domenica 6 ottobre 2013

Intervista a don Gabriele D’Avino

Intervista a don Gabriele D’Avino

 

Don Gabriele D’Avino, dopo il normale ciclo di sei anni di studio, è stato ordinato sacerdote il 26 giugno scorso nel Seminario di Ecône in Svizzera, della Fraternità Sacerdotale San Pio X.

di Marco Bongi

 

 

 






 D. 1 - Rev. don Gabriele, ci può brevemente raccontare come è nata la Sua vocazione sacerdotale? C'è qualche episodio particolare che ha contribuito ad orientarLa verso questa decisione?

Lo sbocciare di una vocazione sacerdotale resta, perfino per se stessi, un profondo mistero: è il segreto tra un’anima e Dio.
Tuttavia l’assidua frequenza alla santa Messa ed ai sacramenti, oltre che la presenza costante di sacerdoti nella vita di un giovane possono senza dubbio spiegare il desiderio di imitare un ideale di vita che si condivide e si conosce bene. Ma, appunto, ciò non basta: la vocazione è una “chiamata” che Dio fa conoscere alla persona attraverso tanti segni: desiderio di salvare le anime, amore per la Chiesa e la santa Messa, attitudine allo studio ed alla vita di preghiera, consigli di sacerdoti esperti…
Durante la mia adolescenza avevo notato tutto ciò, e ad un certo punto, nel corso della mia carriera da studente, ho capito più chiaramente cosa desiderasse Dio da me, come potessi consacrare a Dio la vita che gratuitamente Egli mi aveva elargito. Stabilii che non era più il momento di indugiare e con grande entusiasmo decisi di intraprendere questa strada; il tutto senza precisi avvenimenti, ma con un bagaglio di esperienze e di formazione dottrinale che di certo hanno contribuito a farmi maturare la scelta: non ultimi, gli Esercizi spirituali di Sant’Ignazio di Loyola.

D. 2 - Come ha reagito la Sua famiglia quando le ha comunicato l'intenzione di diventare Sacerdote?

Grazie a Dio ho trovato piena comprensione e totale appoggio dalla mia famiglia: non ne dubitavo, poiché è grazie all’educazione cristiana ricevuta dai miei genitori che è stata possibile da parte mia una generosa risposta alla chiamata del Signore; ma di certo questo appoggio che ho avuto è stato di fondamentale importanza sia all’inizio della mia formazione sia durante tutti gli anni del Seminario.

D. 3 - E gli amici? Si sono mostrati contenti, stupiti o inclini alla derisione?

Anche in questo caso sono stato fortunato: i miei amici più cari, con i quali ancora oggi sono in contatto, hanno approvato la mia scelta nonostante il naturale dispiacere della separazione; ho potuto constatare con gioia fino a che punto questi vincoli di amicizia fossero forti, poiché alcuni di essi sono stati presenti a tutte le “tappe” della mia formazione sacerdotale (vestizione, ordini minori, ordini maggiori) nonostante i mille chilometri che separano la mia città dal seminario di Ecône!

D. 4 - Per quale motivo, una volta presa la decisione, si è rivolto alla FSSPX e non al seminario della Sua Diocesi?

Non ho mai avuto altra prospettiva di formazione sacerdotale che i seminarî della Fraternità San Pio X: fin da piccolo infatti frequento la congregazione grazie alla scelta che fecero i miei genitori negli anni ’80 di seguire la Tradizione contro il dilagare degli errori moderni. Ho potuto di conseguenza constatare, durante tutta la mia infanzia e adolescenza, la profondità spirituale dei sacerdoti che ho conosciuto, la loro accurata preparazione dottrinale, la loro ineccepibile condotta morale: era naturale, dunque, che guardassi verso Ecône, baluardo della fede cattolica. Ero sicuro che, in questo periodo di profonda crisi all’interno della Chiesa, solo una formazione sacerdotale tradizionale quale quella che impartiscono i seminarî della Fraternità fosse degna di essere presa in considerazione al fine di far “sopravvivere” il sacerdozio cattolico che, a causa del modernismo, vive tuttora una grave crisi d’identità e non ha più come punto di riferimento la Rivelazione e il dogma.

D. 5 -  Come è stato il primo impatto con il Seminario all'estero? Ha trovato difficoltà di integrazione o linguistiche?

Non ricordo di essermi mai sentito disorientato fin dal mio primo contatto con il seminario. Certo, il paese e la lingua stranieri, le persone di un’altra cultura, e soprattutto la prospettiva di passare sei anni lontano dalla propria terra rappresentano un sacrificio da affrontare: ma l’atmosfera cordiale dei confratelli, la disponibilità dei professori del seminario e in generale il clima di carità fraterna che regna in quest’ambiente “protetto” porta più ad unire che a dividere gli animi, e tutto sembra fatto apposta per eliminare qualsiasi difficoltà integrativa.

