lunedì 9 aprile 2012

IDEE CHIARE sul MAGISTERO INFALLIBILE del PAPA



IDEE CHIARE sul MAGISTERO INFALLIBILE del PAPA

 tratto da Sì Sì No No

 In riferimento al nostro articolo Chiesa e uomini di Chiesa (29.2.2000 pp. 5 ss.) un lettore ci scrive: «Permettetemi di sviluppare una riflessione circa quello che voi chiamate “Magistero autentico” e che altro non è se non il Magistero Ordinario. Se un Papa quando è eletto [...] riceve, come voi dite, un carisma d’infallibilità per il suo Magistero straordinario, egli riceve anche, come voi vi e-sprimete, una “grazia di stato” per governare ed anche per il suo Magistero ordinario. Se questa grazia non è sufficiente, ogni volta che egli deve trattare questioni di fede o di morale “urbi et orbi” o anche abitualmente nei suoi discorsi, c’è il rischio che egli trascini tutta la Chiesa nell’errore […]. Ora, gli errori veicolati dal Vaticano II, ripresi e aggravati dai tre papi conciliari fino alla cima del Sinai e al Muro del Pianto [...] provano evidentemente che la “grazia di stato” è mancata. Ora mai Dio, Gesù Cristo, ha permesso che in queste materie, anche nel Magistero ordinario, i Papi si ingannassero. Che concluderne? Ammetterete voi che questi Papi, sempre Papi, siano sfuggiti in qualche modo alla sorveglianza divina?».

 Un errore molto diffuso e pernicioso
Rispondiamo molto volentieri, perché, nell’attuale crisi della Chiesa, ciò che maggiormente turba o confonde i cattolici è appunto il “problema del Papa” ed è necessario avere idee ben chiare sull’argomento per procedere con coscienza ben informata e serena evitando due scogli che, a destra e a sinistra, minacciano di farci naufragare o nello spirito di ribellione o nell’obbedienza indebita e servile.
Cominciamo anzitutto col rettificare la premessa, che vizia tutto il ragionamento del nostro lettore.
«Quello che voi chiamate “Magistero” autentico -egli scrive- altro non è che il Magistero ordinario». Questo è un grave errore, causa di molte rovine ai giorni nostri.
Il Magistero “autentico” non si identifica, così semplicemente, con il Magistero ordinario. Il Magistero Ordinario, infatti, può essere infallibile e non infallibile, ed è in questo secondo caso che viene chiamato “Magistero autentico”. Così, ad esempio, il Dictionnaire de Théologie catholique alla voce infaillibilité du Pape (vol. VII col. 1699 ss.) parla distintamente:
1) della «definizione pontificia infallibile o ex cathedra nel senso definito dal Vaticano I» (col. 1699);
2) dell’«insegnamento pontificio infallibile che scaturisce dal Magistero ordinario del Papa» (col. 1705);
3) dell’«insegnamento pontificio non infallibile» (col. 1709).
Parimenti, il Salvaverri nella Sacrae Theologiae Summa (vol. I, 5ª ed., B.A.C., Madrid) distingue:
1) Magistero pontificio infallibile straordinario (nn. 592 ss.);
2) Magistero pontificio infallibile ordinario (nn. 645 ss.);
3) Magistero pontificio “mere authenticum” e cioè “solamente autentico” o “autorevole” in relazione all’autorità della Persona, come vedremo, ma non alla sua infallibilità (n. 659 ss.).
Il Papa, infatti, pur avendo sempre la piena e suprema autorità dottrinale, non sempre la impegna al suo grado più alto che è quello dell’infallibilità: egli è come un gigante - dicono i teologi - che non sempre adopera tutta la sua forza. Ne consegue:

1) che «non si deve dire che il Papa è infallibile per il solo fatto che ha l’autorità papale», come si legge negli Atti del Vaticano I (Coll. Lac. 399-b: «Neque etiam dicendus est Pontifex infallibilis simpliciter ex auctoritate papatus»): questo sarebbe identificare l’autorità del Papa con la sua infallibilità;

2) che è necessario sapere «quale assenso è dovuto ai decreti del Sommo Pontefice, quando egli insegna con un grado che non attinge l’infallibilità ovvero non con il grado supremo della sua dottrinale autorità» (Salaverri op. cit. n. 659).


Errore per eccesso ed errore per difetto

 Errore per eccesso ed errore per difetto
Purtroppo questa triplice distinzione tra Magistero straordinario, Magistero ordinario infallibile e Magistero autentico non infallibile sembra oggi caduta in oblio (come dimostra anche la lettera del nostro lettore), generando nell’attuale crisi della Chiesa due opposti errori: l’errore per eccesso di coloro che estendono l’infallibilità pontificia a tutti gli atti del Papa senza distinzione, e l’errore per difetto di coloro che la restringono alle sole definizioni “ex cathedra”.
Il primo errore elimina di fatto il Magistero ordinario non infallibile o “autentico” e sfocia inevitabilmente o nel sedevacantismo (“il Papa è sempre infallibile, ma gli errori di questo Papa sono innegabili e dunque egli non è Papa”) o nell’ubbidienza servile e “indiscreta” ovvero senza discernimento, che chiude gli occhi anche quando il “senso cattolico” suggerisce di tenerli bene aperti (“il Papa è sempre infallibile e dunque bisogna obbedirgli sempre ciecamente”).
Il secondo errore elimina di fatto (e talvolta anche in teoria) il Magistero ordinario infallibile ed è l’errore proprio dei neomodernisti, che così svalutano il Magistero ordinario pontificio e la troppo scomoda “tradizione romana” («il Papa è infallibile solo nel suo Magistero straordinario, e dunque è lecito far “tabula rasa” di duemila anni di Magistero ordinario pontificio»). Entrambi gli errori concorrono così ad offuscare la nozione esatta di Magistero ordinario, che comprende sia il Magistero ordinario infallibile sia il Magistero ordinario semplicemente “autentico”, non infallibile.


