"Se vien qualcuno tra voi e non porta questa dottrina non lo ricevete in casa e nemmeno salutatelo "(Giov.IIª, 10).
“Se anche un Angelo o noi stessi vi predicassimo un Vangelo diverso da quello che vi è stato tramandato, sia anatema” (Gal., I, 8).
Dipinto dell’artista tedesco Hans Memling, realizzata intorno al 1471. L’opera fu commissionata dal fiorentino Tommaso Portinari,banchiere a Bruges per conto dei Medici, e da sua moglie MariaBaroncelli, raffigurati in basso ai due lati del dipinto. L’eccezionalità dell’opera è dovuta al fatto che nella stessa immagine il pittore ha rappresentato simultaneamente tutti gli episodi dell’ultima fase della vita di Gesù, dall’entrata in Gerusalemme sino alla discesa al Limbo dopo la Resurrezione. Domina la composizione la città di Gerusalemme, alla quale una folla di torri e cupole conferisce una vaga atmosfera orientaleggiante. Nel complesso, tuttavia, l’aspetto è quello di una tipica città tardo quattrocentesca del nord Europa, così come numerosi altri elementi, dai particolari decorativi agli abiti dei personaggi alle bardature dei cavalli, “attualizzano” il racconto evangelico trasponendolo dall’Antichità al Quattrocento. Il tutto è concepito come una rappresentazione teatrale, nella quale l’elemento architettonico funge da motivo conduttore per conferire unità ai diversi momenti del racconto. È come se ci trovassimo di fronte a una grandiosa scenografia formata da diversi palcoscenici, su ciascuno dei quali vanno simultaneamente in scena gli episodi dell’ultima fase della vita di Gesù. Luoghi lontani e vicini, esterni e interni, le più diverse ore del giorno e della notte sono presentati simultaneamente con uno straordinario effetto di unità, come se un’intera città e i suoi dintorni si squadernassero sotto i nostri occhi nel tempo e nello spazio. L’opera si legge a partire dall’angolo superiore sinistro: sullo sfondo di un suggestivo scorcio paesaggistico attraversato da un corso d’acqua, vediamo Gesù fare il suo ingresso in Gerusalemme; spostandoci con lo sguardo verso destra, vediamo la cacciata dei mercanti dal Tempio; appena più sotto a sinistra, Giuda Iscariota che vende Gesù ai sacerdoti; spostandoci ancora verso sinistra osserviamo l’Ultima Cena; immediatamente sotto, Gesù che prega nell’orto del Getsemani e gli apostoli addormentati; sotto, il bacio di Giuda, la cattura di Gesù, Pietro che taglia l’orecchio a Malco; risalendo in diagonale verso destra, incontriamo la figura solitaria di Pietro in atto di pentirsi per avere rinnegato Gesù; notiamo, sotto, un pavone: nella tradizione cristiana è simbolo di immortalità. In base alla credenza secondo la quale il pavone perde ogni anno in autunno le penne che rinascono in primavera, l'animale è diventato simbolo della rinascita spirituale e quindi della resurrezione. Inoltre i suoi mille occhi sono stati considerati emblema dell'onniscienza di Dio. Al centro del dipinto, vediamo uno accanto all’altro quattro momenti fondamentali della Passione: Gesù davanti a Caifa, la flagellazione, l’incoronazione di spine, Pilato che presenta Gesù alla folla; scendiamo in basso e vediamo uscire da una porta della città la processione che accompagna Gesù al Calvario. L’episodio saliente, sulla destra, è costituito dalla caduta di Gesù con il Cireneo che lo aiuta a sollevare la croce; la processione, nella quale si scorgono i due ladroni seminudi con le mani legate dietro la schiena, scompare dietro le mura della città per ricomparire più in alto sullo sfondo; gli ultimi momenti della Passione si svolgono su tre diverse colline: vediamo Gesù mentre viene inchiodato sulla croce, poi le tre croci levate in alto contro un cielo tempestoso e infine, sulla destra, la deposizione. Scendendo in diagonale con lo sguardo ancora verso destra, vediamo Gesù avvolto nel sudario mentre viene deposto nel sepolcro e, all’estremo margine, Gesù risorto con ai piedi le tre guardie addormentate. In alto a destra, nel paesaggio azzurrino sullo sfondo, si scorge l’apparizione di Gesù risorto sul lago di Tiberiade. Sempre sul margine destro vediamo ancora, in alto, l’apparizione di Gesù alla Maddalena.
Le storie raffigurate nella Passione, iniziando da sinistra verso
destra, sono:
"L'Entrata di Cristo a Gerusalemme".
