Monsignor Williamson: "Io sono uno dei suoi vescovi, come voi, da quasi un quarto di secolo. Questo non si cancella con un tratto di penna, per cui membro della Fraternità io lo resto."
"Sono
venuto a portare il fuoco sulla terra; e come vorrei che fosse gia
acceso! C'è un battesimo che devo ricevere; e come sono angosciato,
finché non sia compiuto! Pensate che io sia venuto a portare la pace
sulla terra? No, vi dico, ma la divisione. D'ora innanzi in una casa di
cinque persone si divideranno tre contro due e due contro tre; padre
contro figlio e figlio contro padre, madre contro figlia e figlia contro
madre, suocera contro nuora e nuora contro suocera." (Lc 12)
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Lettera aperta di S.E Mons Williamson a S.E. Mons.
Fellay riguardo all'imminente “esclusione” (che poi è avvenuta) dalla Fraternita San Pio X.
Ringraziamo una nostra carissima amica per la traduzione in Italiano...
Londra,
19 ottobre 2012
Eccellenza,
grazie
per la vostra lettera del 4 ottobre, con la quale mi comunicate da parte
vostra, del Consiglio Generale e del Capitolo Generale, la vostra “constatazione”,
“dichiarazione” e “decisione” che io non sono più membro della Fraternità San
Pio X. Le ragioni da voi riferite che motivano la vostra decisione di escludere
il vostro servitore sarebbero le seguenti: ha continuato a pubblicare i “Commenti
Eleison”; ha attaccato le autorità della Fraternità; ha fatto opera di
apostolato indipendente; ha seminato confusione tra i fedeli; ha sostenuto
confratelli ribelli; ha disobbedito in modo formale, ostinato e “pertinace”; si
è separato dalla Fraternità; non si subordina ad alcuna autorità.
Non
possiamo riassumere tutte queste motivazioni e considerarle essenzialmente “disubbidienza”? Certamente, nel corso di
questi ultimi dodici anni, il vostro servitore ha espresso parole e gesti che
sono risultati inappropriati ed eccessivi davanti a Dio, ma credo sarebbe stato
sufficiente segnalarglielo perché se ne fosse scusato, secondo verità e
giustizia. Ma siamo altrettanto certamente d’accordo che il problema di fondo
non si trova nei dettagli, ma si riassume in una sola parola: disobbedienza.
Allora,
cominciamo analizzando quanti ordini più o meno sgradevoli del Superiore
Generale il vostro servitore ha rispettato senza ribattere. Nel 2003 ha abbandonato
un importante e fruttuoso apostolato negli Stati Uniti per trasferirsi in
Argentina. Nel 2009 ha rinunciato al proprio incarico di direttore del
seminario e ha lasciato l’Argentina per ammuffire in una mansarda di Londra,
privato della parola e del ministero episcopale che gli era stato proibito.
Virtualmente non gli rimaneva che il ministero del “Commento eleison”, il cui
rifiuto di sospensione rappresenta la parte essenziale di questa
“disobbedienza” che gli viene rimproverata. E a partire dal 2009 i Superiori
della Fraternità si sono permessi di discreditarlo ed ingiuriarlo a loro
piacimento, ed in tutto il mondo hanno incoraggiato ogni membro della
Fraternità che ne avesse voglia a fare lo stesso. Il vostro servitore non ha
quasi reagito, preferendo il silenzio a qualsiasi confronto scandaloso. Si
potrebbe persino dire che si è sforzato di non disubbidire. Ma andiamo oltre,
poiché il vero problema non è questo.
Allora,
dove si trova il vero problema? Per rispondere, permettete all’accusato di fare
una rapida analisi della storia della Fraternità dalla quale si pretende che
egli si stia separando. In realtà, il problema centrale ha radici nel passato.
A partire dalla Rivoluzione francese della fine del XVIII secolo, in molti
stati un tempo cristiani si è imposto un nuovo ordine mondiale, concepito dai
nemici della Chiesa per cacciare Dio dalla sua creazione. Si è cominciato
sostituendo l’antico regime, dove il trono sosteneva l’altare, con la
separazione tra Chiesa e Stato. Ne è derivata una struttura della società
radicalmente nuova, difficile per la Chiesa, poiché lo Stato, ormai
implicitamente ateo, ha cominciato ad opporsi con tutte le sue forze alla
religione di Dio. In realtà, la massoneria vuole sostituire il vero culto di
Dio con il suo culto della libertà la cui neutralità in campo religioso non è
che uno strumento (per raggiungere l’obiettivo). Comincia così nei tempi
moderni una guerra impietosa tra la religione di Dio, difesa dalla Chiesa
Cattolica, e la nuova religione dell’uomo, liberata da Dio e liberale. Queste
due religioni sono inconciliabili tanto quanto Dio e il demonio. Bisogna
scegliere tra cattolicesimo e liberalismo.