Offuscamento e contestazione
Questi due opposti errori, benché oggi svelino in modo drammatico la loro dannosità, non datano, però, da oggi. Furono, infatti, denunziati ancor prima del Concilio Vaticano II.
Già il P. Labourdette O.P. (Revue Thomiste LIV, 1954 p. 196) deplorò che «da ciò che hanno appreso sull’infallibilità personale del Sommo Pontefice nell’esercizio solenne e straordinario del suo potere dottrinale molti hanno ritenuto delle idee semplicistiche… per alcuni ogni parola del Sommo Pontefice prende in qualche modo il valore d’un insegnamento infallibile, che richiede l’assenso assoluto della fede teologale; per altri gli atti che non si presentano con le condizioni manifeste d’una definizione “ex cathedra” sembrano non avere altra autorità che quella di un dottore privato». Sono appunto i due opposti errori sopra segnalati.
Anche dom Paul Nau rilevò la «confusione» intervenuta tra l’autorità del Papa e la sua infallibilità: «mentre l’infallibilità personale del Papa nelle definizioni solenni, così a lungo discussa, è stata definitivamente messa al sicuro da ogni controversia, l’autorità del Magistero ordinario della Chiesa romana sembra perduto di vista. Tutto accade - e il fatto non è inaudito nella storia delle dottrine - come se la luce stessa della definizione del Concilio Vaticano [I] avesse messo in ombra la verità fino a quel momento universalmente riconosciuta; anzi come se la definizione dell’infallibilità dei giudizi [o definizioni] solenni avesse fatto ormai di questi il modo unico, per il sommo Pontefice, di presentare la regola della Fede» [Le Magistère pontifical ordinaire, lieu théologique p. 12 s.; per l’offuscamento temporaneo di una dottrina nella coscienza cattolica si veda il Dictionnaire de Théologie catholique voce dogme tomo IV e Franzelin De Divina Traditone tesi XXIII).
Dom Nau segnalò anche le rovinose conseguenze di questa identificazione dell’ autorità del Papa con la sua infallibilità: «non resterà nessun posto per un insegnamento autentico, le cui diverse espressioni non sono, però, tutte garantite allo stesso modo. In una tale prospettiva è la stessa nozione di Magistero ordinario che diviene propriamente impensabile» (ivi p. 5). Dom Nau credette di poter individuare la causa del fenomeno nel fatto che «dopo il 1870 [anno del Vaticano I] i manuali di teologia, per enunciare le loro tesi, si sono serviti dei testi di questo Concilio. Poiché nessuno di questi testi tratta direttamente del Magistero ordinario del solo Papa, questo Magistero è stato a poco a poco perduto di vista e tutto l’insegnamento pontificio è sembrato ridursi alle sole definizioni “ex cathedra”. Inoltre, essendo l’attenzione interamente attirata su queste definizioni, ci si è abituati a considerare gli interventi dottrinali della Santa Sede solo nella prospettiva della definizione solenne: la prospettiva di una definizione che sola apporterebbe alla dottrina tutte le garanzie richieste».
Questa causa in parte è vera, ma non bisogna dimenticare che verso questa prospettiva riduttiva spingeva già da tempo la teologia “liberale” (da cui è germinato il modernismo) così che Pio IX, prima del Vaticano I (1870), dovette ammonire i teologi tedeschi che la sottomissione di fede divina «non si deve restringere ai soli punti definiti» (Lettera all’ Arcivescovo di Monaco 21-12-1863).
Le idee “semplicistiche” ritenute da «molti» sull’infallibilità papale dopo il Vaticano I fecero, senza volerlo, il gioco della teologia “liberale”. I due errori, infatti, benché opposti, hanno in comune di identificare autorità papale ed infallibilità, con la differenza che l’errore per eccesso, considerando infallibile tutto ciò che promana dall’autorità papale, dilata l’infallibilità del Papa a misura della sua autorità, mentre l’errore per difetto, considerando autorevole solo ciò che promana dall’infallibilità “ex c thedra”, restringe l’autorità del Papa a misura dell’infallibilità del suo solo Magistero straordinario. Entrambi, poi, gli errori concorrono allo stesso effetto: quello di offuscare, come ha ben visto dom Nau, la nozione stessa di Magistero ordinario e, di conseguenza, la natura particolare del Magistero ordinario infallibile; nozione e natura che ci converrà, perciò, riscoprire, perché di massima importanza per orientarsi in tempi di crisi come gli attuali.


