nel corso della S. Messa celebrata nella chiesa di
Saint Nicolas du Chardonnet
dove parla della situazione della Fraternità negli ultimi mesi
L'omelia è stata pubblicata sul sito ufficiale della Fraternità in Francia
La Porte Latine
La traduzione, l'impaginazione e i neretti sono nostri (UNAVOX)
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L'11 novembre 2012, Mons. Bernard Fellay ha celebrato la Messa nella chiesa
di Saint-Nicolas du Chardonnet, a Parigi. <br>
Nel corso di un'omelia forte e chiara, è ritornato su questi
mesi di sofferenze, di confusioni e di tormenti tra noi, e ha
dichiarato che noi ci troviamo allo stesso punto di Mons. Lefebvre nel
1974, e ha posto l'interrogativo di sapere dov'è che Roma veda
la continuità nel concilio Vaticano II. Dove? Ad Assisi?, Nel
bacio del corano?
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Caro Superiore del Distretto, cari Reverendi, carissimi fedeli,
Abbiamo appena ascoltato, nel Vangelo, la parabola della zizzania; misteriosa, proprio misteriosa questa realtà della zizzania. È Nostro Signore che ce la insegna. E che ci dice che il Regno di Dio – quand’Egli parla del Regno di Dio è innanzi tutto e prima di tutto la Chiesa – è paragonabile ad un campo, e il Padrone, il Padrone è Dio, ed Egli fa solo del bene, e pianta solo del buon grano. Così fa Dio. La sua grazia, la sua bontà. Poi questo mistero si può estendere molto più in là che la sola Chiesa, al mondo intero. E Dio è anche il Padrone di tutto questo mondo, ed ecco che tutt’a un tratto, in mezzo a questa azione benefica, benevola – noi sappiamo che Dio è il Padrone di tutto – ecco che tutt’a un tratto compare la zizzania, l’erba cattiva, il male.
Stupore, stupore degli Angeli, stupore di questi operai del campo: «Ma, Signore, non avete piantato solo del buon grano?». Risponde il Padrone: «È il Nemico che ha fatto questo».
Questa risposta, com’è formulata qui, potrebbe lasciar supporre che il Buon Dio non può farci niente. Comprendiamo bene, non è il Buon Dio che l’ha fatto… Certo, ma Egli rimane il Padrone!
Il mistero diventa ancora più grande. Dio lo permette. Egli avrebbe potuto impedire quest’erba cattiva. Egli lo permette. Egli permette che questo Nemico, il Demonio, pianti quest’erba cattiva. Egli permette che noi stessi – perché Egli ci ha fatti liberi – possiamo decadere, fare del male. Egli non lo vuole. Egli vuole solo del buon grano.
Ma ecco, ecco nella nostra storia, nella storia della Chiesa: il male, la sofferenza, la zizzania; e nel mondo: lo scandalo, lo scandalo di tante e tante persone. Ma lo scandalo va ancora più in là. Ed ecco che questi Angeli, ministri di Dio, potenti, forti, che vogliono solo il bene, si offrono per estirpare quest’erba cattiva, per strapparla… finirla, finirla con questo male. E il Padrone dice: «no, no, bisogna lasciarla, bisogna lasciare questa mala erba!».
È questo il mistero che riscontriamo nella Chiesa, la Chiesa che d’ora in avanti deve dirsi militante, bisogna combattere, vi sarà una battaglia fuori e anche dentro. E fino alla fine.
E tuttavia, tuttavia è proprio il Padrone – l’avete sentito nell’Epistola – che ci dice che prima di tutto è l’amore, l’amore è l’unione, è Lui che ha detto che questo segno sarà il segno stesso dell’autenticità della Chiesa, questa unione dei membri.
Ed anche San Paolo ci dice questa parola terribile, ma che corrisponde al senso di questa parabola della zizzania: «Oportet heraeses esse». Bisogna che ci sa la divisione. La cosa è contraddittoria.
Ed è Nostro Signore che spiega ai Suoi Angeli che levarla, levare queste male erbe, farà più male che bene. E dunque bisogna lasciarle.