Ma
l’uomo non vuole scegliere, vuole la botte piena e la moglie ubriaca. Vuole
entrambe le cose. Quindi, sulla scia della Rivoluzione, Félicité de Lamennais
inventa il cattolicesimo liberale e, da lì in poi, la conciliazione degli
inconciliabili diventa il pane quotidiano all’interno della Chiesa. Per 120
anni, la misericordia di Dio ha dato alla Sua Chiesa una serie di Papi, da Gregorio
XVI a Pio XII, per la maggior parte perspicaci e risoluti, ma un numero sempre
crescente di fedeli ha cominciato a propendere per l’indipendenza da Dio e per
i piaceri materiali versi i quali il cattolicesimo liberale spingeva. Una
progressiva corruzione ha finito per coinvolgere vescovi e sacerdoti, allora
Dio ha deciso di permettere loro di scegliere il genere di papi che garbava
loro, ossia quelli che fanno solo finta di essere cattolici, ma che in realtà
sono dei liberali, che parlano a destra ma agiscono a sinistra, che spiccano
per la contraddizione, l’ambiguità, per la dialettica hegeliana, in parole
povere per la menzogna. Si tratta della neo chiesa del Vaticano II.
E
non poteva che essere così. Solo nei sogni si possono conciliare delle realtà
incompatibili tra loro. Ma Dio – parola di Sant’Agostino – non abbandona le
anime che non vogliono abbandonarlo, quindi viene in soccorso di quelle poche
anime che restano cattoliche e non vogliono seguire la molle apostasia del
Vaticano II. Suscita un vescovo che resisterà al tradimento del clero conciliare.
Rispettando la realtà, evitando di conciliare l’inconciliabile, rifiutando di
sognare, questo arcivescovo parla con tale chiarezza, coerenza e verità che il
gregge riconosce in lui la voce del Divino Maestro. La Fraternità sacerdotale
che egli fonda per formare dei veri sacerdoti cattolici si avvia a piccoli
passi, ma rifiutando in modo risoluto gli errori conciliari ed il loro
fondamento cattolico liberale, attira a sé ciò che resta dei cattolici
autentici dal mondo intero, fino a formare la spina dorsale di tutto un
movimento nella Chiesa che è detto Tradizionalismo.
Ora,
questo movimento è odioso per gli uomini della neo chiesa che vogliono
sostituire il cattolicesimo col cattolicesimo liberale. Con l’aiuto dei media e
dei governi, fanno di tutto per screditare, ingiuriare e sopprimere il
coraggioso arcivescovo. Nel 1976, Paolo VI lo “sospende a divinis”, nel 1988 Giovanni Paolo II lo “scomunica”. Questo
arcivescovo importuna terribilmente i papi conciliari perché la sua parola di
verità mina il loro reticolo di menzogne e mette a rischio il loro tradimento.
E sotto i colpi della loro persecuzione, persino della loro “scomunica”, tiene
duro e con lui il considerevole numero di sacerdoti della sua Fraternità.
Questa
fedeltà alla verità fa si che Dio conceda alla Fraternità dodici anni di pace
interiore e di prosperità esteriore. Nel 1991, il grande arcivescovo muore, ma
per nove anni ancora la sua opera si perpetua nella fedeltà ai principi
antiliberali sui quali l’ha costruita. Allora, cosa faranno i Romani conciliari
per fare fronte a questa resistenza? Sostituiranno il bastone con la carota.
Nell’anno
2000, un grande pellegrinaggio della Fraternità per l’Anno Giubilare mostra per
le strade e nelle Basiliche di Roma la pietà e la potenza della Fraternità. I
Romani ne sono impressionati, loro malgrado. Un cardinale invita i quattro
vescovi ad un sontuoso pranzo presso di lui, invito accettato da tre di loro.
Subito dopo questo pranzo molto amichevole, i contatti tra Roma e la
Fraternità, da dodici anni pressoché congelati, riprendono e con quelli l’opera
di seduzione dei bottoni rossi e dei pavimenti di marmo.