Due segnali dell’ offuscamento: l’ «Humanae Vitae» e l’«Ordinatio Sacerdotalis»
L’offuscamento delle idee sul Magistero ordinario pontificio è apparsa in tutta la sua gravità in occasione dell’Humanae Vitae di Paolo VI e, più di recente, in occasione dell’Ordinatio Sacerdotalis, con la quale Giovanni Paolo II ha ribadito il tradizionale “no” della Chiesa all’ordinazione di donne.
In occasione dell’Humanae Vitae l’offuscamento della nozione di Magistero ordinario pontificio fu segnalato da diversi teologi: Felici, Ruffini, Lio, Siri ecc. I sostenitori dell’infallibilità dell’ Humanae Vitae generalmente ne deducevano «la prova dal Magistero autentico costante e universale della Chiesa, mai tralasciato e quindi nei secoli anteriori già definitivo» o, in altri termini, dal Magistero ordinario infallibile (E. Lio Humanae Vitae e infallibilità, Libreria ed. Vaticana p. 38; neretto nostro). Dovettero accorgersi, però, che la nozione stessa di Magistero ordinario infallibile e la sua peculiarità (costanza ed universalità) erano come cancellate dalla mente dei più, non solo dei semplici fedeli, ma anche dei teologi. Perciò il card. Siri in Renovatio ott. - dic. 1968 scrisse: «Nel presentare come ipotesi possibili, per il caso in oggetto [l’enciclica Humanae Vitae], solo quella della definizione ex cathedra (che è scartata) ossia del Magistero solenne e quella del Magistero autentico (che non implica di per sé la infallibilità), c’è un grave sofisma di elencazione, anzi un grave errore, perché si tace un’altra ipotesi possibile: quella del Magistero ordinario infallibile. È strano come da taluni si cerchi ad ogni costo di evitare il parlarne. [...]. È necessario aver presente che non c’è solo Magistero solenne e Magistero semplicemente autentico; tra le due espressioni sta il Magistero ordinario, dotato del carisma della infallibilità» (i neretti sono nostri).
Lo stesso “sofisma di elencazione” è stato segnalato 30 anni dopo da Mons. Bertone contro la contestazione dell’«Ordinatio Sacerdotalis». In tale occasione egli ha denunciato esplicitamente la tendenza «a sostituire di fatto il concetto di  autorit con quello d’infallibilità» (L’Osservatore Romano 20 dicembre 1996).
Di fatto non è il solo Magistero ordinario infallibile che è caduto in oblìo, ma, con l’identificazione di autorità e infallibilità, è caduta in oblìo la distinzione tra Magistero ordinario infallibile e Magistero ordinario autentico. Dopo il Vaticano I - scriveva dom Nau - un cattolico «non può più esitare sull’autorità da riconoscere ai giudizi dogmatici del Sommo Pontefice: la loro infallibilità è stata solennemente definita nella Costituzione “Pastor Aeternus”. Ma le definizioni sono relativamente rare; i documenti pontificali di fronte ai quali il cristiano d’oggi per lo più si trova sono le encicliche, le allocuzioni, i radiomessaggi che normalmente rientrano nel Magistero o insegnamento ordinario. A riguardo di questo Magistero disgraziatamente le confusioni sono ancora possibili e si verificano -ahimè! - troppo spesso» (op. cit p. 4). Noi ci fermeremo, perciò, non sul Magistero straordinario (la cui infallibilità è generalmente riconosciuta), ma sul Magistero ordinario e, illustrando a quali condizioni esso è infallibile, sarà chiaro che, fuori di queste condizioni, siamo in presenza di Magistero “autentico” da tenere, in tempi normali, nella dovuta considerazione, ma che, in tempi anormali, sarebbe un fatale errore equiparare al Magistero infallibile (sia straordinario che ordinario).


Il punto della questione
«L’infallibile garanzia dell’assistenza divina non è limitata ai soli atti del Magistero solenne; essa si estende anche al Magistero ordinario, senza tuttavia ricoprirne ed assicurarne allo stesso modo tutti gli atti» (P. Labourdette O.P. Revue Thomiste 1950 p.38; neretto della nostra redazione) e quindi l’assenso dovuto al Magistero ordinario “può andare dal semplice rispetto a un vero atto di fede” (mons. Guerry La Doctrìne Sociale de l’Eglise, Paris, Bonne Presse 1957 p.172). È, perciò, della massima importanza sapere quando il Magistero ordinario del Romano Pontefice è dotato del carisma dell’infallibilità.
Poiché il Papa (da solo) possiede la stessa infallibilità conferita da Nostro Signore Gesù Cristo alla sua Chiesa (Papa+Vescovi in comunione con lui) (cfr. D.B. 1839), bisogna concluderne che il Papa da solo, nel suo Magistero ordinario, è infallibile nella stessa misura e alle stesse condizioni in cui lo è il Magistero ordinario della Chiesa e quindi “si richiede che la verità insegnata sia proposta come già definita o come sempre creduta o ammessa nella Chiesa, o come attestata dal consenso unanime e costante dei teologi per verità cattolica» e perciò come “strettamente obbligatoria per tutti i fedeli” (Dict. Théologie Cath. voce Infallibilitè du Pape t. VII col. 1705; neretti nostri).
Questa condizione è stata richiamata dal card. Felici, a proposito dell’Humanae Vitae, dalle pagine de L’Osservatore Romano:
«Su questo problema è necessario tener presente che una verità può essere sicura e certa, e quindi obbligare, anche senza il carisma della definizione ex cathedra, come in realtà avviene nella Enciclica “Humanae vitae” nella quale il Papa, Supremo Maestro della Chiesa, enunzia una verità che è stata costantemente insegnata dal Magistero della Chiesa ed è rispondente ai dettami della Rivelazione» (L’Osservatore Romano 19 ottobre 1968 p. 3; i neretti sono nostri). Infatti nessuno può rifiutare di credere ciò che è certamente rivelato da Dio, ed è certamente rivelato da Dio non solo ciò che è stato definito, ma anche ciò che è stato sempre ed ovunque insegnato come rivelato da Dio dal Magistero ordinario della Chiesa. Più di recente, il card. Bertone ha ricordato che «il Magistero ordinario pontificio può insegnare come definitiva [in corsivo nel testo] una dottrina in quanto essa è costantemente conservata e tenuta dalla Tradizione» e tale è il caso della Ordinario Sacerdotalis che ribadisce l’invalidità dell’ordinazione sacerdotale di donne sempre ritenuta con «unanimità e stabilità» dalla Chiesa [L’Osservatore Romano 20 dicembre 1996 già citato; neretti nostri).
Il card. Siri, sempre a proposito dell’Humanae Vitae, nel citato numero di Renovatio puntualizzò: «La questione pertanto va posta obbiettivamente così: concesso che il documento [l’Humanae Vitae] non sia atto del Magistero infallibile e pertanto da solo non dia la garanzia della irreformabilità e della certezza, la sua sostanza non è forse garantita da un Magistero ordinario in quelle note condizioni per cui lo stesso Magistero ordinario è infallibile?» (neretti della nostra redazione). E dopo aver riassunto la tradizione continua della Chiesa sulla contraccezione, dalla Didachè degli Apostoli (I secolo) fino alla Casti Connubii di Pio XI, sulla cui scia procede l’Humanae Vitae, conclude: «1’insegnamento di tale enciclica ricapitolava l’insegnamento antico e comune. Pare di potere dire che le condizioni nelle quali si verifica il Magistero ordinario irreformabile [= infallibile] siano raggiunte. Il periodo della irrequietezza diffusa è fatto assai recente, che non inclina per nulla quanto era nel sereno possesso di tanti secoli» (neretti nostri).
È, dunque, un errore estendere incondizionatamente l’infallibilità a tutto il Magistero ordinario pontificio sia che il Papa parli «urbi et orbi» sia che tenga un discorso ai pellegrini. E’ vero, alla Chiesa non basta la sola infallibilità del Magistero straordinario, che è raro; «la fede ha bisogno della infallibilità e ne ha bisogno tutti i giorni», come scriveva anche il card. Siri (Renovatio cit.), ma il card. Siri, da buon teologo, non dimenticava, come dimentica il nostro lettore, che anche qui l’infallibilità del Papa è condizionata: il Magistero ordinario, per essere infallibile, dev’essere “tradizionale” (cfr. Salaverri loc. cit); se è in rottura con la Tradizione, il Magistero ordinario non può rivendicare per sé nessuna infallibilità. E qui salta fuori la natura tutta particolare del Magistero ordinario pontificio infallibile, sulla quale è necessario soffermarsi.


