortazione post-sinodale, si sono moltiplicati gli interventi pubblici e privati di cardinali e vescovi presso il Papa, al fine di scongiurare la promulgazione di un documento zeppo di errori, rilevati dai numerosissimi emendamenti che la Congregazione per la Dottrina dalla Fede ha fatto alla bozza. Francesco non è arretrato, ma sembra aver affidato l’ultima riscrittura dell’Esortazione, o almeno di alcuni suoi passaggi chiave, alle mani di teologi di sua fiducia, che hanno tentato di reinterpretare san Tommaso alla luce della dialettica hegeliana. Ne è uscito un testo che non è ambiguo, ma chiaro, nella sua indeterminatezza. La teologia della prassi esclude infatti ogni affermazione dottrinale, lasciando che sia la storia a tracciare la linee di condotta degli atti umani. Per questo, come afferma Francesco, «è comprensibile» che, sul tema cruciale dei divorziati risposati, «(…) non ci si dovesse aspettare dal Sinodo o da questa Esortazione una nuova normativa generale di tipo canonico, applicabile a tutti i casi» (§300). Se si è convinti che i cristiani, nel loro comportamento, non devono conformarsi a princìpi assoluti, ma porsi in ascolto dei «segni dei tempi», sarebbe contradditorio formulare regole di qualsiasi genere.
Tutti aspettavano la risposta a una domanda di fondo: coloro che, dopo un primo matrimonio, si risposano civilmente, possono accostarsi al sacramento dell’Eucarestia? A questa domanda la Chiesa ha sempre risposto categoricamente di no. I divorziati risposati non possono ricevere la comunione perché la loro condizione di vita contraddice oggettivamente la verità naturale e cristiana sul matrimonio significata e attuata dall’Eucaristia (Familiaris Consortio, § 84).
La risposta dell’Esortazione postsinodale è invece: in linea generale no, ma «in certi casi» sì (§305, nota 351). I divorziati risposati infatti devono essere «integrati» e non esclusi (§299). La loro integrazione «può esprimersi in diversi servizi ecclesiali: occorre perciò discernere quali delle diverse forme di esclusione attualmente praticate in ambito liturgico, pastorale, educativo e istituzionale possano essere superate» (§ 299), senza escludere la disciplina sacramentale (§ 336).
Il dato di fatto è questo: la proibizione di accostarsi alla comunione per i divorziati risposati non è più assoluta. Il Papa non autorizza, come regola generale, la comunione ai divorziati, ma neanche la proibisce. «Qui – aveva sottolineato il card. Caffarra contro Kasper – si tocca la dottrina. Inevitabilmente. Si può anche dire che non lo si fa, ma lo si fa. Non solo. Si introduce una consuetudine che a lungo andare determina questa idea nel popolo non solo cristiano: non esiste nessun matrimonio assolutamente indissolubile. E questo è certamente contro la volontà del Signore. Non c’è dubbio alcuno su questo» (Intervista a Il Foglio, 15 marzo 2014).
Per la teologia della prassi non contano le regole, ma i casi concreti. E ciò che non è possibile in astratto, è possibile in concreto. Ma, come bene ha osservato il cardinale Burke: «Se la Chiesa permettesse la ricezione dei sacramenti (anche in un solo caso) a una persona che si trova in un’unione irregolare, significherebbe che o il matrimonio non è indissolubile e così la persona non sta vivendo in uno stato di adulterio, o che la santa comunione non è comunione nel corpo e sangue di Cristo, che invece necessita la retta disposizione della persona, cioè il pentimento di grave peccato e la ferma risoluzione di non peccare più» (Intervista ad Alessandro Gnocchi su Il Foglio, 14 ottobre 2014).
Inoltre l’eccezione è destinata a diventare una regola, perché il criterio dell’accesso alla comunione è lasciato in Amoris laetitia, al “discernimento personale” dei singoli. Il discernimento avviene attraverso «il colloquio col sacerdote, in foro interno» (§300), “caso per caso”. Ma quali saranno i pastori di anime  che oseranno vietare l’accesso all’Eucarestia, se «il Vangelo stesso ci richiede di non giudicare e di non condannare» (§308) e se bisogna «integrare tutti» (§297), e «valorizzare gli elementi costruttivi in quelle situazioni che non corrispondono ancora o non più al suo insegnamento sul matrimonio» (§292)? I pastori che volessero richiamare i comandamenti della Chiesa, rischierebbero di comportarsi, secondo l’Esortazione, «come controllori della grazia e non come facilitatori» (§310). «Pertanto, un Pastore non può sentirsi soddisfatto solo applicando leggi morali a coloro che vivono in situazioni “irregolari”, come se fossero pietre che si lanciano contro la vita delle persone. È il caso dei cuori chiusi, che spesso si nascondono perfino dietro gli insegnamenti della Chiesa “per sedersi sulla cattedra di Mosè e giudicare, qualche volta con superiorità e superficialità, i casi difficili e le famiglie ferite”» (§305).