I
contatti riprendono tanto freneticamente che già alla fine dell’anno molti
sacerdoti e fedeli della Tradizione temono una conciliazione tra la Tradizione
cattolica ed il Concilio liberale. Questa non avviene, ma il linguaggio del
Quartier Generale della Fraternità a Menzingen comincia a cambiare e nei dodici
anni a seguire si mostrerà meno ostile verso Roma e più benevola verso le
autorità della chiesa conciliare, verso i media ed il loro mondo. E, man mano
che la conciliazione degli inconciliabili viene preparata dalla testa della
Fraternità, nel suo corpo di sacerdoti e di laici l’atteggiamento diventa pian
piano più indulgente verso i papi e la chiesa conciliari, verso tutto ciò che è
mondano e liberale. Dopo tutto, il mondo moderno che ci circonda è veramente
così gramo come ci hanno voluto far credere?
Questa
avanzata del liberalismo all’interno della Fraternità, percepita da una
minoranza di sacerdoti e di fedeli ma apparentemente invisibile agli occhi
della grande maggioranza, si è svelata a molti nella primavera di quest’anno
quando, in seguito al fallimento delle Discussioni Dottrinali della primavera
2011, la politica cattolica del “nessun accordo pratico senza accordo
dottrinale” è diventata da un giorno all’altro “nessun accordo dottrinale,
quindi accordo pratico”. E verso la metà di aprile il Superiore Generale offre
a Roma come base per un accordo pratico, un testo ambiguo, apertamente favorevole
a questa “ermeneutica della continuità” che è la beneamata ricetta di Benedetto
XVI per conciliare, precisamente, il Concilio e la Tradizione!. “Occorre un
pensiero nuovo” dirà il Superiore Generale nel mese di maggio ai sacerdoti del
distretto austriaco della Fraternità. Ovvero, il capo della Fraternità fondata
nel 1970 per resistere alle novità del Concilio, propone di conciliarla con il
Concilio. Oggi essa è conciliante. Domani dovrà diventare pienamente
conciliare!
Si
stenta a credere che l’opera fondata da Mons. Lefebvre sia stata condotta a
dimenticare, addirittura disprezzare i principi sui quali egli l’ha fondata, ma
questo è il potere della seduzione delle fantasie del nostro mondo senza Dio,
modernista e liberale. Non è una ragione, la realtà non si lascia indirizzare
dalla fantasia, ed è reale il fatto che non si possono demolire i principi di
un fondatore senza demolirne anche la fondazione. Un fondatore ha delle grazie
particolari che nessuno dei suoi successori ha.
Come tuonava Padre Pio quando i Superiori della sua Congregazione
provavano a “rinnovarla” secondo il nuovo pensiero del Concilio appena
terminato: “Che cosa fate del Fondatore?” Il Superiore Generale, il Consiglio
Generale ed il Capitolo Generale della FSSPX hanno un bel conservare Mons.
Lefebvre come mascotte, in realtà hanno un nuovo proposito, lontano dalle
gravissime motivazioni per cui egli ha fondato la Fraternità. La stanno
mandando in rovina almeno attraverso un tradimento oggettivo, assolutamente
analogo a quello del Vaticano II.
Ma
siamo giusti, e non esageriamo. Fin dall’inizio di questa lenta caduta della
Fraternità, ci sono sempre stati sacerdoti e fedeli che hanno capito e che
hanno fatto il possibile per resistere. Nella primavera di quest’anno questa
resistenza ha assunto consistenza e dimensioni tali da rappresentare un
ostacolo al Capitolo Generale del mese di Luglio, già sul cammino nefasto
dell’accordo. Ma riuscirà a tenere questo ostacolo? Temo di no. Davanti ad una
quarantina di sacerdoti della Fraternità riuniti in ritiro sacerdotale ad Econe
nel mese di settembre, il Superiore Generale, riferendosi alla sua politica
romana, ha confessato: “Mi sono sbagliato”, ma di chi è la colpa? “I Romani mi
hanno ingannato.” Inoltre, si è generata “una grande diffidenza nella
Fraternità” che occorrerà “riparare attraverso fatti e non solo parole”, ma di
chi è la colpa? Fino ad ora, il suo operato, a partire dal mese di settembre,
ivi compresa questa lettera del 4 ottobre, mostrano che egli se la prende con i
sacerdoti e con i laici che non hanno saputo fidarsi di lui, il loro capo. Dopo
il Capitolo, come prima dello stesso, rimane l’impressione che egli non tolleri
nessuna opposizione alla sua politica conciliatrice e conciliare.
