{«se Roma piange, i “Tradizionalisti” … non ridono»}
Di don Curzio Nitoglia
Se sia lecito andare alla Messa dei sacerdoti sedevacantisti
Dopo l’articolo sul “Neo-Donatismo”, alcuni lettori mi hanno posto la questione, se sia lecito andare alla Messa celebrata da sacerdoti sedevacantisti.
Mi sembra (non mi reputo
infallibile e non ho nessuna giurisdizione per obbligare chicchessia,
esprimo soltanto un’opinione personale) che, a certe condizioni, sia lecito.
Infatti i preti sedevacantisti celebrano la Messa tradizionale, sono sacerdoti validamente ordinati e, se insegnano i princìpi della Dottrina cattolica comunemente professata dalla Chiesa e compendiata nel Catechismo del Concilio di Trento e di San Pio X (senza entrare, con eccessiva insistenza, nei dettagli specifici della tesi teologica disputata sulla sede vacante ed obbligare di assentire ad essa), non vedo la ragion sufficiente per impedire ai fedeli di assistere alla loro Messa.
La regolarità canonica e la pienezza della purezza dottrinale (anche riguardo alla tesi teologica sulla maniera di affrontare e risolvere l’errore neomodernista penetrato
nella Chiesa), nell’attuale stato di crisi dell’ambiente cattolico,
sono difficilmente ottenibili e conciliabili, come ho cercato di
spiegare nell’articolo sul Donatismo.
Certamente, qualora si costatino evidenti e pubblici errori contro la Fede cattolica, la Dottrina teologicamente certa o la Dottrina comunemente insegnata (per
esempio l’elezione di un “papa” e la creazione di una “gerarchia” da
parte dei fedeli, la negazione di un dogma o di una dottrina morale
certa e costantemente insegnata), allora ci si deve astenere dal
frequentare coloro che li professano, sedevacantisti o meno[1]. Diverso è il caso di una tesi teologica dibattuta sulla quale la Chiesa gerarchica non si è ancora pronunciata esplicitamente,
dogmaticamente ed in maniera obbligatoria. Infatti non i soli
sedevacantisti possono sbagliare e non sono neppure il Male e l’Errore
assoluto: “ogni altare porta la sua croce”, dice il proverbio.
Quindi se un fedele vive in una città
ove l’unica Messa tradizionale è celebrata dai sacerdoti sedevacantisti,
può assistere alla loro Messa e sarebbe molto imprudente proibirgli di
frequentarla, privandolo delle fonti della Grazia.
Così pure se una persona anziana, che ha
difficoltà per spostarsi da una zona ad un’altra, vive in una città
nella quale l’oratorio a lei più vicino è quello dei sacerdoti
sedevacantisti, può frequentare la loro Messa.
Tuttavia occorre distinguere:
1°) quanto al “sedevacantismo mitigato” occorre fare attenzione a non dare a questa tesi disputata sulla ‘sede formalmente vacante’ da Paolo VI in poi un assenso certo, che non mi sembra corrispondere alla realtà dei fatti;
2°) per quanto riguarda
il “sedevacantismo totale”, invece, bisogna evitare coloro che abbiano
eletto un “papa” e creato una “gerarchia” senza avere il potere per
farlo perché in questo caso si sarebbe in presenza di una setta (v.
Palmàr de Troja).
L’assistenza alla Messa di un sacerdote non significa seguire ipso facto la tesi teologica che egli propugna.
Per esempio non tutti i fedeli che si recano a Messa dai Domenicani
sono ipso facto Bannesianisti (cioè seguaci della tesi teologica, ancora
liberamente disputata, di Domingo Bañez sul problema della Grazia
efficace), come non tutti i fedeli che vanno dai Gesuiti sono Molinisti
(vale a dire seguaci della tesi, liberamente dibattuta, sostenuta da
Molina sulla Grazia, che è diametralmente opposta a quella di Bañez).
Così non tutti i fedeli che prendono Messa in una Cappella in cui
officiano, spiegano il Vangelo domenicale ed insegnano i rudimenti
principali della Dottrina cattolica contenuti nel Catechismo
tradizionale i sacerdoti sedevacantisti debbono ipso facto e
necessariamente esserlo anch’essi e seguire la loro tesi teologica sulla
sede vacante.
