
La Fraternità San Pio X ha in mano un tesoro
Intervista a don Davide Pagliarani, Superiore generale della Fraternità San Pio X
Molto
Reverendo Superiore generale, Lei è il successore di un vescovo che è
stato a capo della Fraternità San Pio X per ventiquattro anni e che, per
altro, L’ha anche ordinata sacerdote. Come si sente a succedergli?
Mi hanno
già posto una domanda simile quando sono stato nominato rettore del
seminario de La Reja, dato che due vescovi mi avevano preceduto nello
stesso incarico. Diciamo che questa volta è un po’ più complicato!
Mons.
Fellay è una personalità importante nella storia della Fraternità, visto
che l’ha diretta per un periodo di tempo che corrisponde a metà della
sua esistenza. Durante questo lungo periodo le prove non sono certo
mancate, e tuttavia la Fraternità è sempre qui che porta alto lo
stendardo della Tradizione. Ritengo che questa fedeltà della Fraternità
alla sua missione è in qualche modo un riflesso della fedeltà del mio
predecessore alla sua propria missione. Tengo a ringraziarlo a nome di
tutti per questo.
Alcuni
hanno comunque voluto vedere il Lei una personalità molto diversa da
quella del Suo predecessore. C’è un punto rispetto al quale si sente
veramente diverso?
Devo confessare – cum grano salis –
che detesto in maniera irrimediabile tutti i mezzi elettronici, senza
eccezione e senza possibilità di cambiare opinione, mentre Mons. Fellay è
un esperto in materia…
Come vede la Fraternità San Pio X, che dovrà dirigere per dodici anni?
La
Fraternità ha in mano un tesoro. Più volte è stato ripetuto che questo
tesoro appartiene alla Chiesa, ma penso che si possa dire che appartiene
di pieno diritto anche a noi: è nostro ed è per questo che la
Fraternità è perfettamente un’opera di Chiesa, già adesso!
La
Tradizione è un tesoro, ma per custodirlo fedelmente dobbiamo essere
coscienti di essere dei vasi d’argilla. La chiave del nostro futuro è
qui, nella consapevolezza della nostra debolezza e della necessità di
vigilare su noi stessi. Professare la fede nella sua integrità non basta
se le nostre vite non sono un’espressione fedele e concreta di questa
integralità della fede. Vivere della Tradizione vuol dire difenderla,
lottare per essa, battersi perché possa trionfare prima di tutto in noi
stessi e nelle nostre famiglie, per poter poi trionfare nella Chiesa
tutta.
Il nostro
desiderio più sentito è che la Chiesa ufficiale cessi di considerare la
Tradizione come un fardello o un mucchio di anticaglie obsolete, ma che
guardi a essa come l’unica via possibile per rigenerarsi. Le grandi
discussioni dottrinali, tuttavia, non saranno sufficienti a portare
avanti quest’opera: abbiamo bisogno prima di tutto di anime che siano
pronte a ogni sorta di sacrificio. E questo vale per i consacrati così
come per i fedeli.
Anche noi
dobbiamo rinnovare sempre il nostro sguardo sulla Tradizione, non in
modo puramente teorico, ma in maniera veramente soprannaturale, alla
luce del sacrificio di Nostro Signore sulla Croce. Facendo così ci
preserveremo da due pericoli opposti, che spesso si alimentano a
vicenda: una certa stanchezza pessimista, se non disfattista, e un
cerebralismo che inaridisce.
Sono
convinto che sia questa la chiave per far fronte alle difficoltà che
potranno presentarsi. Predicare il Vangelo, a tempo e fuor di tempo, con
grande pazienza e istruendo sempre.
Anche per quanto riguarda il problema principale della crisi nella Chiesa?
Quali
sono gli argomenti importanti oggi? Le vocazioni, la santificazione dei
sacerdoti, la cura delle anime. La situazione drammatica della Chiesa
non deve avere sulle nostre menti un impatto psicologico tale da
impedirci di svolgere i nostri doveri. La lucidità non dev’essere
paralizzante: quando lo diventa, si trasforma in tenebre. Guardare la
crisi alla luce della Croce ci permette di mantenere la serenità e il
dovuto distacco, entrambi indispensabili per garantirci la sicurezza del
nostro giudizio.