La particolare natura del Magistero ordinario infallibile
Il lettore avrà notato che il card. Siri dice che l’Humanae Vitae, qualora non fosse un atto del Magistero “ex cathedra”, darebbe la garanzia dell’infallibilità non “da solo”, ma in quanto ricapitola «l’insegnamento antico e comune» (Renovatio cit.). Infatti, a differenza del Magistero straordinario o giudizio solenne, il Magistero ordinario «non consiste in una proposizione isolata, che si pronunzia irrevocabilmente sulla fede, e, da sola, la garantisce, ma in un insieme di atti che possono concorrere a trasmettere un insegnamento. E’ il procedimento normale della Tradizione nel senso forte del termine» (dom P. Nau Le Magistère pontifical… cit. p. 10; neretti nostri). Ecco perché, giustamente, il Dictionnaire de Théologie catholique parla di «insegnamento pontificio infallibile che scaturisce dal Magistero ordinario del Papa» (loc. cit.). Perciò, mentre, «una semplice esposizione dottrinale [del Papa] non potrà mai pretendere l’infallibilità d’una definizione» questa infallibilità «invece, è rigorosamente implicata nel caso di convergenza sulla stessa dottrina di una serie di documenti, la cui continuità, di per sé, esclude ogni possibile dubbio sull’autentico contenuto dell’insegnamento romano» (dom. P. Nau Une source doctrinale: Les encycliques p. 75).
Non tener conto di questa differenza equivale ad annullare ogni distinzione tra Magistero straordinario e Magistero ordinario: «Nessun atto del Magistero ordinario potrebbe, senza cessare di esser tale, rivendicare per sé, isolatamente preso, la prerogativa propria del giudizio supremo. Un atto isolato è infallibile solo se il Giudice supremo vi impegna tutta la sua autorità fino ad interdirsi di ritornarvi sopra - non potrebbe, infatti, essere revocabile senza riconoscersi suscettibile di errore - ma un tale atto, inappellabile, è propriamente quello che costituisce il giudizio solenne [o straordinario] e si oppone come tale al Magistero ordinario» (ivi nota 1).
Di conseguenza «l’infallibilità del Magistero ordinario, sia della Chiesa universale che della Sede romana, non è l’infallibilità di un giudizio o di un atto da considerare isolatamente, come se da esso, isolatamente preso, ci si potesse attendere tutta la luce». Al contrario l’infallibilità del Magistero ordinario «è l’infallibilità della garanzia assicurata ad una dottrina dalla convergenza, simultanea o continua, d’una pluralità di affermazioni o esposizioni, di cui nessuna, presa da sola, può apportare una certezza definitiva. Questa certezza definitiva può venire solo dal loro insieme» (dom P. Nau op. cit p. 17; neretti nostri). E dom Nau precisa: «Nel caso del Magistero [ordinario] universale [= dei vescovi uniti al Papa] questo insieme è quello dall’insegnamento concorde dei Vescovi in comunione con Roma; nel caso del Magistero [ordinario] pontificio [cioè del Papa da solo] è la continuità dell’insegnamento dei succcessori di Pietro o, in altri termini, è la “tradizione della Chiesa di Roma”, cui si appellava mons. Gasser [nel Vaticano I] (Collana Lacensis e. 404)» (il neretto è della nostra redazione).
Anche A. G. Martimort (Le Gallicanisme de Bossuet, Parigi 1953 p. 558) scrive: «L’errore di Bossuet consiste nel rigettare l’infallibilità del Magistero straordinario del Papa; ma egli ha reso il gran servigio d’affermare nettamente l’infallibilità del Magistero ordinario [del Papa] e la sua particolare natura, che lascia ad ogni atto particolare il rischio dell’errore... Insomma, secondo il Vescovo di Meaux, accade per la serie dei pontefici romani presi nel tempo, ciò che accade per il collegio episcopale disperso nel mondo».
Si sa, infatti, che i singoli Vescovi non sono infallibili, ma l’insieme, nel tempo e nello spazio, dei Vescovi, nella loro unanimità morale, gode dell’infallibilità. Ne consegue che, volendo cercare l’insegnamento infallibile della Chiesa, non ci si deve fermare all’insegnamento di un singolo Vescovo, ma si deve guardare alla «dottrina comune e continua» dell’episcopato unito al Papa, che «non può deviare dall’insegnamento di Gesù Cristo» (E. Piacentini OFM Conv., docente e postulatore, Infallibile anche nelle cause di canonizzazione? ENMI, Roma 1994 p. 37). Lo stesso accade per il Magistero ordinario infallibile del solo Romano Pontefice: questo Magistero ordinario porta con sé la nota dell’infallibilità non per il fatto che quel singolo atto è posto dal Papa, ma perché, quel singolo insegnamento, quel singolo atto del Papa «s’inserisce in un insieme e in una continuità» (Nau Encycliques... cit.), che è quella della «serie dei pontefici romani presi nel tempo» (Martimort cit.).
Si comprende allora perché, nel loro Magistero ordinario, i Romani Pontefici hanno sempre avuto cura di riallacciarsi, spesso con lunghe citazioni letterali, ai loro “venerabili predecessori”: «Questa continuità li assicura che quella dottrina è l’insegnamento stesso della Chiesa, rigorosamente normativo per ogni intelligenza cristiana» (dom P.Nau Le Magistère... cit. p. 26). “La Chiesa parla per bocca nostra” dice Pio XI nella Casti Connubii. E Pio XII nell’Humani Generis sottolinea che «per lo più quanto viene proposto e inculcato nelle Encicliche, è già, per altre ragioni, patrimonio della dottrina cattolica».
La natura tutta particolare del Magistero ordinario infallibile del Papa era ben chiara fino al Vaticano I. Tanto è vero che, mentre si svolgeva questo Concilio, La Civiltà Cattolica, che scriveva (e scrive) sotto il diretto controllo della Santa Sede, al P. Gratry, che criticava la Bolla Cum ex a-postolatus di Paolo IV, opponeva: «Or noi domanderemo con tutta pace al P. Gratry, se egli crede che la Bolla di Paolo IV sia un atto, per dir così isolato [in corsivo nel testo] ovvero che si ragguagli con altri dello stesso genere nella serie dei romani Pontefici. Se risponde che è un atto isolato [in corsivo nel testo], il suo argomento non prova nulla, poiché egli stesso afferma che la Bolla di Paolo IV non contiene nessuna definizione dommatica. Se poi ci risponde, com’è necessario che risponda, che questa Bolla è nella sostanza conforme a moltissimi altri simili Atti della Santa Sede, allora il suo argomento dice assai più che non vorrebbe. Dice cioè, che i romani Pontefici, per una lunga serie, hanno esercitati pubblici e solenni Atti d’immoralità e d’ingiustizia contro i dettami dell’umana ragione; di empietà contro Dio; di apostasia contro il Vangelo» (vol. X serie VII, 1870, p. 54; neretti nostri). Il che viene a dire che l’infallibilità di un “atto isolato” del Papa è propria soltanto della “definizione dogmatica”; fuori delle definizioni dogmatiche, e cioè nel Magistero ordinario, l’infallibilità è garantita dall’insieme di «moltissimi altri simili atti della Santa Sede» ovvero di «una lunga serie» di successori di Pietro.