Questo non vuole assolutamente dire che Dio tutt’a un tratto non sarebbe più il Padrone di tutte le cose. Oh, no! E d’altronde Egli l’annuncia questa padronanza, dicendo che al momento del raccolto si farà la distinzione. A quel punto, l’erba cattiva verrà bruciata, separata dal buon grano.
Quelli che fanno il male, che pensano di farlo impunemente perché non vedono la punizione immediata, che stiano attenti! Dio resta Dio.
E viene il giorno in cui Egli manifesta la Sua Sovranità. Con Dio non si scherza. È la sacra Scrittura che ce lo dice, ed è evidente, lo si sa.
Ma ecco, vi è questo mistero del Buon Dio che permette quaggiù, a causa del peccato, a causa delle conseguenze del peccato, ebbene, noi dobbiamo batterci.
E questo mistero ci ha toccati un po’ più intimamente in questi ultimi mesi. Noi l’abbiamo visto fin nella nostra cara Fraternità: una confusione, una mala erba, una zizzania, un disordine. Dio l’ha permesso, come lo permette nella Chiesa, come lo permette, si può dire, in ogni società. È un grande mistero del Buon Dio.
E si sa anche di un altro modo, ma che si equivale, ritorna sempre in qualche modo alla stessa cosa, Nostro Signore dice ai Suoi Apostoli, se un ramo non porta frutto, ebbene, il contadino lo taglia. E continua dicendo, ma anche quelli che portano buon frutto saranno tagliati… affinché portino altro frutto.
Grande mistero! Grande mistero quest’annuncio di sofferenze che, nel piano di Dio, ebbene, sono necessarie, e che noi comprendiamo così male.
Ogni volta che facciamo del bene, ogni volta che facciamo uno sforzo verso il bene e che riusciamo in questo sforzo verso il bene, automaticamente ci aspettiamo dal Buon Dio uno sguardo benevolo, una bontà, dunque qualcosa che ci faccia del bene. E quando il Buon Dio risponde con un colpo, non si capisce più. E tuttavia, tuttavia questo non è un colpo cattivo, è un colpo, certo. Tagliare un ramo, non è cosa che fa bene. E tuttavia… Affinché esso porti più frutto… Grande mistero!
Voglio guardare con voi, molto brevemente, a questi mesi che hanno causato non poche sofferenze, per trarne qualche lezione; anche al fine di poterci ritrovare, se è necessario. Voi sapete che questi tempi di disordine – sì, parlo delle nostre relazioni con Roma e di ciò che ha prodotto delle reazioni tra noi, come una delle conseguenze dolorose, la perdita di uno dei nostri vescovi… che non è cosa da poco! E qui tengo a precisare e a confermare che non è stato il problema delle nostre relazioni con Roma ad essere la causa di questa partenza. Questa è stata l’occasione, la conclusione di un problema che durava da tanto tanto tempo. Un problema di disciplina interna alla Fraternità. Che alla fine si è manifestato con una sorta di ribellione aperta contro l’autorità, diciamo con un falso pretesto.
Provo a spiegarvi un po’ di più. Cos’è successo in tutti questi mesi? Dove si trova la causa di tutti questi trambusti! Penso che essa è molteplice, ma la base, la base è una contraddizione a Roma. Contraddizione che avevamo constatato, che avevamo già spiegata fin da almeno il 2009.
Contraddizione che, direttamente per noi, si manifesta nelle decisioni, nelle dichiarazioni della stessa autorità, cioè della Santa Sede, ma che vengono da persone diverse della Santa Sede, e sono dichiarazioni diverse, opposte e anche contraddittorie. E ci sembra che questo si verifica perché a Roma, le persone che sono là hanno delle posizioni divergenti, anche in rapporto alla crisi, e poi in rapporto a noi. E d’altra parte, si vede proprio che a Roma vi è un frazionamento nell’esercizio dell’autorità.