L’importante è che, in questi tempi così
difficili ed apocalittici, i fedeli abbiano la Messa di Tradizione
apostolica, l’insegnamento della Dottrina cattolica comune ed ufficiale
contenuta nel Catechismo tradizionale (senza dover scendere in
questioni teologiche ardue, ancora liberamente disputate) e si accostino
regolarmente ai Sacramenti (specialmente la Confessione e la Comunione)
per vivere in Grazia di Dio e salvarsi l’anima. “Salus animarum suprema lex”: è questo il principio che deve guidarci e non “inter-esse nostrum supremum jus”. Il Diritto Romano insegna: “summum jus, summa injuria; il
diritto applicato troppo strettamente, può divenire la massima
ingiustizia”, in breve: “il troppo storpia, ogni eccesso è un difetto”.
Il problema che non riesco a capire è
quello di proibire (con quale Autorità?), anche addirittura sotto pena
di peccato grave, di frequentare la Messa tradizionale celebrata da
sacerdoti che seguono una tesi teologica non condivisa da noi sul problema dell’attuale crisi che agita l’ambiente cattolico. Problema che è ancora dibattuto e sul quale la Chiesa gerarchica non si è ancora pronunciata esplicitamente, in maniera dogmaticamente obbilgatoria e definitoria.
Sinceramente non vedo nessun sacerdote o
Istituto sacerdotale fondato, assistito infallibilmente e
indefettibilmente da Dio, né può esistere. Solo la Chiesa cattolica lo
è. Ma – ahimè – oggi, con la Nuova Messa del 1970, il “fumo di satana è
penetrato anche nella Chiesa”, come ha riconosciuto lo stesso Paolo VI.
Se il nuovo rito “pone i fedeli nella tragica necessità di opzione”
(cardinali Alfredo Ottaviani e Antonio Bacci) e si deve frequentare la
Messa che la Chiesa ha sempre celebrato sin dall’era apostolica (“quod semper, quod ubique, quod ab omnibus”, S. Vincenzo da Lerino, Commonitorium),
non si può proibire l’assistenza al Rito tradizionale, poiché si
ritiene (a ragione o a torto) che gli unici a celebrare e predicare
correttamente su ogni questione particolare della Teologia cattolica siamo soltanto noi. Occorre sempre distinguere una tesi teologica liberamente disputata dalla Dottrina comune ed ufficiale della Chiesa, da quella teologicamente certa o addirittura di Fede rivelata e definita.
La Chiesa è stata fondata
gerarchicamente e monarchicamente, non democraticamente, da Gesù su
Pietro ed i suoi successori, i Papi ai quali trasmette la sua Autorità;
da loro viene la giurisdizione ai Vescovi i quali la delegano ai
Parroci. Ora se “in tempi di grave crisi, che comincia ad invadere quasi
tutta la Chiesa, occorre fare ciò che la Chiesa ha sempre fatto,
evitando le novità”[2] (S. Vincenzo da Lerino, Commonitorium),
e, quindi, “si può resistere pubblicamente ed eccezionalmente a
decisioni dell’Autorità ecclesiastica” (Arnaldo Vidigal Xavier Da
Silveira)[3],
non è mai lecito attribuirsi una giurisdizione che non viene da noi, ma
solo da Dio tramite il Papa. Se agissimo così, faremmo allora parte non
più della Chiesa fondata da Cristo, ma di una “chiesuola” fondata ed
immaginata da noi.
Se i sedevacantisti esagerano ed impediscono (con quale Autorità?) di frequentare la Messa tradizionale “una cum”,
non cadiamo nel loro errore e non arroghiamoci una giurisdizione che
neghiamo de facto al Papa. L’essenziale è che i fedeli abbiano il
maggior numero di sacerdoti che celebrino la Messa apostolica e che
insegnino i rudimenti della Dottrina cattolica comune, riassunta nel
Catechismo del Concilio di Trento o di San Pio X. Quanto alla purezza
assoluta della loro tesi teologica anche riguardo al problema attuale della crisi nella Chiesa, “chi di voi è senza ‘errore’ lanci la prima pietra!”. “Nescire quaedam, magna pars sapientiae” dicevano gli antichi Romani. Pensar di sapere tutto è segno di grande insipienza!
In quest’ora tenebrosa ogni sacerdote, ogni Istituto ha le sue piccole
ombre, le sue incertezze e le sue deficienze di fronte al “Mysterium iniquitatis” che ha avvolto l’ambiente ecclesiale; nessuno che sia sano di mente può pretendere di vedere chiaro in piena notte (“haec est hora potestas tenebrarum”,
e in tale ora anche i Dodici si smarrirono). Se lo facesse sarebbe o un
illuso-manipolato, che ha subìto il lavaggio del cervello, o un
ipocrita, che mente spudoratamente sapendo di mentire.