La
situazione attuale della Chiesa è quella di un tragico declino: crollo
delle vocazioni, del numero di preti, della pratica religiosa, scomparsa
della abitudini cristiane, del senso di Dio il più elementare, che oggi
si manifestano – ahimè! – nella distruzione della morale naturale…
Ora, la
Fraternità possiede tutti i mezzi per guidare il movimento di ritorno
alla Tradizione. Più precisamente, dobbiamo far fronte a due esigenze:
- da un lato, preservare la nostra identità, ribadendo la verità e denunciando l’errore: «Praedica verbum: insta opportune, importune: argue, obsecra, increpa, predica il Vangelo, insisti a tempo e fuor di tempo, riprendi, minaccia, esorta» (II Tim. 4, 2);
- dall’altro, « in omni patientia, et doctrina, con grande pazienza e sempre istruendo » (ibidem): attirare alla Tradizione quelli che camminano in questa direzione, incoraggiarli, introdurli gradualmente alla lotta e a un’attitudine sempre più coraggiosa. Ci sono ancora delle anime autenticamente cattoliche, che sono assetate di verità. Non abbiamo il diritto di rifiutare loro il bicchiere d’acqua fresca del Vangelo assumendo un atteggiamento indifferente o altezzoso. Spesso queste anime finiscono per motivarci a loro volta con il loro coraggio e la loro determinazione.
Si tratta
di due esigenze complementari, che non si possono separare: non si può
privilegiare la denuncia degli errori nati dal Vaticano II a discapito
dell’assistenza dovuta a coloro che prendono coscienza della crisi e che
hanno bisogno di essere illuminati, né privilegiare quest’ultima a
discapito della denuncia degli errori. Questa duplice esigenza è
profondamente una, perché è la manifestazione dell’unica carità della
verità.
Come si traduce concretamente quest’aiuto alle anime assettate di verità?
Penso che
non si debbano mettere limiti alla Provvidenza, che ci darà, caso per
caso, i mezzi adatti alle diverse situazioni. Ogni anima è un mondo a
sé, ha dietro di sé un percorso personale e bisogna conoscerla nella sua
individualità per essere capaci di venirle in aiuto in maniera
efficace. Si tratta prima di tutto di un atteggiamento di fondo da
coltivare in noi stessi, una disposizione preliminare ad aiutare, e non
una preoccupazione illusoria di stabilire una procedura universale da
applicare a ognuno.
Per dare
degli esempi concreti, attualmente i nostri seminari ospitano diversi
sacerdoti esterni alla Fraternità – tre a Zaitzkofen e due a La Reja –
che vogliono vedere chiaro nella situazione della Chiesa e che,
soprattutto, desiderano vivere il loro sacerdozio nella sua integralità.
È
attraverso il fiorire del sacerdozio e unicamente per mezzo di questo
che la Chiesa ritornerà alla Tradizione. Ravvivare questa convinzione è
per noi imperativo. La Fraternità San Pio X conterà a breve 48 anni di
esistenza. Con l’aiuto della grazia di Dio, ha registrato una prodigiosa
espansione in tutto il mondo; ha opere che crescono ovunque, numerosi
sacerdoti, distretti, priorati, scuole… In questo espandersi, il
rovescio della medaglia è che lo spirito di conquista iniziale si è
inevitabilmente indebolito. Senza volerlo, siamo sempre più assorbiti
dalla gestione dei problemi quotidiani implicati da un tale sviluppo; lo
spirito apostolico può risentirne e i grandi ideali corrono il rischio
di sbiadirsi. Siamo ormai alla terza generazione di preti dall’epoca
della fondazione della Fraternità, nel 1970… Bisogna ritrovare il
fervore missionario, quello ispiratoci dal nostro fondatore.
In questa crisi che fa soffrire tanti fedeli attaccati alla Tradizione, come concepire le relazioni tra Roma e la Fraternità?
Anche qui
dobbiamo cercare di mantenere un punto di vista soprannaturale, per
evitare che il problema diventi un’ossessione, perché le ossessioni, sul
piano soggettivo, obnubilano l’intelligenza e, sul piano oggettivo, le
impediscono di arrivare al suo scopo, che è la conoscenza della verità.