Questo inedito linguaggio, più duro della durezza di cuore che rimprovera ai “controllori della grazia”, è il tratto distintivo dell’Amoris laetitia che, non a caso, nella conferenza stampa dell’8 aprile, il cardinale Schönborn  ha definito «un evento linguistico». «La mia grande gioia per questo documento», ha detto il cardinale di Vienna, sta nel fatto che esso «coerentemente supera l’artificiosa, esteriore, netta divisione fra regolare e irregolare». Il linguaggio, come sempre, esprime un contenuto. Le situazioni che l’Esortazione post-sinodale definisce «cosiddette irregolari» sono quelle dell’adulterio pubblico e delle convivenze extramatrimoniali. Per la Amoris laetitia esse realizzano l’ideale del matrimonio cristiano, sia pure «in modo parziale e analogo» (§292). «A causa dei condizionamenti o dei fattori attenuanti, è possibile che, entro una situazione oggettiva di peccato – che non sia soggettivamente colpevole o che non lo sia in modo pieno – si possa vivere in grazia di Dio, si possa amare, e si possa anche crescere nella vita di grazia e di carità, ricevendo a tale scopo l’aiuto della Chiesa» (§305), «in certi casi, potrebbe essere anche l’aiuto dei Sacramenti» (nota 351).
Secondo la morale cattolica, le circostanze, che costituiscono il contesto in cui si svolge l’azione non possono modificare la qualità morale degli atti, rendendo buona e giusta un’azione intrinsecamente cattiva. Ma la dottrina degli assoluti morali e dell’intrinsece malum è vanificata dalla Amoris laetitia, che si uniforma alla “nuova morale” condannata da Pio XII in numerosi documenti e da Giovanni Paolo II nella Veritatis Splendor. La morale della situazione lascia alle circostanze e, in ultima analisi, alla coscienza soggettiva dell’uomo, la determinazione di ciò che è bene e ciò che è male. L’unione sessuale extraconiugale non è considerata intrinsecamente illecita, ma, in quanto atto di amore, valutabile secondo le circostanze. Più in generale non esiste il male in sé così come non esiste peccato grave o mortale. L’equiparazione tra persone in stato di grazia (situazioni “regolari”) e persone in stato di peccato permanente (situazioni “irregolari”) non è solo linguistica: ad essa sembra soggiacere la teoria luterana dell’uomo simul iustus et peccator, condannata dal Decreto sulla giustificazione del Concilio di Trento (Denz-H, nn. 1551-1583).
L’Esortazione post-sinodale Amoris laetitia, è molto peggiore della relazione del card. Kasper, contro cui sono state giustamente rivolte tante critiche in libri, articoli, interviste. Il card. Kasper aveva posto alcune domande; l’Esortazione Amoris laetitia, offre la risposta: apre la porta ai divorziati risposati, canonizza la morale della situazione e avvia un processo di normalizzazione di tutte le convivenze more uxorio.
Considerato che il nuovo documento appartiene al Magistero ordinario non infallibile, c’è da augurarsi che sia oggetto di un’analisi critica approfondita, da parte di teologi e Pastori della Chiesa, senza illudersi di poter applicare ad esso l’“ermeneutica della continuità”.
Se il testo è catastrofico, più catastrofico ancora è il fatto che sia stato firmato dal Vicario di Cristo. Ma per chi ama Cristo e la sua Chiesa, questa è una buona ragione per  parlare, non per tacere. Facciamo nostre dunque le parole di un vescovo coraggioso, mons. Atanasio Schneider: «“Non possumus!”. Io non accetterò un discorso nebuloso né una porta secondaria abilmente occultata per profanare il Sacramento del Matrimonio e dell’Eucaristia. Allo stesso modo, non accetterò che ci si prenda gioco del sesto Comandamento di Dio. Preferisco esser io ridicolizzato e perseguitato piuttosto che accettare testi ambigui e metodi non sinceri. Preferisco la cristallina “immagine di Cristo Verità all’immagine della volpe ornata con pietre preziose” (S. Ireneo), perché “conosco ciò in cui ho creduto”, “Scio cui credidi”» (II Tm 1, 12)»
Fonte: Corrispondenza romana