Ringraziando Dio, in questi anni così
tragici, le Messe tradizionali ed i sacerdoti che insegnano le basi
della Dottrina cattolica comune de ufficiale si sono moltiplicati ed
estesi quasi dappertutto, di modo che i fedeli possano averli anche nei
posti ove prima era “follia sperar”. Allora non siamo gelosi come gli
operai della prima ora, rimbrottati dal Vangelo, ma rallegriamoci che la
Messa apostolica ed il Catechismo tradizionale siano alla portata di
quasi tutti i poveri fedeli, “che vengono da lontano e se li
rimandassimo a mani vuote verrebbero meno per la fame”.
La tragedia del Concilio Vaticano II è
stata paragonata ad uno “Tsunami limaccioso” (mons. Brunero Gherardini),
che ha travolto ogni cosa. Se un fedele sopravvissuto alla sua furia
devastatrice trova una “tavola di salvezza” cui aggrapparsi (la Messa e
la Dottrina cattolica tradizionale), non sarebbe normale richiedere il
marchio di fabbrica o la “griffatura” della “tavola” (in teoria, la
“tesi teologica” sul problema attuale della crisi nella Chiesa, ed in
pratica, l’appartenenza della “tavola” a questo o quell’Istituto) ai
fortunati che grazie ad essa son riusciti ad evadere il naufragio.
Inoltre, ringraziando Dio, nessun fedele sano di mente sarebbe disposto
ad abbandonare l’asse di legno cui si è aggrappato perché il tale
sacerdote o Istituto gli dice che esso non è di “Denominazione di
Origine Controllata” e quindi bisogna abbandonarlo ed affogare “sperando
nella Provvidenza” e nell’ausilio del di lui Istituto, anche se oggi
pur esso inizia a far acqua da qualche fessura. Questo modo di agire non
ha nulla a che vedere con la virtù di Speranza, ma significa tentare
Dio ed essere temerari.
Spero che nessuno voglia prendersi questa terribile responsabilità per interessi campanilistici. “Se Atene piange, Sparta non ride”
dicevano gli antichi Greci. Oggi si può dire: «se Roma piange, i
“Tradizionalisti” … non ridono». Non nascondiamoci dietro un dito.
“Miserere nostri Domine, miserere nostri, quia multum repleti sumus despectione”. Si badi bene: “omnes, tutti noi” e non “tutti gli altri tranne noi”.
d. Curzio Nitoglia
29 settembre 2012
[1] Errore dogmatico
sarebbe per esempio arrogarsi il diritto, che spetta alla Prima Sede,
di dichiarare giuridicamente la nullità dei Matrimoni, di dispensare i
Sacerdoti dal celibato ecclesiastico. Mentre deviazione morale
sarebbe quella di ritenere come non obbligatorio il celibato
ecclesiastico e far esercitare il Sacerdozio a “preti sposati”. Cose
che, purtroppo, succedono nel mondo “tradizionalista” e non solo
sedevacantista. San Paolo direbbe: “Dio ci ha rinchiusi tutti
nell’infedeltà per usare a tutti misericordia, di modo che nessun uomo
confidi e glorifichi se stesso”.
[2]
Per esempio, si possono evitare le dottrine neomodernistiche contenute
nei Documenti del Concilio Vaticano II, il quale «si è imposto di non definire nessun dogma, ma ha scelto deliberatamente di restare ad un livello modesto, come semplice Concilio puramente pastorale» (card. J. RATZINGER, Discorso alla Conferenza Episcopale Cilena, Santiago del Cile, 13 luglio 1988, in “Il Sabato”,
n. 31, 30 luglio-5 agosto 1988). Quindi il Concilio Vaticano II non
obbliga e si può non aderire alle sue indicazioni pastorali, restando
legati a ciò che la Chiesa ha sempre insegnato o definito
dogmaticamente.
[3]
Si può, dunque, non frequentare la nuova Messa, perché “si allontana in
maniera impressionante dalla Dottrina cattolica definita
infallibilmente dal Concilio di Trento sul Sacrificio della Messa”
(cardinali Alfredo Ottaviani e Antonio Bacci, Breve Esame Critico del Novus Ordo Missae, 1969).
Cher Blaise Pascal,
RispondiEliminaMerci beaucoup de la publicité que vous faites pour "avec l'Immaculée". J'aimerais bien publier en français "salus animarum suprema lex",avec un lien vers votre blog, mais pour être sûre de bien traduire, j'aimerais s'il vous plaît que vous me donniez la référence exacte de ce texte de Mgr Lefebvre, s'il vous plaît, pour que je le trouve en français. Merci d'avance. Union de prières et de combat. InDominoSperavi.