Da cui una difficoltà che esiste già da diversi mesi, da diversi anni, circa il comprendere cosa voglia veramente il capo, cioè il Santo Padre, il Sommo Pontefice. In linea di principio, ciò che si chiama la Santa Sede, il Vaticano, è nelle sue mani. Non si fa distinzione tra la Santa Sede e il Papa. Quando diciamo Roma, parliamo di questo insieme, di questa autorità nella Chiesa. È così che dovrebbe essere. Ma nella realtà, si vede, l’abbiamo constatato più di una volta, quello che chiamiamo sabotaggi dell’autorità, in particolare quando le decisioni sono state prese a favore della Tradizione.
Uno dei più manifesti è relativo alla Messa. E questa volta questa opposizione non è solo a Roma, ma un po’ dappertutto nelle diocesi, si vede questo sabotaggio dei vescovi che ostacolano, che impediscono ai sacerdoti e ai fedeli di accedere alla Messa di sempre.
In questo clima, noi abbiamo avuto delle discussioni, dei colloqui dottrinali che sono finiti in niente. In una constatazione di non-intesa.
Nondimeno, dopo questi colloqui – cosa che per noi è stata causa di grande stupore, di sorpresa – la Santa Sede fa una proposta di soluzione canonica. E mentre da un lato – dal canale ufficiale della Congregazione della Fede e della Commissione Ecclesia Dei – ci vengono consegnati dei documenti da firmare o da discutere, entrambe le cose… contemporaneamente riceviamo da delle persone che lavorano negli stessi ambienti, negli stessi uffici Ecclesia Dei o tramite un cardinale, un messaggio che differisce dalla linea ufficiale.
Fra poco il Papa riconoscerà la Fraternità come ha fatto per le scomuniche, senza contropartita da parte della Fraternità. La cosa evidentemente pone molti problemi in una situazione del genere, ma essa non corrisponde affatto al testo che ci si propone.
In seguito, queste stesse persone ci diranno: “ma questi testi che vi propongono non corrispondono a quello che vuole il Papa”.
E questo doppio messaggio dura per dei mesi.
Ai messaggi ufficiali, in cui ci si chiede di accettare quello che nei colloqui è stato dichiarato come non accettabile da parte nostra, la nostra risposta è no, non si può – ebbene, mentre noi riceviamo queste risposte ufficiali, continuano questi messaggi… bisogna dirlo, di benevolenza, e ci è impossibile mettere in dubbio la loro origine. E l’origine è ben in alto.
Vi ripeto alcune di queste frasi:
“che la Fraternità sappia che risolvere i problemi della Fraternità è al cuore delle mie preoccupazioni”, oppure “è una priorità del mio pontificato”. Questo con l’intenzione di risolvere il problema.
Quanto ai mezzi, altre frasi del genere:
“vi sono dei nemici a Roma che sabotano tutte le iniziative del Papa a favore di una restaurazione”; oppure: “Che Mons. Fellay non si inquieti, dopo questo riconoscimento egli potrà continuare ad attaccare tutti i punti come prima”. O ancora più forte: “Il Papa è al di sopra della Congregazione della Fede. Se la Congregazione della Fede prende una decisione contraria alla Fraternità, ebbene, il Papa interverrà per cassare tale decisione”.
Potevamo ignorare totalmente questa seconda linea?
Bisognava necessariamente verificarla, verificare la sua autenticità, la sua veridicità.
Ma era strettamente impossibile parlarne, comunicarla. Perché questo avrebbe reso le cose ancora più complicate.
Alla fine, si può dire a partire dal mese di maggio, le cose hanno incominciato a chiarirsi, e nel mese di giugno, si è giunti infine alla chiarezza. Perché?
Perché io finisco con l’unire, per così dire, questi due canali, scrivendo.
E scrivo al Papa dicendogli che per un momento, visto che Lei conosce la nostra opposizione al Concilio e visto che nondimeno Lei vuole riconoscerci, io ne avevo dedotto che era disposto a mettere da parte o a rimandare a più tardi questi problemi del Concilio. Tra l’altro, questo vorrebbe dire degradare il Concilio, renderlo soggetto a opinioni, a discussioni – poiché si è parlato di discussioni possibili, perfino legittime. Dunque, io ho pensato che, visto che Lei fa questo gesto verso di noi, malgrado il problema, vuol dire che Lei stima più importante dichiarare cattolica la Fraternità piuttosto che mantenere ad ogni costo questo Concilio, ma quando alla fine io vedo che Lei stesso sembra imporre il Concilio, devo dedurne che mi sono sbagliato. Allora, ci dica, per favore, cos’è che Lei vuole veramente.
