domenica 3 marzo 2013

Lettera aperta a Mons Fellay di 37 sacerdoti della FSSPX

La lettera è stata pubblicata sul sito internet francese La Sapiniere



Eccellenza,

come Lei ha scritto recentemente: «i legami che ci uniscono sono essenzialmente soprannaturali». Tuttavia, Lei si preoccupa di ricordarci, a giusto titolo, che anche le esigenze della natura non devono essere dimenticate. «La grazia non distrugge la natura». Tra queste esigenze vi è la veridicità. Ora, noi siamo obbligati a constatare che una parte dei problemi che abbiamo dovuto affrontare in questi ultimi mesi, derivano da una grave mancanza di questa virtù.

Dieci anni fa, Lei diceva come Mons. Tissier de Mallerais:
«Mai accetterò di dire: “Nel concilio, se lo si interpreta bene, quanto meno, lo si potrebbe far corrispondere alla Tradizione, lo si potrebbe trovare accettabile”, Mai accetterò di dirlo. Sarebbe una menzogna e non è permesso dire una menzogna, anche se si trattasse di salvare la Chiesa.» (Gastines, 16 settembre 2012).
Ma dopo, Lei è cambiato, fino a scrivere:
«L’intera Tradizione della fede cattolica dev’essere il criterio e la guida per la comprensione degli insegnamenti del Concilio Vaticano II, il quale a sua volta chiarisce certi aspetti della vita e della dottrina della Chiesa, implicitamente presenti in essa e non ancora formulati. Le affermazioni del Concilio Vaticano II e del Magistero Pontificio successivo, relative alla relazione fra la Chiesa cattolica e le confessioni cristiane non cattoliche, devono essere comprese alla luce dell’intera Tradizione» (Saint-Joseph-des-Carmes, 5 giugno 2012).

A Brignole, nel maggio 2012, Lei ha parlato di quel documento che «conveniva a Roma», ma che «bisogna spiegare tra noi perché vi sono delle dichiarazioni che sono talmente sul filo del rasoio che se si è mal disposti o a seconda che si indossano lenti nere o rosa, le si legge così o cosà».
Dopo di che, Lei si è giustificato nel modo seguente:
«Se possiamo accettare di essere “condannati” per il nostro rifiuto del modernismo (che è vero), non possiamo accettare di esserlo perché aderiamo alle tesi sedevacantiste (cosa che è falsa), è questo che mi ha condotto a redigere un testo “minimalista” che teneva conto di uno solo dei due dati e, per questo, si è potuto prestare a della confusione tra di noi.» (Cor Unum 102).
«Questo testo, quando l’ho scritto, evidentemente pensavo che fosse sufficientemente chiaro, che fossi riuscito a sufficienza ad evitare le… - come si dice? – le ambiguità. Ma gioco forza… diciamo che i fatti sono quelli che sono, io sono obbligato a vedere che questo testo era diventato un testo che divideva noi, nella Fraternità. Questo testo, evidentemente, lo ritiro.» (Ecône, 7 settembre 2012).

Lei è dunque un incompreso che, per condiscendenza, ritira un testo molto delicato che degli spiriti limitati non sono stati in grado di comprendere. Questa versione dei fatti è abile, ma è giusta? Ritirare un documento e ritrattare un errore dottrinale non sono formalmente la stessa cosa. Per di più, invocare le «tesi sedevacantiste» per giustificare questo documento «minimalista» che «conveniva a Roma», sembra molto fuori posto quando per altro verso, da più di tredici anni, Lei ha autorizzato un confratello a non citare più il nome del papa nel canone, dopo avergli confidato che comprendeva la sua scelta di fronte alla scandalosa firma di un documento comune tra Cattolici e Protestanti.

Mons. Tissier de Mallerais confidava a un confratello che questa «Lettera del 14 aprile» non dovrebbe mai essere pubblicata, perché, secondo lui, Lei sarebbe «definitivamente screditato e probabilmente costretto alle dimissioni». Il che conferma il caritatevole avvertimento di Mons. Williamson: «per la gloria di Dio, per la salvezza delle anime, per la pace interna della Fraternità e per la sua salvezza personale, Lei farebbe meglio a dimettersi da Superiore Generale, piuttosto che escludermi.» 
 
 (Londra, 19 ottobre 1012).
 
 

Eppure, Lei ha preso la cosa come un’aperta, pubblica provocazione.