Specialmente
oggi, dobbiamo evitare di essere precipitosi nei giudizi, come spesso
ci inducono a fare i moderni mezzi di comunicazione; non buttarci nel
commento «definitivo» di un documento romano o di un altro tema
delicato: sette minuti per improvvisarlo e un minuto per metterlo online…
L’avere uno «scoop» o il «fare scalpore» sono le nuove esigenze dei
media, che in questo modo, però, propongono un’informazione molto
superficiale e – peggio ancora – a lungo termine rendono impossibile
ogni riflessione seria e profonda. I lettori, gli ascoltatori e gli
spettatori si preoccupano, si angosciano… L’ansia poi condiziona la
ricezione dell’informazione. La Fraternità ha sofferto troppo a causa di
questa tendenza malsana e – in ultima analisi – mondana, che dobbiamo
tutti cercare urgentemente di correggere. Meno saremo connessi a
Internet e più ritroveremo la serenità della mente e del giudizio. Meno
saremo davanti a uno schermo, più saremo capaci di effettuare una
valutazione oggettiva dei fatti reali e della loro esatta portata. Nei
nostri rapporti con Roma, non si tratta di essere rigidi o lassisti, ma
semplicemente realisti.

Per quanto riguarda i nostri rapporti con Roma, quali sono i fatti reali?
Fin dalle
discussioni dottrinali con i teologi romani, possiamo dire che davanti a
noi abbiamo due canali di comunicazione, due tipi di relazione su dei
piani che bisogna distinguere attentamente:
- un canale pubblico, ufficiale, chiaro, che ci impone sempre delle dichiarazioni con – sostanzialmente – gli stessi contenuti dottrinali;
- un altro canale, proveniente ora da questo ora da quell’altro membro della curia, con interessanti scambi privati, che contengono nuovi elementi sul valore relativo del Concilio, su questo o quell’altro punto di dottrina… Sono discussioni inedite e interessanti, sicuramente da continuare, ma che restano comunque informali, ufficiose, private, mentre sul piano ufficiale – nonostante una certa evoluzione del linguaggio – le esigenze che vengono ribadite sono sempre le stesse.
Certamente
prendiamo atto con piacere di ciò che di positivo viene detto in
privato, ma lì non è veramente Roma a parlare: sono dei Nicodemo
benevoli e timidi, non la gerarchia ufficiale. Bisogna quindi attenersi
strettamente ai documenti ufficiali, e spiegare perché non li possiamo
accettare.
Gli
ultimi documenti ufficiali – per esempio, la lettera del cardinal Müller
di giugno 2017 – manifestano sempre la stessa esigenza: prima bisogna
accettare il Concilio, poi sarà possibile continuare a discutere su ciò
che per la Fraternità non è chiaro; così facendo, le nostre obiezioni
vengono ridotte a mere difficoltà soggettive di lettura e di
comprensione, e ci viene promesso l’aiuto per comprendere bene ciò che
realmente il Concilio voleva dire. Le autorità romane fanno di questa
accettazione previa una questione di fede e di principio; lo dicono
esplicitamente. Le loro esigenze oggi sono le stesse di trent’anni fa.
Il Concilio Vaticano II va accettato nella continuità della tradizione
ecclesiale, come parte integrante di questa tradizione. Alla Fraternità
viene concesso di avere delle riserve che meritano una spiegazione, ma
in nessun caso è concesso un rifiuto degli insegnamenti del Concilio in
quanto tali: è Magistero puro e semplice!
Ora, il
problema è qui, sempre nello stesso punto, e non possiamo spostarlo
altrove: qual è l’autorità dogmatica di un Concilio che si è voluto
pastorale? Qual è il valore dei nuovi princìpi insegnati dal Concilio,
che sono stati applicati in maniera sistematica, coerente e in perfetta
continuità con ciò che era stato insegnato dalla gerarchia che fu
responsabile al contempo del Concilio e del postconcilio? Questo
Concilio reale è il Concilio della libertà religiosa, della
collegialità, dell’ecumenismo, della «tradizione vivente»…, e purtroppo
non è il risultato di una cattiva interpretazione. La prova è che questo
Concilio reale non è mai stato rettificato né corretto
dall’autorità competente. Veicola uno spirito, una dottrina, un modo di
concepire la Chiesa che costituiscono un ostacolo alla santificazione
delle anime e i cui risultati drammatici sono sotto gli occhi di tutti
gli uomini intellettualmente onesti, di tutte le persone di buona
volontà. Questo Concilio reale, che corrisponde al tempo stesso
a una dottrina insegnata e a una pratica vissuta, imposta al «Popolo di
Dio», noi rifiutiamo di accettarlo come un concilio simile agli altri. È
per questo che ne mettiamo in discussione l’autorità, ma sempre con
spirito di carità, perché non vogliamo altra cosa che il bene della
Chiesa e la salvezza delle anime. La nostra discussione non è un
semplice duello teologico e, di fatto, riguarda delle materie che non
sono «discutibili»: è la vita della Chiesa a essere in gioco qui,
indiscutibilmente, ed è su questo che Dio ci giudicherà.