Applicazione pratica
A questo punto appare chiaro che non solo l’ultimo Concilio, dichiarato non dommatico, là dove non ripropone un insegnamento già tradizionale, non può rivendicare per sé il crisma dell’ infallibilità, ma neppure quello che si presenta come Magistero ordinario pontificio degli ultimi Papi può rivendicare per sé - esclusi pochi atti - la qualifica di “Magistero ordinario infallibile”. Basta considerare che i documenti pontifici sulle “novità” che hanno turbato e confuso la coscienza dei credenti (ecumenismo, dialogo interreligioso ecc.) non mostrano nessuna cura di riallacciarsi all’insegnamento dei “venerabili predecessori” o, più esattamente, sono nell’ impossibilità di riallacciarvisi proprio a motivo della “rottura” con essi. Provi il lettore a scorrere le “Note” della Dominus Jesus e avrà la conferma di quanto affermiamo: per gli estensori del documento, il Magistero dei Papi precedenti (ad eccezione di una frase decurtata della Mystici Corporis) è come se non esistesse (v. sì sì no no 15 dicembre 2000 pp. 1ss).
Appare altresì chiaro che quando i “Papi di oggi” contraddicono i “Papi di ieri” nel loro Magistero tradizionale si deve ubbidienza ai “Papi di ieri” e non ai “Papi di oggi” e che questo è il segno manifesto di un’epoca di grave crisi ecclesiale, di tempi anormali nella vita della Chiesa.
Appare, infine, chiaro che la “nuova teologia”, la quale contraddice senza scrupoli l’insegnamento tradizionale dei Romani Pontefici, contraddice il Magistero pontificio infallibile e dunque, in coscienza, un cattolico deve rigettarla e positivamente impugnarla.