Ma quando Mons. de Galarreta pronunciò, il 13 ottobre a Villepreux, questa frase incredibile, che si può ascoltare, ma non leggere, poiché la trascrizione in linea de La Porte Latine l’ha omessa:
«È quasi impossibile che la maggioranza dei Superiori della Fraternità – dopo una franca discussione, un’analisi approfondita di tutti gli aspetti, di tutti i pro e i contro – è impensabile che la maggioranza si sbagli in una materia prudenziale. E se per caso accade l’impossibile, ebbene tanto peggio, faremo in ogni caso ciò che pensa la maggioranza»,
a Menzingen, il Segretario Generale, don Thouvenot, scrisse che egli «esponeva con distacco e sottolineava gli avvenimenti dello scorso giugno».

Com’è che la Fraternità è potuta cadere così in basso?
Mons. Lefebvre scriveva: «Il giorno del giudizio, Dio ci chiederà se siamo stati fedeli e se abbiamo obbedito a delle autorità infedeli. L’obbedienza è una virtù relativa alla Verità e al Bene. Ma se essa si sottomette all’errore e al male, non è più una virtù, ma un vizio.» (Mons. Leebvre, lettera del 9 agosto 1986).
E don Berto, nel 1963, scriveva:
«si deve guardare più in là della punta del proprio naso e non immaginare che si ha diritto allo Spirito Santo come fosse a comando, quando si è in Concilio».

Alla conferenza del 9 novembre 2012, a Parigi, un Priore Le ha chiesto:
«all’uscita da ritiro sacerdotale, due confratelli mi hanno accusato di essere in rivolta contro la sua autorità, perché avevo manifestato soddisfazione a proposito del testo di don Cacqueray contro Assisi III. Come mai?»
E la sua risposta è stata:
«Ignoro che vi siano simili cose nella Fraternità. Sono stato io che ho chiesto questa dichiarazione. D’altronde, essa è stata pubblicata con la mia autorizzazione. Io sono del tutto d’accordo con don Cacqueray

Ora, durante il ritiro delle suore a Ruffec, Lei ha confidato a sei confratelli di non essere d’accordo col testo di don Cacqueray. E d’altronde, Lei si era lamentato con lui per i rimproveri che il cardinale Levada, per venti minuti, gli aveva rivolto sull’argomento. E ha spiegato che se gli aveva dato l’autorizzazione per la pubblicazione era per non sembrare parziale… ma che personalmente ne disapprovava il contenuto, che giudicava eccessivo.

Chi è, dunque, Monsignore, che utilizza dei mezzi «sostanzialmente sovversivi»? Chi è il rivoluzionario? Chi nuoce al bene comune della nostra società?

Il 9 novembre 1012, a Parigi, abbiamo sentito un confratello che Le chiedeva:
«Faccio parte di quelli che hanno perso la fiducia! Quante linee di condotta ci sono oggi nella Fraternità…»

E Lei ha risposto:
«È una grave ferita. Abbiamo subito una grande prova. Ci vorrà del tempo».
E davanti a questa risposta sfuggente, un altro Priore Le ha chiesto.
«Ritiri la sua risposta ai suoi tre confratelli vescovi…».
La sua risposta fu ancora nebulosa:
«Sì, quando la rileggo, mi sembra che vi siano dei piccoli errori. Ma in effetti, per aiutarvi a comprendere, sappiate che quella lettera non fu una risposta alla loro, ma alle difficoltà che avevo avuto con ciascuno di essi separatamente. Io ho molta stima di Mons. Williamson, perfino dell’ammirazione, egli ha dei colpi di genio nella lotta contro il Vaticano II, è una grossa perdita per la Fraternità e giunge nel momento peggiore…».

Ma chi è il responsabile della sua esclusione?
In privato, Lei dice molte cose: «ero in guerra», «Roma mente»… ma non ha mai pubblicato il minimo comunicato ufficiale per denunciare queste pretese menzogne.
Peggio.
Recentemente, a proposito dell’ultimatum del 22 febbraio, Lei ha ufficialmente avallato la menzogna del Vaticano.

Il suo linguaggio è divenuto interminabilmente confuso. Questa maniera ambigua di esprimersi non è lodevole, come scriveva il Padre Calmel:
«Ho sempre avuto in orrore le espressioni molli e sfuggenti, che possono essere tradotte in tutti i sensi e alle quali ognuno può far dire ciò che vuole. E mi sono tanto più in orrore per quanto si coprono dell’autorità ecclesiastica. Queste espressioni mi sembrano soprattutto un’ingiuria diretta a Colui che ha detto: «Io sono la Verità… Voi siete la luce del mondo… Che il vostro parlare sia sì sì, no no…»

Monsignore, Lei e i suoi Assistenti siete stati capaci di dire tutto e il contrario di tutto, senza timore del ridicolo.