E ho ricevuto una risposta, una lettera, una risposta scritta, datata 30 giugno.
E in questa lettera del 30 giugno è detto che è lui stesso, il Papa, che è intervenuto per obbligare all’accettazione del Concilio, per reintrodurre nel testo tutto quello che io avevo tolto e che non potevamo firmare, e che così è stato rimesso. Ed egli continua dicendo che per arrivare ad un riconoscimento giuridico vi sono tre condizioni. Tre cose da accettare da parte della Fraternità.
Accettare che “il magistero è
il giudice della Tradizione apostolica”, vale a dire che
è il magistero che ci dice ciò che appartiene alla
Tradizione. Questo è di fede. È evidente che, visto il
contesto, egli utilizza questo per obbligarci ad accettare le
novità.
E soprattutto, ci ha chiesto di accettare che “il Concilio fa parte integrante di questa Tradizione”. Cosa che vuol dire che il Concilio sarebbe la Tradizione, tradizionale.
È da quarant’anni che si dice il contrario, non per nostro piacere, ma secondo questa parola che si può dire consacrata, che si ritrova tantissime volte nella bocca del nostro venerato fondatore: siamo obbligati a constatare, sono i fatti che ci dimostrano che questo Concilio ha avuto la volontà, ha voluto, non chissà quale novità, non una novità superficiale, ma una novità profonda e logicamente in opposizione, in contraddizione con ciò che la Chiesa aveva insegnato e perfino condannato.
Non è per il nostro piccolo piacere che noi ci troviamo in questa battaglia da tantissimi anni. Contro queste novità, queste riforme conciliari che demoliscono la Chiesa e la riducono in rovina. Ed ecco che ci si dice che la condizione da accettare è che “il Concilio fa parte integrante della Tradizione”.
E ancora un’altra condizione, quella che riguarda la Messa. Dobbiamo accettare la validità della nuova Messa, non solo la validità, ma anche la liceità. Si parla di validità quando si tratta della cosa in sé, una Messa celebrata validamente significa che il Signore è là. Non riguarda le circostanze nelle quali essa è celebrata. Anche una Messa nera può essere valida. È terribile, è un sacrilegio terribile, ma è così, vi sono dei preti, sì, dei preti che consacrano quella che si chiama una Messa nera. Ebbene, essa è valida. E voi capite che prendendo quest’esempio scioccante, si capisce che questo non è permesso, che non è lecito perché è malvagio. Ebbene, lecito vuol dire permesso perché è buono. E noi abbiamo constatato le devastazioni di questa nuova Messa, abbiamo constatato com’è stata fatta, a quale scopo è stata fatta, per l’ecumenismo. E ne vediamo i risultati: la perdita della fede, le chiese svuotate; e diciamo: è malvagia. È questo che ho risposto a Roma. D’abitudine, noi non parliamo neanche di liceità, diciamo semplicemente che essa è malvagia. Questo basta.
E soprattutto, ci ha chiesto di accettare che “il Concilio fa parte integrante di questa Tradizione”. Cosa che vuol dire che il Concilio sarebbe la Tradizione, tradizionale.
È da quarant’anni che si dice il contrario, non per nostro piacere, ma secondo questa parola che si può dire consacrata, che si ritrova tantissime volte nella bocca del nostro venerato fondatore: siamo obbligati a constatare, sono i fatti che ci dimostrano che questo Concilio ha avuto la volontà, ha voluto, non chissà quale novità, non una novità superficiale, ma una novità profonda e logicamente in opposizione, in contraddizione con ciò che la Chiesa aveva insegnato e perfino condannato.