Amoris Laetitia "Esortazione terrificante"





Mons. Fellay: Amoris Laetitia "Esortazione terrificante"

 

 

In attesa di una più ampia analisi dell’Esortazione Apostolica testé pubblicata, Mons. Fellay nella sua predica al Santuario di Puy en Velay di domenica 10 aprile ha espresso un primo biasimo sulle novità introdotte dal documento in questione.
« …un’Esortazione Apostolica che porta come titolo “La gioia dell’amore” ma che ci fa piangere. Quest’esortazione è un riassunto dei due sinodi sul matrimonio. È molto lunga e contiene molte cose che sono giuste, che sono belle, e dopo aver costruito un bell’edificio, una bella barca, il Sommo Pontefice ha fatto un buco nella chiglia della barca, lungo la linea di galleggiamento. Voi sapete tutti ciò che sta accadendo.
È inutile dire che il buco è stato fatto prendendo tutte le precauzioni possibili, è inutile dire che il buco è piccolo: la barca affonda! Nostro Signore stesso ha detto che neanche uno iota, neanche un solo iota sarà tolto dalla legge di Dio. Quando Dio parla, le sue parole non ammettono eccezioni, quando Dio comanda è di una sapienza infinita che ha previsto tutti i casi possibili. Non c’è eccezione alla legge di Dio. Ed ecco che d’un tratto si pretende che questa legge del matrimonio, che si conserva dicendo che “il matrimonio è indissolubile”, (la si ripete questa frase, la si dice), poi si dice che si possono, nonostante tutto, avere delle eccezioni nel senso in cui questi divorziati cosiddetti risposati potrebbero in questo stato di peccato mortale essere in stato di grazia, e quindi potrebbero fare la comunione. È gravissimo! Gravissimo! Credo che non si misuri sufficientemente la gravità di ciò che è stato detto. È inutile dire che sono delle piccole eccezioni messe lì in un angolo; è così che è passata la comunione nella mano e come vi ho detto il piccolo buco nella nave è sufficiente, la barca affonda!»[1]
Nel prosieguo del discorso il Prelato definisce il documento «[...]Esortazione terrificante che fa tanto male alla Chiesa» (min. 21.35)
Più avanti, descrivendo la situazione generale della Chiesa, il Superiore Generale afferma che: «c’è un gran numero di prelati, e perfino di cardinali, e diremmo perfino il Papa, che dicono non soltanto delle sciocchezze ma delle eresie, che aprono la strada al peccato. [...]» (min. 23.55)




[1] Predica di mons. Bernard Fellay in occasione del pellegrinaggio al Santuario di Puy en Velay; nell’audio, a partire dal minuto 15.00.

 

 http://www.sanpiox.it/public/index.php?option=com_content&view=article&id=1776:riflessioni-di-mons-fellay-sull-esortazione-apostolica-amoris-laetitia&catid=67&Itemid=83

venerdì 8 aprile 2016

Papa Francesco infligge un altro colpo mortale...