Don Nély, nell’aprile 2012, di passaggio da Toulouse, dichiarò a una dozzina di confratelli che
«se le relazioni dottrinali con Roma sono arenate è perché i nostri teologi sono stati troppo impetuosi»,
eppure ad uno di questi teologi egli aveva detto:
«Avreste dovuto essere più incisivi».

Lei stesso, il 9 novembre 2012, ci ha detto:
«Vi faccio ridere, ma penso veramente che noi, i quattro vescovi, siamo dello stesso avviso».
Mentre sei mesi prima Lei aveva scritto loro:
«sulla questione cruciale tra tutte, quella della possibilità di sopravvivere nelle condizioni di un riconoscimento della Fraternità da parte di Roma, noi non arriviamo alle stesse vostre conclusioni.»

Nella stessa conferenza del ritiro a Ecône, Lei ha dichiarato:
«Vi confesso che facendo ciò che ho fatto non ho pensato di andare contro il Capitolo [del 2006].»
Poi, pochi momenti dopo, a proposito del Capitolo del 2012:
«se è il Capitolo che l’ha deciso, è una legge che vale fino al prossimo Capitolo».
Ora, quando si sa che nel marzo del 2012, senza attendere il prossimo Capitolo, Lei aveva distrutto la legge di quello del 2006 (nessun accordo pratico senza soluzione dottrinale), ci si interroga sulla sincerità della dichiarazione.

Uno dei suoi confratelli nell’episcopato, a Villepreux, ci invitava a
«non drammatizzare. Il dramma sarebbe abbandonare la fede. Non bisogna chiedere una perfezione che non è di questo mondo. Non bisogna cavillare su queste questioni. Bisogna vedere se l’essenziale c’è o no

È vero, Lei non è diventato maomettano (1° comandamento), non s’è sposato (6° comandamento), Lei ha semplicemente malmenato la realtà (8° comandamento). Ma, quando le ambiguità riguardano la battaglia per la fede, l’essenziale continua a sussistere?
Nessuno Le chiede una perfezione che non è di questo mondo. È facilmente concepibile che ci si sbagli di fronte al mistero d’iniquità, poiché anche gli eletti potranno essere ingannati, ma nessuno può accettare un linguaggio duplice.
Certo, la grande apostasia, predetta dalla Scrittura, può solo turbarci. Chi può pretendere di essere indenne dalle trappole del diavolo? Ma perché ingannarci? Certo, ad ogni peccato, misericordia, ma dove sono gli atti che esprimono l’esame di coscienza, il pentimento e la riparazione degli errori?

Davanti ai Priori di Francia, Lei ha detto:
«sono stanco delle diatribe sulle parole».
È qui che sta forse il problema.
Chi Le impedisce di andare a riposarsi a Montgardin e di gustarvi le gioie della vita riservata?
Roma ha sempre usato un linguaggio chiaro. Mons. Lefebvre anche. Anche Lei in passato. Ma oggi Lei introduce una confusione identificando indebitamente «la Chiesa cattolica, la Roma eterna» con «la Chiesa ufficiale, la Roma modernista e conciliare».

Ora, in nessun caso Lei può cambiare la natura della nostra battaglia. Se non vuole più compiere questa missione, Lei, insieme ai suoi Assistenti, deve rinunciare all’incarico che la Fraternità vi ha affidato.

In effetti, don Pfluger dice pubblicamente di soffrire per l’irregolarità canonica della Fraternità. Egli ha confidato a un confratello, nel giugno 2012, di
«essere stato scosso dai colloqui dottrinali».
Uscendo dalla sua conferenza a Saint-Joseph-des-Carmes, diceva in maniera sprezzante a chi voleva capire:
«E dire che c’è ancora chi non comprende che bisogna firmare!».

Il 29 aprile 2012, a Hattersheim, dopo aver confessato che «gli avvenimenti trascorsi hanno provato che le differenze concernenti la questione dottrinale non possono essere colmate», egli faceva suo il timore di «nuove scomuniche».
Ma come si possono temere le scomuniche dei modernisti, che sono già scomunicati dalla Chiesa?

Don Nély, in occasione di un pranzo per i benefattori, a Suresnes, annunciava che
«Il Papa aveva fissato un termine al rapporto con la Fraternità, chiedendo il riconoscimento della Messa e del Vaticano II»
e aggiungeva che
«Mons. Fellay stava sulla sua piccola nuvola ed era impossibile farlo scendere».
Ma don Nély, non ha firmato anch’egli la mostruosa lettera ai tre vescovi?
Non è stato lui stesso «sulla sua piccola nuvola», quando, di passaggio a Fanjeaux, ha detto alla Superiora, inquieta a proposito dell’ultimatum di Roma: «Non si preoccupi, con Roma va tutto bene, i loro canonisti ci aiutano a preparare gli statuti della prelatura…».