Eclissi pressoché totale del Magistero “autentico”
La crisi attuale della Chiesa, dunque, non si colloca, né sarebbe ciò possibile, a livello di Magistero infallibile straordinario o ordinario. Non si colloca a livello di Magistero infallibile straordinario, perché il Concilio non ha voluto essere dogmatico e lo stesso Paolo VI ne ha dato la nota teologica: “Magistero ordinario, così palesemente autentico” (udienza generale del 12.1.1966; v. Encicliche e discorsi di Paolo VI, ed. Paoline 1966 pp. 51-52).
Non si colloca a livello di Magistero ordinario infallibile perché il turbamento e la divisione nel mondo cattolico sono stati provocati dalla rottura di quella continuità dottrinale che è il contrassegno appunto del Magistero ordinario infallibile (infatti nessun turbamento, ma bensì consenso, ha suscitato nei figli obbedienti della Chiesa l’Humanae Vitae di Paolo VI o l’intervento di Giovanni Paolo II contro il sacerdozio femminile nell’ Ordinatio Sacerdotalis: v. sì sì no no 28 febbraio ‘95 p. 7 ecc). La crisi attuale si colloca a livello di quello che si presenta come Magistero ordinario semplicemente “autentico”, che, come ricorda il card. Siri, «non implica di per sé la infallibilità» (Renovatio cit.). Ma si tratta, poi, realmente di Magistero “autentico”?
Romano Amerio, nel suo intervento per il 2° convegno teologico di sì sì no no, scrisse che oggi «non ogni parola del Papa è più Magistero, ma ormai spessissimo è solo espressione delle vedute, dei pensamenti delle considerazioni diffuse presentemente, ... di dottrine che si sono diffuse e che sono divenute dominanti in gran parte del mondo cattolico» (v. sì sì no no 30 aprile 1996 p. 2).
In effetti il Magistero, anche se non infallibile, dovrebbe essere pur sempre “Magistero”, cioè insegnamento della Parola divina, anche se con un grado inferiore di certezza. Invece, oggi spessissimo «il Papa non manifesta la parola divina che gli è affidata e che ha l’obbligo di manifestare», ma «esprime le sue vedute personali» (che poi sono quelle della “nuova teologia”). Quindi noi ci troviamo davanti ad una «manifestazione della decadenza del Magistero ordinario [autentico] della Chiesa»; decadenza che «apre una gravissima crisi della Chiesa, perché è il punto centrale della Chiesa a soffrirne» (ivi).
C’è, perciò, da domandarsi se si possa parlare propriamente di Magistero pontificio “autentico” o se non si debba piuttosto parlare di un’eclissi pressoché totale del Magistero pontificio autentico, cui fa riscontro un’analoga crisi a livello di Magistero episcopale.


Dove nasce il rischio di essere trascinati nell’errore
Questa crisi del Magistero pontificio autentico ha trovato i cattolici tanto più impreparati quanto più era offuscata nelle loro menti la distinzione tra Magistero ordinario infallibile e Magistero ordinario semplicemente “autentico” del Romano Pontefice. È questo offuscamento, segnalato, come abbiamo visto, da alcuni teologi già prima del Vaticano II, che ha trascinato e rischia tuttora di trascinare nell’errore quei cattolici, che credono erroneamente di dover prestare il medesimo assenso ad ogni parola del Papa, trascurando quelle distinzioni e precisazioni che pure sono nell’ insegnamento della Chiesa e che qui richiamiamo brevemente.
«L’ordine di credere fermamente senza esaminare l’oggetto [...] può obbligare veramente solo se l’autorità è infallibile» (Billot De Ecclesia tesi XVII) e perciò al Magistero infallibile, sia straordinario che ordinario, si deve un assenso fermo e incondizionato.
«Per le decisioni dottrinali non infallibili del Papa o delle Congregazioni romane, c’è anche un dovere stretto di ubbidienza che obbliga ad un assenso interno prudente e che esclude abitualmente ogni dubbio fondato», ma questo assenso è «legittimato [non dall’infallibilità, bensì] dall’alta prudenza con la quale l’ autorità ecclesiastica agisce abitualmente in queste circostanze» (Dict de Th. Cath. voce Eglise t. IV col. 2209). Perciò al Magistero “autentico” si deve non un assenso cieco e incondizionato ma un assenso prudente e condizionato: «Poiché non tutto ciò che insegna il Magistero ordinario è infallibile, è necessario domandarci quale adesione dobbiamo alle sue diverse decisioni. L’assenso di fede si esige da parte del cristiano per tutte le verità dottrinali e morali definite dal Magistero della Chiesa. Non così per l’insegnamento impartito dal sommo Pontefice ma non imposto a tutta la collettività cristiana come dogma di fede. In tal caso è sufficiente l’adesione interna e religiosa che accordiamo all’autorità ecclesiastica legittima. Non è un assenso assoluto, poiché questi decreti non sono infallibili, ma solo un assenso prudenziale e condizionato, visto che nelle questioni di fede e di morale, la presunzione sta in favore del superiore. [...] La possibilità di sottomettere la dottrina a un altro esame, se questo sembra richiesto dalla gravità della questione, non è eliminata da questa adesione prudenziale» (Nicolas Jung Le Magistère de l’Eglise 1935 pp. 153-154; neretti sono nostri).
Purtroppo tutte queste verità sono scomparse dalla coscienza cattolica insieme con la nozione di Magistero “autentico”. E tanto più il mondo cattolico corre il rischio di essere trascinato nell’errore quanto più nutre l’ingenua ed erronea convinzione che «mai» Dio ha permesso che anche nel Magistero ordinario (senza distinzione di sorta) i Papi s’ingannassero e che quindi al Magistero papale si debba sempre lo stesso assenso, cosa che non corrisponde affatto alla dottrina della Chiesa.