PS :Vous pouvez m'écrire à l'adresse : indominosperavi@gmail.com
Apologia pro Marcel Lefebvre
RispondiEliminahttp://www.sspxasia.com/Documents/Archbishop-Lefebvre/Apologia/
Il "suprema lex salus animarum", come recita lo stesso Codice di Diritto Canonico è lo spirito con il quale Mons. Lefebvre ha mantenuto e portato avanti la buona battaglia per la Verità. Lo stesso Don D. Pagliarani in un intervista disse: "Questa espressione, con cui si conclude il Codice, è la sintesi di tutto il Diritto Canonico e dello spirito della Chiesa che lo anima. Questo vuole essere pure lo spirito della Fraternità, che agisce fuori dagli schemi canonici abituali unicamente in virtù dello stato di necessità (contemplato paradossalmente dallo stesso Codice) che si è creato nella Chiesa, anch’esso fuori dagli schemi storici abituali. In questa prospettiva l’apostolato della Fraternità non solo è legittimo – quantunque resti eccezionale – ma doveroso, e questo non in virtù di un mandato canonico che non ha ma in virtù di un dovere di carità verso le anime: la suprema legge è la salvezza delle anime."
In monsignor Lefebvre emerge tutto l’amore per Roma, patria dell’integra Tradizione, la città scelta da Gesù per la propagazione della Tradizione: «Domine, quo vadis?» («Signore dove vai?») gli chiese Pietro quando proprio da Roma era tentato, per paura, di fuggire e il Signore, guardandolo, gli rispose: «Venio Romam iterum crucifigi» («Vengo a Roma a farmi crocifiggere di nuovo»). A Roma dunque, non più a Gerusalemme.
http://deovolente-tradidiquodetaccepi.blogspot.it/2012/05/quo-vadis-fraternita.html
Merci beaucoup, Blaise Pascal. Cependant, j'aimerais si possible la page exacte, car je n'ai pas réussi à retrouver le texte.
Eliminahttp://www.sanpiox.it/public/index.php?option=com_content&view=article&id=327&Itemid=50
EliminaL’amore per Roma
La salvezza delle anime, «salus animarum suprema lex», come insegna san Tommaso (Cfr. Quaestiones quodlibetales, XII, q.16, a. 2; anche Codice di Diritto canonico 1983, can. 1752), stava in cima ai pensieri del Vescovo che, simile all’aquila quando plana nelle altezze, riuscì a mantenere una visione globale della situazione che veniva a crearsi. Rimase, così, fuori dalla pandemia liberaleggiante e, conservando umiltà e semplicità, riuscì a trasmettere tutto ciò che aveva ricevuto: integrità della Fede di Santa Romana Chiesa, primato petrino, dottrina cattolica, celebrazione del Santo Sacrificio di sempre, santità sacerdotale.
Chiarissimo da queste pagine, che trasudano Amore per la Trinità, per Maria Santissima, per i Santi, tutto il suo attaccamento per Roma: egli soffre che i massoni, cercando di distruggere la Chiesa, la relegarono nella Città del Vaticano, ma gioisce ogni volta che la raggiunge. Considerava, infatti, elemento imprescindibile, sia per i seminaristi che per i sacerdoti della Fraternità San Pio X, chiamati a «mai dimenticare» (p. 215), l’influenza romana sulla «nostra spiritualità, sulla nostra liturgia e anche sulla nostra teologia» (p. 215). Roma è sede di Pietro e monsignor Lefebvre rammenta il verso di Dante (1265-1321): «Onde Cristo è romano» (Purgatorio, XXXII, 102), perciò il Vescovo arriva alla determinazione che non si può essere «cattolici senza essere romani». Il Cristianesimo, per volontà di Dio, è stato colato nello stampo romano, quindi non «dimentichiamolo mai: spetta anche a noi custodire questa tradizione romana voluta dal Signore» (p. 216).
Monsignor Lefebvre, che dispiegò tutte le sue qualità e le sue energie per il trionfo della Verità, combatté con umiltà, evitando gli eccessi, anzi egli raccomandava la pacatezza e la tranquillità, lasciando perdere ogni tipo di sterile polemica perché, sosteneva, «non lavoriamo contro nessuno, né persone né istituzioni» (p. 231). Egli, con i suoi figli, quelli fedeli, lavorò e lavora non per distruggere, ma per costruire.
Cristina Sicca