Ed
eccola la motivazione per cui il Superiore Generale ha dato più volte l’ordine
formale di chiudere i “Commenti eleison”. Infatti, questi “Commenti “ hanno
criticato a più riprese la politica conciliare verso Roma delle Autorità della
Fraternità, ed implicitamente le hanno attaccate. Ora, se in questa critica ed
in questi attacchi si trovano delle violazioni alla regola del rispetto dovuto
al lor signori ed al loro ufficio, ne chiedo volentieri perdono a chi di
diritto, ma credo sia sufficiente rileggere i numeri in questione dei
“Commenti” per constatare che la critica e gli attacchi sono rimasti di norma impersonali, poiché in
ballo c’è ben altro oltre a delle persone.
E,
in quanto al grande problema che va ben oltre alle persone, consideriamo la
gran confusione che regna attualmente nella Chiesa e nel mondo, e che mette in
pericolo la salvezza eterna di un’infinità di anime. Non è forse dovere di un
vescovo scovare le vere radici di questa confusione, e svelarle pubblicamente?
Quanti vescovi nel mondo intero vedono chiaro come vedeva Mons. Lefebvre, e
danno un insegnamento che corrisponde a quella chiarezza? Quanti tra loro
ancora insegnano semplicemente la dottrina cattolica? Pochissimi, vero? E’
quindi il momento di cercare di fare tacere un vescovo che lo fa, cosa
testimoniata dalla quantità di anime che si aggrappano ai “Commenti” come ad
una ancora di salvezza? E come in particolare un altro vescovo può volerlo
zittire, lui che ha dovuto ammettere davanti ai suoi sacerdoti che sulle stesse
grandi questioni si è lasciato ingannare, e questo per molti anni?
In
più, se il vescovo refrattario si è effettivamente dato – per la prima volta in
4 anni – un apostolato indipendente, come lo si può rimproverare di avere
accettato un invito, indipendente dalla Fraternità, a cresimare e a predicare
una parola di verità? Non consiste proprio in questo la funzione stessa di un
vescovo? La sua parola in Brasile sarà stata di “confusione” solo per quelli
che seguono l’errore confessato ed evocato poco innanzi.
E
se da qualche anno egli sembra separarsi dalla Fraternità, è vero, ma egli si
separa dalla Fraternità conciliare e non da quella fondata da Mons. Lefebvre. E
se sembra mostrarsi insubordinato ad ogni esercizio di autorità da parte dei
capi della Fraternità, è nuovamente vero, ma solamente rispetto a quegli ordini
che vanno contro agli obiettivi per i quali essa è stata fondata. Di fatto, per
quale altro ordine, se non quello di chiudere i “Commenti Eleison”, è possibile
affermare che egli si sia reso colpevole di disobbedienza “formale, ostinata e
pertinace”? Ne esiste un’ altro solamente? La disubbidienza di Mons. Lefebvre,
rivolta unicamente ad azioni di autorità dei capi della Chiesa che avevano lo
scopo di distruggere la Chiesa, è stata più apparente che reale. Analogamente,
la “disubbidienza” di colui che non ha voluto chiudere i “Commenti” è più
apparente che reale.
La storia infatti si ripete ed il diavolo ritorna alla carica. Esattamente come ieri il Concilio ha voluto conciliare la Chiesa cattolica ed il mondo moderno, così oggi possiamo dire che Benedetto XVI ed il Superiore Generale vogliono, entrambi, conciliare la Tradizione cattolica ed il Concilio; così domani, se Dio non interviene nel frattempo, alcuni capi della Resistenza cattolica cercheranno di riconciliarla con la Tradizione ormai conciliare.
Brevemente,
caro Signore Superiore Generale, voi ora potete procedere alla mia esclusione,
poiché i miei argomenti certamente non vi avranno persuaso, ma questa
esclusione sarà più apparente che reale. Io sono membro della Fraternità di
Mons. Lefebvre per la mia nomina a vita. Io sono uno dei suoi sacerdoti da 36
anni. Io sono uno dei suoi vescovi, come voi, da quasi un quarto di secolo. Questo
non si cancella con un tratto di penna, per cui membro della Fraternità io lo
resto.
Se
voi foste rimasto fedele alla sua eredità e se fossi stato io infedele,
volentieri riconoscerei il diritto ad escludermi. Ma stando così le cose, io
spero di non mancare di rispetto alla vostra carica se suggerisco che per la
gloria di Dio, per la salvezza delle anime, per la pace all’interno della
Fraternità e per la vostra stessa salvezza eterna, che voi fareste meglio a
dimettervi da Superiore Generale piuttosto che espellermi. Che il Buon Dio vi
dia la grazia, la luce e le forze necessarie per compiere un tale atto
distintivo di umiltà e di devozione al bene comune di tutti.
Quindi,
come ho spesso concluso le lettere che vi ho spedito nel corso degli anni,
Dominus
tecum.
+
Richard Williamson
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