Ecco,
quindi, in quale ottica ci atteniamo ai testi ufficiali di Roma: con
rispetto, ma anche con realismo; non si tratta di essere di destra o di
sinistra, rigidi o lassisti: si tratta semplicemente di essere realisti.
Che fare nel frattempo?
Posso
rispondere solo ricordando alcune priorità. Prima di tutto, avere
fiducia nella Provvidenza che non può abbandonarci e che ci ha sempre
dato dei segni della sua protezione e benevolenza. Dubitare, esitare,
chiedere altre garanzie da parte Sua sarebbe una grave mancanza di
gratitudine. La nostra stabilità e la nostra forza dipendono dalla
nostra fiducia in Dio: penso che dovremmo esaminarci tutti su questo
punto.
Inoltre,
bisogna riscoprire ogni giorno il tesoro che abbiamo in mano, ricordarci
che questo tesoro ci viene da Nostro Signore stesso e che gli è costato
il Sangue. È rimettendosi davanti alla grandezza di queste realtà
sublimi che le nostre anime resteranno abitualmente in adorazione e si
fortificheranno come si deve per il giorno della prova.
Dobbiamo
avere anche una preoccupazione crescente per l’educazione dei bambini.
Bisogna aver ben presente lo scopo che vogliamo raggiungere e non aver
paura di parlare loro della Croce, della passione di Nostro Signore, del
suo amore per i piccoli, del sacrificio. Bisogna assolutamente che le
anime dei bambini si innamorino di Nostro Signore dalla più tenera età,
prima che lo spirito del mondo posso sedurle e rapirle. La questione è
assolutamente prioritaria e, se non riusciamo a trasmettere ciò che
abbiamo ricevuto, vuol dire che non ne siamo convinti abbastanza.
Infine
dobbiamo lottare contro una certa pigrizia intellettuale: è la dottrina
che dà la ragion d’essere alla nostra battaglia per la Chiesa e per le
anime. Bisogna fare uno sforzo per attualizzare la nostra analisi dei
grandi avvenimenti odierni alla luce della dottrina perenne, senza
accontentarci del pigro «copia e incolla» che Internet – ancora una
volta – tristemente favorisce. La sapienza mette e rimette tutto in
ordine, a ogni momento, e ogni cosa trova il suo posto esatto. La
crociata della Messa voluta da Mons. Lefebvre è più attuale che mai.
Cosa possono fare più particolarmente i fedeli?
A messa i fedeli riscoprono l’eco dell’ephpheta,
«apriti», pronunciato dal sacerdote durante il battesimo. Ancora una
volta la loro anima si apre alla grazia del Santo Sacrificio. Anche
piccolissimi, i bambini che assistono alla messa sono sensibili al senso
del sacro che la liturgia tradizionale manifesta. Soprattutto,
l’assistenza alla messa feconda la vita degli sposi e tutte le sue
prove, dandole un senso profondamente soprannaturale, perché le grazie
del sacramento del matrimonio derivano dal sacrificio di Nostro Signore.
È assistendo alla messa che si ricorderanno che Dio si vuole servire di
loro come cooperatori della più bella delle sue opere: santificare e
proteggere l’anima dei loro figli.
Nel 1979,
in occasione del suo giubileo, Mons. Lefebvre ci invitò a una crociata
della messa, perché Dio vuole restaurare il sacerdozio e, tramite
questo, la famiglia, oggi attaccata da tutte le parti. Per quel tempo la
sua era una visione profetica; ai nostri giorni è ormai un dato di
fatto che ognuno può constatare. Ciò che prevedeva, oggi l’abbiamo
davanti ai nostri occhi:
« Che
cosa ci resta da fare, miei cari fratelli? Se approfondiamo questo
grande mistero della messa, penso di poter dire che dobbiamo fare una
crociata fondata sul Santo Sacrificio della messa, sul Sangue di Nostro
Signore Gesù Cristo; fondata su questa roccia invincibile e su questa
sorgente inesauribile di grazie che è il Santo Sacrificio della messa.
Lo vediamo tutti i giorni. Siete qua perché amate il Santo Sacrificio
della messa. Questi giovani seminaristi, che sono a Écône, negli Stati
Uniti, in Germania, sono venuti nei nostri seminari proprio per la santa
messa, per la santa messa di sempre che è la sorgente delle grazie, la
sorgente dello Spirito Santo, la sorgente della civiltà cristiana. Il
prete è questo. Allora dobbiamo fare una crociata, una crociata fondata
precisamente su questa nozione di sempre del sacrificio, così da
ricreare la cristianità, rifare una cristianità come la Chiesa la
desidera, come la Chiesa l’ha sempre fatta, con gli stessi princìpi, lo
stesso sacrificio della messa, gli stessi sacramenti, lo stesso
catechismo, la stessa Sacra Scrittura » (Omelia di Mons. Lefebvre in
occasione del suo giubileo sacerdotale, Parigi, Porte de Versailles, 23 settembre 1979).