Può dire, in coscienza, che Lei e i suoi Assistenti vi siete assunte le vostre responsabilità?
Dopo tante dichiarazioni contraddittorie e nefaste, come pretendete ancora di governare?
Chi ha nuociuto all’autorità del Superiore Generale, se non Lei stesso e i suoi Assistenti?
Come può pretendere di parlarci di giustizia, dopo averla lesa?
«Quale verità può uscire dalla bocca di un mentitore?» (Eccli. 34, 4).
Chi ha seminato la zizzania?
Chi è stato sovversivo usando la menzogna?
Chi ha scandalizzato sacerdoti e fedeli?
Chi ha mutilato la Fraternità diminuendo la sua forza episcopale?
Può esserci una carità senza l’onore e la giustizia?

Scrivendo così pubblicamente, noi sappiamo che ci si rimprovererà di non aver rispettato le forme. E allora la nostra risposta sarà quella del Padre de Foucauld al Generale Laperrine: «Entrando nella vita religiosa, avevo creduto che avrei consigliato soprattutto la dolcezza e l’umiltà; col tempo, credo che manchi più spesso la dignità e la fierezza» (Lettera del 6 dicembre 1915).
A che pro scriverLe in privato, quando si sa che un confratello coraggioso e lucido ha dovuto attendere quattro anni per avere una lettera da Lei e non per leggervi, poi, delle risposte, ma delle ingiurie.
Quando un Superiore di Distretto aspetta sempre una nota di ricevimento della sua lettera di 17 pagine, inviata alla Casa Generalizia, sembra che Menzingen non abbia altri argomenti che il volontarismo: «sic volo, sic iubeo, sit pro ratione voluntas».

Monsignore, ciò che viviamo in questo momento è odioso.
La rettitudine evangelica è andata perduta: sì, sì, no, no.
Il Capitolo del 2012 non ha affatto chiarito la situazione.
Don Faure, un capitolare, ci ha recentemente messo in guardia pubblicamente contro «Le lettere e le dichiarazioni di questi ultimi mesi degli attuali Superiori della Fraternità».
Un altro capitolare ha confidato ad un confratello: «Bisogna riconoscere che il Capitolo è bloccato. Oggi si è per l’OK ad una Fraternità libera nella Chiesa conciliare. Sono rimasto sconvolto per il livello di riflessione di certi capitolari».

I suoi interventi e quelli dei suoi Assistenti sono ingannevoli e lasciano credere che avete attuato solo un passo indietro strategico.

Alla fine del 2011, un Assistente con un fratello “accordista” cercarono di stimare il numero dei sacerdoti che in Francia avrebbero rifiutato un accordo con Roma. Il loro risultato fu di sette. Menzingen si rassicurò.
Nel marzo 2012, Lei ha detto confidenzialmente che il signor Guenois del Figaro era un giornalista informato molto bene e che la sua visione delle cose era molto giusta.
Ora, il suo articolo diceva: «Che lo si voglia o no, il Papa e Mons. Fellay vogliono un accordo non dottrinale, ma ecclesiale».

Nel maggio 2012, Lei ha confidato ai Superiori dei Benedettini, dei Domenicani e dei Cappuccini: «Sappiamo che ci sarà una rottura, ma si andrà fino in fondo». Nel giugno l’accordo ecclesiale fu impossibile.
Tuttavia, nell’ottobre 2012, di passaggio al Priorato di Bruxelles, dei preti diocesani, invitati da don Wailliez, Le hanno manifestato il loro desiderio di vedere un accordo fra Roma e la Fraternità, e Lei li ha rassicurati con queste parole: «sì, sì, si farà ben presto». Erano passati tre mesi dal Capitolo di luglio.

Monsignore, Lei ha il dovere di giustizia di dire la verità, di riparare alle menzogne e di ritrattare gli errori. Lo faccia e tutto tornerà in ordine. Lei sa che André Avellin è diventato un gran santo, nel XVI secolo, dopo aver subito l’onta di una menzogna che aveva pronunciato per debolezza. Noi vogliamo semplicemente che Lei divenga un gran santo.

Eccellenza, non vogliamo che la storia si ricordi di Lei come dell’uomo che ha sfigurato e mutilato la Fraternità Sacerdotale San Pio X.

Stia certo, Eccellenza, della nostra totale fedeltà all’opera di Mons. Lefebvre.

28 febbraio 2013
Trentasette sacerdoti del Distretto di Francia

articolo tratto da: Unavox

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