D. 6 - Che ricordi conserva degli anni trascorsi in seminario? Ha dovuto superare momenti di crisi? Se sì... Chi l'ha maggiormente aiutata a superarli?

Il ricordo degli anni passati in seminario è molto confortante, sia dal punto di vista spirituale, sia da quello intellettuale: la vita di unione a Dio a cui quotidianamente si tende e gli studî sempre interessanti creano un clima ideale per la formazione di un sacerdote: pur senza farne un paradiso terrestre (non esiste un contesto umano o un’esperienza che non presenti anche una minima difficoltà) ricorderò sempre con gioia i begli anni passati ad Ecône e le amicizie che vi ho stretto con i confratelli, molti dei quali sono oggi sacerdoti come me.

D. 7 - Gli studi in seminario sono difficili? Può aspirare al sacerdozio anche un giovane che non possieda basi culturali molto profonde?

Il livello degli studî in seminario è, come lo indica il nostro fondatore negli statuti, di tipo “quasi universitario”; pur essendoci una grande comprensione per la differenza di livello degli aspiranti al sacerdozio, i quali provengono dai più svariati contesti e con una grande diversità di bagaglio culturale, è chiaro che è richiesto un minimo di attitudine allo studio: il sacerdote è chiamato ad insegnare, vuoi la domenica dal pulpito, vuoi per il catechismo ai bambini ed agli adulti, vuoi per conferenze dottrinali che possono essergli richieste.
Le materie di studio spesso sono di per sé difficili: penso ad esempio ai trattati di teologia sulla Trinità o l’Eucaristia, o anche ai corsi di Metafisica ed Ecclesiologia; tuttavia si tiene sempre conto del livello di ciascuno e non si richiede necessariamente a tutti il massimo dell’approfondimento possibile!

D. 8 - Ha trovato comprensione negli insegnanti? Che rapporto si instaura fra i seminaristi e i superiori? Nel seminario si respira un clima di gioia o, come molti pensano, un'atmosfera di cupa severità?

Il rapporto tra gli insegnanti e i seminaristi è franco e cordiale, ma che mantiene un necessario distacco che eviti l’eccessiva familiarità, al fine di rendere ben chiara la distinzione dei ruoli. Ritengo che quest’aspetto sia indispensabile per la serietà ed anche la credibilità della formazione data. Tutto ciò, come dicevo anche prima, in un clima generale di serenità e di sana allegria: giusto il contrario dell’immagine che comunemente si dà degli ambienti religiosi del tipo “Il nome della rosa” che deriva, a mio avviso, da un banale pregiudizio…

D. 9 - Oggi che è diventato  Sacerdote: che effetto Le fa di poter finalmente celebrare il S. Sacrificio della Messa? Verso quale tipo di Apostolato si sente più attratto?

Salire per la prima volta all’altare è un’emozione indescrivibile che il sacerdote porterà nel cuore per tutta la vita; è l’inizio di un’unione al Dio incarnato che si attua ormai fra le sue mani e che costituisce il mistero più grande della nostra fede, quello della Redenzione del genere umano, compiuto ogni giorno sugli altari.
L’apostolato che più mi attrae è quello che ho imparato a conoscere negli anni della mia gioventù attraverso i sacerdoti che ho frequentato: quello di tipo “parrocchiale” delle nostre cappelle e centri di Messa; un apostolato che, soprattutto in Italia dove la Fraternità è ancora in crescita, assomiglia a quello di San Paolo a causa dei numerosi viaggi e spostamenti; cosa che ho sempre trovato simpatica ed entusiasmante!

D. 10 - In conclusione: che consiglio pratico si sente di dare ai giovani di oggi, spesso confusi ed indecisi sul tipo di vita da intraprendere? Esiste qualche criterio per conoscere il progetto di Dio nella propria vita?

10) Discernere la propria vocazione, nonostante i preziosi consigli di persone esperte (soprattutto di sacerdoti) che certo vanno richiesti, riguarda in ultima analisi il singolo soggetto: a lui va la responsabilità integrale della scelta, a cui può effettivamente corrispondere la “chiamata” della Chiesa con l’appello del Vescovo nell’ordinazione. Tale scelta, lungi dall’essere avventata o sentimentale, deve essere matura, ragionevole, libera da ogni interesse di tipo temporale ma unicamente guidata dall’amore di Dio e della Chiesa.
Ma (e questo è un punto che ritengo fondamentale alla luce della mia ancor breve esperienza) la domanda sulla scelta del proprio stato di vita è senz’altro obbligatoria e non può essere saltata a piè pari. Esorto quindi i giovani cristiani ad aprire prima di tutto a se stessi il proprio cuore e a porsi sinceramente questa domanda, mettendo da parte un certo naturale egoismo: Cosa vuole Dio da me?

 

articolo tratto da: http://www.sanpiox.it/public/index.php?option=com_content&view=article&id=1074:intervista-a-don-gabriele-d-avino&catid=35&Itemid=123

Nessun commento:

Posta un commento