Questa
cristianità va ricostruita quotidianamente, tramite il compimento fedele
del nostro dovere di stato, lì dove Dio ci ha voluti. Alcuni lamentano,
a giusto titolo, che la Chiesa e la Fraternità non sono ciò che
dovrebbero essere. Dimenticano, però, di avere i mezzi per rimediare a
questo, ognuno al proprio posto, santificando sé stesso. Lì ognuno è
Superiore generale… Non c’è bisogno di un Capitolo per essere eletti,
bisogna santificare ogni giorno la porzione di Chiesa di cui si è
padroni assoluti: la propria anima!
Mons.
Lefebvre continuava: «Dobbiamo ricreare questa cristianità, e siete voi,
miei cari fratelli, siete voi il sale della terra, voi la luce del
mondo (Mt 5, 13-14), è a voi che Nostro Signore si rivolge e dice: “Non
perdete il frutto del mio Sangue, non abbandonate il mio Calvario, non
abbandonate il mio sacrificio”. È anche la Vergine Maria, vicina ai
piedi della croce, a dirvelo. Ve lo dice anche Lei, che ha il cuore
trafitto, pieno di sofferenze e di dolori, ma anche pieno di gioia
nell’unirsi al sacrificio del suo divin Figlio. Siamo cristiani, siamo
cattolici! Non lasciamoci trascinare da tutte queste idee mondane, da
tutte queste correnti del mondo che ci spingono verso il peccato, verso
l’inferno. Se vogliamo andare in Cielo dobbiamo seguire Nostro Signore
Gesù Cristo; portare la croce e seguire Nostro Signore Gesù cristo;
imitarlo nella Croce, nella sofferenza e nel sacrificio».
Il
fondatore della Fraternità San Pio X lanciava una crociata di giovani,
di famiglie cristiane, di padri di famiglia, di sacerdoti. Insisteva con
un’eloquenza che quarant’anni dopo ci colpisce sempre, perché vediamo
quanto questo rimedio si applichi ai mali presenti:
«L’eredità
che Gesù Cristo ci ha dato è il suo sacrificio, il suo Sangue, la sua
Croce. Questo è il fermento di ogni civiltà cristiana e di ciò che deve
condurci al Cielo. (…) Custodite il testamento di Nostro Signore!
Custodite il sacrificio di Nostro Signore! Custodite la messa di sempre!
Allora vedrete rifiorire la civiltà cristiana».
Quarant’anni
dopo non possiamo sottrarci a questa crociata; oggi esige un ardore
ancora maggiore e un entusiasmo ancora più ardente per il servizio della
Chiesa e delle anime. Come dicevo all’inizio di quest’intervista, la
Tradizione è nostra, pienamente, ma quest’onore comporta una grave
responsabilità: saremo giudicati sulla nostra fedeltà nel trasmettere
ciò che abbiamo ricevuto.
Molto
Reverendo Superiore Generale, prima di terminare, ci consenta una
domanda più personale. L’incarico che Le è stato affidato l’11 luglio
scorso non L’ha spaventata?
Sì, devo
ammettere che ho avuto un po’ paura e che ho persino esitato in cuor mio
prima di accettarlo. Siamo tutti dei vasi d’argilla e questo vale anche
per chi è stato eletto Superiore generale: anche se si tratta di un
vaso un po’ più visibile e un po’ più grosso, è pur sempre fragile.
Soltanto
il pensiero della Santissima Vergine mi ha permesso di vincere la paura:
mi affido a Lei sola e lo faccio totalmente. La Madonna non è d’argilla
perché è d’avorio, non è un vaso fragile perché è una torre
inespugnabile: turris eburnea. È come un esercito schierato in ordine di battaglia, terribilis ut castrorum acies ordinata,
e che sa in anticipo che il solo risultato possibile di tutte queste
battaglie è la vittoria: «Alla fine il mio Cuore immacolato trionferà».
Pubblicato: 11 Ottobre 2018
Fonte: https://www.sanpiox.it/attualita/2098-intervista-al-superiore-generale-della-fraternita-san-pio-x