Non è per il nostro piccolo piacere che noi ci troviamo in questa battaglia da tantissimi anni. Contro queste novità, queste riforme conciliari che demoliscono la Chiesa e la riducono in rovina. Ed ecco che ci si dice che la condizione da accettare è che “il Concilio fa parte integrante della Tradizione”.
E ancora un’altra condizione, quella che riguarda la Messa. Dobbiamo accettare la validità della nuova Messa, non solo la validità, ma anche la liceità. Si parla di validità quando si tratta della cosa in sé, una Messa celebrata validamente significa che il Signore è là. Non riguarda le circostanze nelle quali essa è celebrata. Anche una Messa nera può essere valida. È terribile, è un sacrilegio terribile, ma è così, vi sono dei preti, sì, dei preti che consacrano quella che si chiama una Messa nera. Ebbene, essa è valida. E voi capite che prendendo quest’esempio scioccante, si capisce che questo non è permesso, che non è lecito perché è malvagio. Ebbene, lecito vuol dire permesso perché è buono. E noi abbiamo constatato le devastazioni di questa nuova Messa, abbiamo constatato com’è stata fatta, a quale scopo è stata fatta, per l’ecumenismo. E ne vediamo i risultati: la perdita della fede, le chiese svuotate; e diciamo: è malvagia. È questo che ho risposto a Roma. D’abitudine, noi non parliamo neanche di liceità, diciamo semplicemente che essa è malvagia. Questo basta.
Ecco, miei cari fratelli, la situazione. Ed ecco perché è evidente che dal mese di giugno – l’abbiamo annunciato alle ordinazioni – le cose sono bloccate. È un ritorno al punto di partenza. Noi ci troviamo esattamente allo stesso punto di Mons. Lefebvre negli anni 1975, 1974. E dunque la nostra battaglia continua. Noi non abbandoniamo l’idea di riguadagnare un giorno la Chiesa, di riconquistare la Chiesa alla Tradizione. La Tradizione è il suo tesoro, il tesoro della Chiesa. Ebbene, noi continuiamo, in attesa del giorno felice… che verrà. Quando? Non ne sappiamo niente. Lo vedremo. Esso sta nel segreto del Buon Dio. Verrà questo giorno in cui la zizzania sarà estirpata, questo male che fa soffrire la Chiesa. Quella che noi viviamo è probabilmente la crisi più spaventosa che la Chiesa abbia mai sofferto. Dove si vedono i vescovi, i cardinali, che non conducono più le anime al Cielo, ma che benedicono le vie dell’Inferno. Che non avvertono più le anime dei pericoli che esse corrono qui sulla terra. Che non le richiamano più allo scopo della loro esistenza… lo scopo, che è il Buon Dio., che è l’andare in Cielo. E che non vi sono trentasei cammini per andarci, ma solo il cammino della penitenza, il cammino della rinuncia. Non tutto è permesso. Vi sono i Comandamenti del Buon Dio. E se non li si vuole rispettare, ci si prepara per l’Inferno. Quante volte ascoltiamo queste parole dalla bocca di un vescovo? Quanti vescovi probabilmente non le avranno mai pronunciate? Noi conosciamo dei seminaristi, moderni, che sono arrivati alla fine del loro seminario e che ci hanno detto: “Non abbiamo mai sentite queste parole in seminario!” Eppure, è la conseguenza diretta del peccato.
La nostra vita sulla terra, ebbene, è una prova. Noi dobbiamo dimostrare al Buon Dio che Lo scegliamo, Lui, e che dunque rinunciamo ai nostri amori, all’amore per le cose della terra, che noi preferiamo Lui. Molto semplicemente, bisogna… Non bisogna scoraggiarsi al cospetto di questa zizzania. Questa può essere una reazione di fronte a questo male che è dappertutto, che invade tutto, e sempre di più. Potrebbe essere una reazione, ma una reazione troppo umana, troppo umana.