La “dolce morte” della Chiesa

Geniale astuzia gesuitica. Se non altro, bisogna dargliene atto. Con l’esortazione apostolica sulla famiglia è riuscito a catturare e calamitare su di sé l’attenzione universale, compresa quella di chi lo detesta. Tutti col fiato sospeso in attesa che scoccasse la fatidica ora. Mai la pubblicazione di un documento del Magistero aveva provocato tanta suspense ed era stato atteso con tanta trepidazione, seppure di segno diverso a seconda degli schieramenti. Che si sia d’accordo o meno, una simile ansia, da sola, ha comunque conferito al documento una risonanza enorme a livello mondiale, fuori e dentro la Chiesa. Non c’è che dire: un altro colpo da maestro nella strategia di manipolazione collettiva di cui tutti, nolenti o no, siamo inevitabilmente vittime – forse, come potremo verificare nei prossimi mesi, il colpo più devastante degli ultimi tre anni.
I commenti, in senso favorevole o contrario, saranno d’obbligo e si moltiplicheranno a dismisura su siti e testate di ogni orientamento, continuando a tenere incollato l’interesse di tutti su un testo che, secondo l’ormai collaudata tecnica, non contiene dichiarazioni che contraddicano nettamente il deposito della fede, ma insinua l’eresia sotto forma di mantra ossessivi: accoglienza, inclusione, misericordia, compassione, inculturazione, integrazione, accompagnamento, gradualità, discernimento, coscienza illuminata, superamento di schemi rigidi o sorpassati… Chi può contestare una tale esortazione alla (apparente) carità evangelica senza passare per un ottuso e insensibile difensore di dottrine astratte, formulate in modo non più compatibile con la situazione odierna? Se – a quanto si afferma – il matrimonio cristiano (che i nostri genitori, nonni e bisnonni hanno normalmente vissuto, pur con tutti i loro limiti e sforzi) è un ideale cui tendere e non più la vocazione ordinaria del battezzato, elevata e fortificata dalla grazia, chi siamo noi per giudicare famiglie ferite e situazioni complesse?
A voler pizzicare il testo su qualche preciso svarione dottrinale, d’altronde, si ha l’ormai consueta impressione di essere alle prese con un oggetto viscido e sfuggente che non si lascia afferrare da nessun lato: non c’è un pensiero articolato e coerente, non c’è uno sviluppo teologico argomentato, ma un’iterazione snervante di ricorrenti temi con variazioni che, in appena trecentoventicinque paragrafi, stronca qualsiasi resistenza mentale e psicologica. Il realismo cui insistentemente ci si appella non è quello dell’interazione tra natura e grazia, tipico della tradizione cattolica, ma quello della sociologia e della psicanalisi, che ignorano completamente l’azione della grazia – se non intesa nel significato improprio di conforto psicologico – e considerano la natura esclusivamente nella sua disperata incapacità di correggersi. Di conseguenza l’unica soluzione possibile, nell’immancabile ospedale da campo, non è curare le malattie con una terapia adeguata, ma “aiutare a morire” pazienti accolti, integrati e felici di esserlo. Che dire? Eutanasia dello spirito…
Frammisti a questa logorroica e interminabile ricetta, espressi in forma ambigua e sfuggente, nel penultimo capitolo (quello decisivo) arrivano infine gli errori formali, quando l’esausto lettore, indottrinato dai trecento paragrafi precedenti, non è più in grado di reagire. Finalmente qualcosa a cui aggrapparsi per denunciare – ciò che si spera comincino a fare vescovi e cardinali – un’esplicita deviazione dottrinale. L’errore più grave, da cui discendono gli altri, riguarda l’imputabilità morale degli atti umani, che non sempre è piena. Verissimo per singole azioni; peccato che le cosiddette situazioni irregolari siano stati durevoli e condizioni stabili in cui non si può cadere per debolezza o inavvertenza, ragion per cui l’osservazione non è pertinente. Da questo errore di prospettiva deriva l’opinione che non tutti coloro che vivono una situazione irregolare siano in peccato mortale, privi della grazia santificante e dell’assistenza dello Spirito Santo. Ciò può risultare vero solo in presenza dell’ignoranza invincibile: ma è un’ipotesi ammissibile, in questo caso? Nell’eventualità, compito di ogni fedele – e a maggior ragione di ogni sacerdote – è proprio quello di istruire gli ignoranti. Di conseguenza, affermare che chi è in stato di peccato grave è membro vivo della Chiesa non può non essere falso: il peccato mortale si definisce appunto come morte dell’anima. Se poi, su questa china, si arriva ad asserire che l’adulterio permanente può essere per il momento «la donazione che Dio stesso sta richiedendo in mezzo alla complessità concreta dei limiti, benché non sia ancora pienamente l’ideale oggettivo» (Amoris laetitia, 303), siamo alla bestemmia. A rimediare non basta una citazione di san Tommaso, strumentale e strappata al contesto; è il metodo dei Testimoni di Geova.