Infallibilità e grazia di stato
È nell’ambito del Magistero autentico che si colloca il nostro discorso sulla grazia di stato del Romano Pontefice.
Il Papa, quando impegna la sua infallibilità, gode, oltre che della grazia di stato, anche di una specialissima assistenza divina. Neppure l’infallibilità, però, lo riduce ad un automa. Infatti «l’assistenza divina... non esime il soggetto del Magistero infallibile dal dovere di ricercare la verità con mezzi naturali, particolarmente mediante lo studio delle fonti della rivelazione (cfr. D. 1836)» (L. Ott Compendio di teologia dommatica, ed Marietti 1956 p. 474). Perciò nel suo Magistero infallibile il Papa gode 1) di un’assistenza positiva dello Spirito Santo per giungere alla verità; 2) di un’assistenza negativa che lo preserva da una decisione errata. Infine, qualora un Papa, per negligenza o cattiva volontà, mancasse al suo dovere di ricercare la verità con i mezzi dovuti, l’infallibilità ci garantisce che Dio, con un’assistenza puramente negativa, impedirebbe la proclamazione “ex cathedra” di un errore.
Questa garanzia manca nel caso del Magistero autentico, che non gode del carisma dell’infallibilità, e perciò tutto è affidato alla sola grazia di stato, che muove il Papa ad agire con quell’«alta prudenza» che normalmente vediamo rifulgere anche nel Magistero autentico dei Successori di Pietro. Ma se un Papa venisse meno a questa “alta prudenza”, nessuna promessa divina sta a garantirci che Dio interverrebbe per fermarlo. Allora, sì, il mondo cattolico potrebbe correre il rischio di essere trascinato nell’errore, ma non perché al Papa sia venuta meno l’infallibilità (alle debite condizioni, egli ne godrebbe come i suoi predecessori), né perché gli sia mancata la grazia di stato, bensì perché egli è mancato alla grazia. E il rischio è tanto più grande quanto più sono caduti in oblìo i princìpi che stiamo qui richiamando.
Quando il mondo cattolico aveva ben chiari questi princìpi, il pericolo di essere trascinati nell’errore era di gran lunga inferiore. Ed infatti noi vediamo nella storia della Chiesa che la resistenza motivata di cardinali, di Università cattoliche, di principi cattolici, di religiosi, di semplici fedeli fecero rientrare i passi falsi di alcuni Papi, come Giovanni XXII e Sisto V, per il quale ultimo San Roberto Bellarmino scrisse a Clemente VIII: «Vostra Santità sa a quale pericolo Sisto V espose se stesso e tutta la Chiesa allorché intraprese la correzione della Sacra Scrittura secondo i lumi della sua scienza personale e veramente io non so se la Chiesa abbia mai corso un più grave perìcolo» (F. Vigouroux Dictionnaire de la Bible t. Ili col. 1407-1408 art. Jesuites: traveaux sur les Saintes Ecritures). E quel pericolo fu scongiurato dalla reazione del mondo cattolico. In realtà, non si rende un servizio né a se stessi né alla Chiesa né al Papa attribuendogli sempre l’infallibilità ed i tempi attuali lo stanno dimostrando: ciò non toglie che i passi falsi di un Papa sono per tutto il mondo cattolico una prova durissima.


Tempi normali e tempi anormali
In tempi normali, infatti, il fedele si appoggia al Magistero pontificio “autentico” con la stessa fiducia con la quale si appoggia al Magistero infallibile e, in tempi normali, questa fiducia è pienamente giustificata. Anzi, in tempi normali, sarebbe un errore gravissimo non tenere nel debito conto anche il Magistero semplicemente “autentico” del Romano Pontefice, perché «se fosse permesso ad ognuno, in presenza d’un atto dell’autorità magisteriale, di sospendere il proprio assenso o anche di dubitare o negare positivamente finché quest’atto non implichi una definizione infallibile, l’azione reale del Magistero ecclesiastico diventerebbe per ciò quasi illusoria, perché è relativamente raro ch’esso si traduca in definizioni siffatte» (Dictionnaire de Théologie Catholique tomo III col. 1110). Non si dovrebbe, però, mai dimenticare, come oggi si è dimenticato, che la sicurezza del Magistero autentico non è legata all’infallibilità, bensì all’ «alta prudenza» con cui “abitualmente” procedono i Successori di Pietro e alla cura che abitualmente essi hanno di non discostarsi dall’insegnamento, esplicito e tacito, dei loro predecessori.
Se questa prudenza e questa cura vengono meno, noi non siamo più in tempi normali e sarebbe un errore fatale equiparare, anche solo di fatto, il Magistero autentico del Romano Pontefice al suo Magistero infallibile (straordinario o ordinario che sia). Questi tempi anormali, grazie a Dio, sono rarissimi, ma non impossibili. In tal caso, per non essere trascinati nell’errore, urge ricordare che l’assenso dovuto al Magistero non infallibile è un «assenso inferiore, non di fede, ma prudenziale, il cui rifiuto, tranne un fatto nuovo o la certezza di una discordanza tra l’affermazione pontificia e la dottrina fino a quel momento insegnata, non potrebbe sfuggire alla nota di temerarietà» (dom Nau Le Magistère... cit. pp. 23-24). Dom Nau precisa che questo non vale per un insegnamento che sia “già tradizionale” (saremmo allora, infatti, nel campo del Magistero ordinario infallibile). Ma nel caso di un insegnamento che non sia “già tradizionale” vale la riserva che a noi qui interessa: «la certezza di una discordanza tra l’affermazione pontificia e la dottrina fino a quel momento insegnata», legittima il rifiuto e lo sottrae ad ogni «nota di temerarietà».
Questa «discordanza» è forse un’ipotesi impossibile? No, quando si tratta di Magistero “autentico”.
Dom Nau, il cui attaccamento al papato è fuori di ogni dubbio, scrive: «Questo caso non è da e-scludersi “a priori” perché non si tratta d’una definizione. Tuttavia, al dire dello stesso Bossuet, è “così straordinario da verifìcarsi solo due o tre volte in mille anni”» (Le Magistère... cit. p. 24 nota 53). In tal caso rifiutare il proprio assenso non solo non è temerario, ma è doveroso e la “discordanza” con “la dottrina fino a quel momento insegnata” scioglie il cattolico da ogni dovere di ubbidienza su quel punto: «E’ un principio generale che si deve obbedienza agli ordini d’un superiore a meno che, in un caso concreto, l’ordine non appaia manifestamente ingiusto; parimenti un cattolico è tenuto ad aderire interiormente agli insegnamenti dell’autorità legittima finché non è evidente per lui che una data affermazione è erronea» (D.T.C, t. Ili col. 1110; il neretto è nostro). Nel nostro caso l’evidenza dell’errore è data dalla discordanza di un atto di Magistero autentico con il Magistero infallibile straordinario o ordinario e quindi con la dottrina tradizionale, alla quale la coscienza cattolica è legata in eterno.