Nella Colletta di oggi, la Chiesa ci dice che essa si appoggia solo alla grazia, per tutto ciò di cui abbiamo bisogno, per tutta la nostra battaglia. Volersi appoggiare sulle proprie forze, allora sì, questo può facilmente condurre allo scoraggiamento. La nostra forza consiste… è ciò che diciamo tutti i giorni; Adiutorium nostrum in nomine Domini, il nostro aiuto e dunque la nostra forza è nel nome del Signore. È solo sul Buon Dio che bisogna contare. E noi sappiamo bene che se il Buon Dio permette le prove perché è Lui il Maestro, mai Egli permette una qualche prova per noi senza darci la grazia, la grazia proporzionata, per trionfare. Queste parole, bisogna prenderle come sono, e per vere.
Tutto coopera al bene di coloro che amano Dio.
Tutto, e certo innanzi tutto le prove. Tutto coopera al bene.
E dunque, se abbiamo delle prove, non lasciamoci scoraggiare. Raddoppiamo le nostre preghiere. Volgiamo lo sguardo verso il Buon Dio. Facciamo qualche sforzo, qualche sacrificio, e contiamo sulla Sua grazia.
La Chiesa ci ha sempre detto che vi è uno sguardo, che vi è un pensiero, che è la soluzione di ogni problema, che ci darà questa forza, il coraggio, quale che sia il nostro stato, ebbene, è lo sguardo su Gesù crocifisso, sul Crocifisso, su Gesù che è sul punto di morire sulla Croce per noi, per amore nostro. Egli avrebbe potuto benissimo lasciarci cadere. Egli è Dio. Infinitamente al di sopra delle Sue creature. Delle creature che Lo hanno offeso, in maniera talmente ingrata. Ebbene, cos’è che ha fatto? Invece di lasciare le cose così, Egli è venuto a riparare. Egli si è fatto uomo, in un annientamento indicibile. Nella Sua Passione, Egli prende i nostri peccati su di Sé, li porta, paga in nostra vece. Egli prende su di Sé il castigo che meritiamo noi per i nostri peccati.
Questo è l’amore di Gesù per noi, e noi, noi avremmo un dubbio? Avremmo un dubbio sul fatto che Egli ci voglia soccorrere, che Egli voglia aiutarci? Recuperiamo i nostri spiriti. Riprendiamo la fede. Ed anche se Egli si è nascosto, se raddoppia la prova, non fa niente, Egli è il Maestro assoluto di tutte le cose. Egli è capace di salvarci nella situazione della Chiesa attuale, come nel migliore dei tempi. E questo mistero arriva così lontano, miei carissimi fratelli, che questo potere, questa potenza di santità, di santificazione, ancora oggi risiede in questa Chiesa che noi vediamo a terra. Se noi abbiamo la fede, è in questa Chiesa, se noi riceviamo la grazia del battesimo fino all’ultimo sacramento, è in e per questa Chiesa. Questa Chiesa che non è un’idea, che è reale, che è di fronte a noi, che si chiama Chiesa cattolica e romana, la Chiesa col suo Papa, con i suoi vescovi, che possono essere anche debilitati – direi anche deboli -, ma non fa niente, il Buon Dio non lascia cadere la Sua Chiesa.
Ma a noi spetta di non lasciarci confondere, di non dire che… siccome c’è assistenza del Buon Dio, tutto va bene!
Certo che no, lo vedete, è il problema che abbiamo con Roma nelle nostre discussioni.
Glielo diciamo… c’è un problema e questo problema viene chiaramente dal Concilio e dai suoi derivati. E ci si risponde… è impossibile. No. Non ci sono problemi. Non possono esserci dei problemi perché la Chiesa gode dell’assistenza dello Spirito Santo. Dunque la Chiesa non può fare nulla di malvagio. Non è possibile. E dunque il Concilio dev’essere buono. Per forza. E dunque, quello che voi dite, non vale. Vi è qualche abuso, qui o là, ma questo non conta. La nuova Messa è stata fatta dalla Chiesa. La Chiesa è assistita. È necessariamente buona, e voi non avete il diritto di dire che la nuova Messa è malvagia.
Ecco cosa abbiamo di fronte. E noi rispondiamo: noi accettiamo la fede fino al più piccolo iota, anche la fede nella Chiesa, e nelle sue prerogative, e nell’assistenza dello Spirito Santo. Tuttavia, è parimenti vero che noi accettiamo la realtà. Non stiamo per negare la realtà. E sappiamo bene che tra le due cose non v’è contraddizione. E che verrà il giorno che ci sarà una spiegazione, anche se oggi non c’è.