Non siamo accorati per chi si ingegnerà a tirare il documento da una parte o dall’altra per trovarvi supporto alle proprie opinioni (normaliste o rivoluzionarie); la perfidia peggiore consiste nel fatto che anche le obiezioni, loro malgrado, ne rafforzeranno la ricezione: che se parli anche male, purché se ne parli… e più se ne parlerà, più il veleno che contiene penetrerà nelle conversazioni quotidiane, nei dibattiti televisivi, nei progetti pastorali, nella mentalità e nella prassi comuni. È proprio così che idee inizialmente inaccettabili vengono trasformate in norma; è esattamente la stessa tecnica utilizzata dalle menti occulte del nuovo ordine mondiale, che nel giro di pochissimi anni ha portato la società e gli Stati ad ammettere e premiare le devianze sessuali, prima universalmente e spontaneamente aborrite, e a stigmatizzare come nemico del genere umano chi ancora le denuncia per quello che sono – la più ripugnante forma di degradazione della persona. Ora anche nella Chiesa, con la scusa dell’adattamento ai tempi e della valutazione dei casi particolari, demandata ai singoli chierici, ciò che era inammissibile diverrà obbligatorio – e guai a chi non si adegua.
Se ci avete fatto caso, l’attacco è stato sistematicamente portato contro i Sacramenti che sono i pilastri del vivere sociale e cristiano: il matrimonio, fondamento della famiglia e dell’educazione alla fede e alla vita; la confessione, fattore di discernimento morale e di correzione della condotta individuale; l’Eucaristia, principio di santificazione e vincolo di appartenenza ecclesiale. Il primo è stato demolito con le nuove norme per le cause di nullità; il secondo, svuotato di senso e di valore con le inaudite raccomandazioni ai missionari della misericordia; il terzo, ridotto a mero simbolo con poche battute estemporanee sull’intercomunione con i protestanti. Complimenti: neanche Ario e Lutero erano riusciti a far tanto danno con così pochi mezzi e in così poco tempo. Nella hit parade degli eretici il Nostro ha raggiunto la vetta in modo fulmineo.
Distruggendo la fede nei Sacramenti e nella vita soprannaturale, si annienta inevitabilmente anche quella – inseparabile – nei due misteri principali del Credo cristiano: Incarnazione, Passione, morte e Risurrezione di nostro Signore Gesù Cristo; unità e Trinità di Dio. Anche se l’ordine del catechismo è inverso, qui dobbiamo partire dal fondo: i Sacramenti, infatti, applicano alle anime dei credenti i frutti del mistero salvifico di Cristo, il quale sarebbe stato impossibile se Gesù non fosse il Figlio di Dio, una cosa sola con il Padre nell’unità dello Spirito Santo. In ultima analisi, dunque, chi nega l’efficacia della grazia sacramentale nega il Dio della Rivelazione; in altre parole, è apostata e ateo, perché nel suo discorso rimane soltanto l’uomo. Degno erede e continuatore di quel famoso porporato, estintosi per volontaria eutanasia, che da vecchio affermava di non aver ancora capito perché mai il Padre avesse fatto soffrire il Figlio. Gli sarebbe bastato leggere la Bibbia, di cui peraltro passava per maestro.
Ora, se è vero che non si può fare a meno di leggere pur qualcosa della e sull’ultima pubblicazione pontificia, evitiamo di cadere in trappola lasciandocene catturare e intossicare, dimenticando poi di fare le uniche cose effettivamente utili e necessarie nell’attuale frangente storico – quelle che persino l’ambiente tradizionale, ahimé, non pratica abbastanza, rischiando di estenuarsi in sfoghi polemici che, alla fin fine, non cambiano nulla, se non le nostre condizioni emotive. Preghiamo, offriamo, facciamo penitenza (ma sul serio, non a chiacchiere) e, se abbiamo tempo e voglia di leggere, curiamo la retta fede. Non lasciamoci rubare la fruizione e il godimento del tesoro che possediamo, perdendo la pace e la serenità di chi conosce la verità e si sforza di viverla con l’aiuto della grazia di Dio e il proprio impegno personale.
Dato che l’atomizzazione dottrinale e pastorale della Chiesa Cattolica, che di fatto è in corso da decenni, è stata ormai formalmente sancita, preghiamo senza sosta per essa, i cui nemici da sempre si adoperano a minarne l’unità allo scopo di dominarla e distruggerla. Divide et impera: il revolucionero, nonostante la scarsa preparazione culturale, almeno una cosa l’ha imparata – e l’applica a meraviglia, polverizzando la comunione del Popolo di Dio. Preghiamo anche gli uni per gli altri onde poter fare un discernimento retto: i sacerdoti in cura d’anime, riguardo alle difficili scelte che saranno obbligati a compiere; i fedeli, riguardo ai comportamenti che dovranno tenere in “comunità” parrocchiali in cui abusi e sacrilegi, se già non lo sono, diverranno prassi corrente. «Il fratello aiutato dal fratello è come una città fortificata» (Pr 18, 19): posso garantire per esperienza personale che il sostegno dell’intercessione altrui permette di sopportare le più gravi prove con un’inspiegabile letizia. Il Signore ricompensi con la gioia della fedeltà amorosa a Lui i tanti che pregano per il povero prete che scrive.


tratto da: http://lascuredielia.blogspot.it/ 

giovedì 7 aprile 2016

FSSPX: Riconoscimento diretto di Francesco ma...

...attenti al lupo!


 (Essi considerano il concilio indiscutibile
 ma sono i nostri Valori della Fede che
 "Non sono negoziabili")