La fede non chiede le dimissioni della logica
A chiusura riportiamo il testo di un compianto teologo che aveva ben chiara la dottrina che abbiamo qui richiamata ed era consapevole di quanto essa fosse interessatamente offuscata dai “nuovi teologi” (ben più inescusabili dei semplici fedeli).
Polemizzando con Joseph Kleiner sulla palese contraddizione tra l’Auctorem Fidei di Pio VI, che condanna la concelebrazione, e l’Instructio di Paolo VI, che, al contrario, la incoraggia, il padre Joseph de Sainte Marie O.C.D. scrive: «“Si è forse mai visto un intervento del Magistero contraddire una Dichiarazione del Magistero?”. Nella sua [di Joseph Kleiner] mente la risposta alla sua domanda è evidentemente negativa; in nome dell’infallibilità del Magistero. Questa infallibilità certamente comporta che la Chiesa non può contraddire se stessa, ma ad una condizione dimenticata dal nostro autore, e cioè che essa impegni nel suo atto la pienezza della sua infallibilità. Oppure, trattandosi del Magistero ordinario, del quale bisogna stare molto attenti a non minimizzare l’autorità, a condizione ch’esso si conformi a ciò che insegna il Magistero infallibile, sia nei suoi atti solenni, sia nel suo insegnamento costante. Se queste condizioni non sono rispettate, non è affatto impossibile che un intervento del Magistero entri in contraddizione con un altro. La fede non deve turbarsene perché l’infallibilità non è in causa, ma il senso dei fedeli ha il diritto di esserne scandalizzato, perché tali fatti rivelano un profondo disordine nell’esercizio del Magistero. Negare l’esistenza di questi fatti in nome di una comprensione erronea dell’infallibilità della Chiesa e negarli “a priori” non è conforme né alle esigenze della teologia né a quelle della storia né a quelle del più elementare buon senso. Perché i fatti sono là; non si possono negare. Ne abbiamo dato un esempio; ne potremmo dare altri. Basti ricordare [...] l’ “Institutio generalis” che presentò il “Novus Ordo Missae” specie nel suo famoso “articolo 7”. I dogmi dell’Eucarestia e del Sacerdozio vi erano presentati con termini così ambigui e palesemente orientati verso il protestantesimo - per non dire di più -che fu necessario rettificarli. E tuttavia questa “Institutio” era “un intervento del Magistero”. Bisognava forse accettarla per questa sola ragione, benché andasse in un senso chiaramente opposto al Concilio di Trento, nel quale la Chiesa aveva impegnato la sua infallibilità? Sì, se si segue il comportamento bandito da Joseph Kleiner e da tanti altri. E bisognerebbe per ciò stesso fare propria la contraddizione, negando che ci sia contraddizione, il che è propriamente contraddittorio e rappresenta un’autentica dimissione dell’intelligenza e un abbandono incondizionato a un principio d’autorità non regolato più da nessuna esigenza di verità. Un tale atteggiamento non è conforme a quello che il Magistero stesso chiede ai fedeli. [...] Ora la fede esige la sottomissione dell’intelligenza dinanzi al Mistero che la oltrepassa, ma non la sua dimissione dinanzi ad esigenze di coerenza logica che sono di sua competenza. Perciò, quando una contraddizione è evidente, come nei due casi citati, il dovere del credente, e ancor più del teologo, è di rivolgersi al Magistero chiedendogli di eliminarla» (Eucharestie salut du monde, ed du Cèdre, Paris 1981, pp. 56 ss.).
Pensiamo di non dover aggiungere altro, tranne un invito a pregare la divina Pietà che, per intercessione del Cuore Immacolato di Maria, allontani al più presto dal mondo cattolico questa durissima prova.
Hirpinus

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Canto XXVII






































 I beati innalzano un inno di lode alla Trinità, Gloria al Padre, al Figlio e allo Spirito Santo, mentre Dante prova un senso di smarrimento di fronte alla beatitudine del Paradiso, che egli percepisce con lo sguardo e con l’udito. 


 San Pietro, mentre la sua luce acquista un’intensa tonalità rosseggiante, cambia colore per lo sdegno che lo agita e prorompe in una feroce invettiva condannando il Pontefice Bonifacio VIII, al quale rivolge l’accusa di aver trasformato Roma, la città santa per tutti i fedeli, in una grande cloaca di vizi e di corruzione.

 La Chiesa, continua San Pietro, non fu fondata con il sangue di Cristo e allevata con il sangue dei martiri per diventare uno strumento di arricchimento in mano a pontefici indegni, né per provocare feroci divisioni e sanguinose lotte di parte fra cristiani 


Le chiavi pontificie devono essere simbolo dell’autorità spirituale del papato, non insegna degli eserciti papali mandati a combattere contro cristiani. 
L’immagine di San Pietro impressa sui sigilli dei papi non può essere adoperata per sigillare privilegi e benefici acquistati con la simonia.
Gli ultimi quattro papi sono corrotti, ma non sono gli unici: dal Cielo si vedono ovunque, sulla terra, lupi rapaci travestiti da pastori.
Tuttavia, conclude l’Apostolo, presto la Provvidenza porrà fine a questa rovinosa situazione della Chiesa.









 

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