Questo è il mistero della Croce, Gesù sulla Croce, la fede ci obbliga a professare che Egli è Dio, che è Onnipotente, che è Eterno, immortale, Egli non può morire, non può soffrire. Dio è infinitamente perfetto, è impossibile che Dio soffra. E Gesù, sulla Croce, è Dio. Tutto questo ce lo dice la fede. E noi siamo obbligati ad accettarlo, totalmente. Senza alcuna diminuzione.
Ma al tempo stesso, l’esperienza umana ci dice che questo Gesù soffre, e anche muore. Ai piedi della Croce, sono nella verità quelli che mantengono le due cose, anche se sembrano contraddittorie.
E si può dire che questo problema si intravede attraverso tutta la storia della Chiesa: la grande maggioranza si arresta a ciò che dice la conoscenza umana, e finisce col concludere che dunque non è Dio. Egli è veramente morto. È morto e sotterrato. Finito. E la gran parte dei nemici della Chiesa, degli atei, degli eretici e dei modernisti che si nascondono nella Chiesa, fanno credere che hanno la fede e invece non ce l’hanno. Si distinguerà abilmente un Cristo della storia, il Cristo reale, che dicono che è morto e non è mai risuscitato, dal cosiddetto Cristo della fede, quello a cui la Chiesa ci obbligherebbe a credere, e per il quale si sarebbe inventata una risurrezione.
È tutto falso. Non è giusto. Egli è veramente risuscitato.
E figuratevi che ve ne sono di altri, un’altra eresia degli inizi, che insistono nel dire, sì, ma sì Egli è Dio. Dunque questa morte, queste sofferenze, sono solo delle apparenze. Egli non è veramente morto. Si trova anche questo errore, meno diffuso.
Ebbene, oggi si presenta lo stesso problema. In rapporto alla Chiesa vi è lo stesso problema. Se si vuole rimanere nella verità, bisogna guardare questi due dati, i dati della fede e anche i dati della constatazione della ragione.
Questo Concilio ha voluto mettersi in armonia col mondo. Esso ha fatto rientrare il mondo nella Chiesa e oggi abbiamo il disastro. E tutte queste riforme che sono state fatte a partire dal Concilio, sono state fatte dalle autorità per questo. Oggi ci si parla di continuità, ma dov’è? Ad Assisi? Nel bacio del Corano? Nella soppressione degli Stati cattolici? Dov’è questa continuità?
E dunque, molto semplicemente noi continuiamo. miei carissimi fratelli, noi continuiamo senza cambiare niente, fino a quando il Buon Dio vorrà, com’Egli fa…
Certo, questo non vuol dire che bisogna restare inattivi, tutti i giorni bisogna… noi abbiamo questo dovere di guadagnare le anime.
E noi sappiamo bene che la soluzione verrà dal Buon Dio e si può anche dire per mezzo della Santa Vergine.
Lo si può dire, è un’evidenza dei nostri tempi, significata da queste apparizioni, belle, magnifiche: la Madonna de La Salette, la Madonna di Fatima, che annunciano quest’epoca, dolorosa, terribile.
Roma diventerà la sede dell’Anticristo, Roma perderà la fede… è questo che è stato detto a La Salette. La Chiesa sarà eclissata. Queste non sono parole da poco. Si ha veramente l’impressione che è oggi che si vede tutto questo.
Non bisogna agitarsi. È terrificante, certo, e allora bisogna ancor più rifugiarsi presso la Santa Vergine, presso il Suo Cuore Immacolato. È il messaggio di Fatima: Dio vuole dare al mondo questa devozione al Cuore Immacolato di Maria. E questo non è per niente!
Chiediamo in tutte le nostre preghiere, in ogni Messa, questa grazia della fedeltà, di non cedere in niente, costi quel che costi. E che il Buon Dio ci protegga e ci guidi, fino in Cielo.
Così sia.
In nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo, e così sia.
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