"La Cacciata dei mercanti dal Tempio".
"L'Ultima cena".
"Giuda che vende Gesù".
"L'Orazione nell'orto".
"Il Bacio di Giuda".
"Il Rinnegamento di Pietro".
"Cristo davanti a Caifa".
"Pilato che si lava le mani".
"La Flagellazione".
"L'Incoronazione di spine".
"L' Ecce Homo".
"Il Trasporto della croce".
"Cristo inchiodato alla croce".
"Cristo in croce".
"La Discesa dalla croce".
"La Deposizione nel sepolcro".
"La Discesa al Limbo".
"La Resurrezione".
"Noli me tangere".
"I Pellegrini di Emmaus".
"L'Apparizione di Cristo sul mare di Tìberiade".
Per meglio identificare gli episodi ecco riportate qui sotto gli ingrandimenti della foto:
orari per le Messe e cerimonie nei Priorati e nelle cappelle.
Priorato Fraternità San Pio X (Albano Laziale – Roma)
Via Trilussa, 45 – 00041 Albano Laziale
Informazioni: 06.930.68.16
Domenica delle Palme (1 aprile): ore 10.00 benedizione delle Palme, processione, Messa cantata.
Giovedì Santo (5 aprile): ore 7.30 Canto del Mattutino. ore
19.00 Messa “In Coena Domini”, processione al Sepolcro, spogliazione
degli altari, adorazione al Sepolcro fino alla mezzanotte.
Venerdì Santo (6 aprile): ore 7.30 Canto del Mattutino. ore 15.00 Via Crucis. ore 18.00 Solenne Funzione liturgica: canto della Passione, Orazioni solenni, scoprimento ed adorazione della Croce, Comunione.
Sabato Santo (7 aprile): ore 7.30 Canto del Mattutino. ore 22.00 Veglia pasquale: benedizione del fuoco e del cero pasquale, benedizione dell’acqua battesimale, S. Messa solenne.
Domenica di Pasqua (8 aprile): ore 10.30 Messa cantata.
Priorato San Carlo Borromeo (Torino)
Via Mazzini, 19 – 10090 Montalenghe (TO) Informazioni: 011.983.92.72
Domenica delle Palme (1 aprile): Ore 10.30 Benedizione delle Palme, processione, Messa cantata. Giovedì Santo (5 aprile):Ore 18.30 Messa “In
Coena Domini”, processione al Sepolcro, spogliazione degli altari,
adorazione al Sepolcro fino alla mezzanotte. Venerdì Santo (6 aprile):Ore 15.00 Via Crucis. Ore
18.00 Solenne Funzione liturgica: canto della Passione, Orazioni
solenni, scoprimento ed adorazione della Croce, Comunione. Sabato Santo (7 aprile):Ore 22.00 Veglia pasquale: benedizione del fuoco e del cero pasquale, benedizione dell'acqua battesimale, S. Messa solenne. Domenica di Pasqua (8 aprile):Ore 8.30 Messa.
Priorato Madonna di Loreto (Rimini)
Via Mavoncello, 25 – 47923 Spadarolo di Rimini Informazioni: 0541.72.77.67
Domenica delle Palme (1 aprile) Ore 8.00 Messa letta. Ore 10.00 Benedizione delle Palme, processione, Messa cantata. Mercoledì Santo (4 aprile) Ore 20.30 Canto del Mattutino del Giovedì Santo. Giovedì Santo (5 aprile) Ore 19.30 Messa in
Cena Domini. Processione al sepolcro. Spogliazione degli altari.
Adorazione al sepolcro fino alla mezzanotte. Venerdì Santo (6 aprile)Giornata di ritiro in Priorato, aperta a tutti. Ore 18.10 Via Crucis solenne Ore
19.00 Solenne funzione liturgica. Canto della Passione. Orazioni
solenni. Scoprimento e adorazione della Croce. Comunione. Sabato Santo (7 aprile) Ore 22.00 Veglia pasquale. Benedizione del fuoco e del cero pasquale. Benedizione dell’acqua battesimale. Santa Messa. Domenica di Pasqua (8 aprile) Ore 8.00 Messa letta Ore 10.30 Messa cantata.
Altre cappelle
Roma:
Domenica delle Palme: ore 11.00 Messa letta;
Domenica di Pasqua: ore 11.00 Messa cantata.
Firenze:
Domenica delle Palme: ore 10.00 Messa;
Domenica di Pasqua: ore 10.00 Messa.
Napoli:
Domenica delle Palme: ore 11.00 Messa;
Domenica di Pasqua: ore 11.00 Messa.
Velletri:
Domenica delle Palme: ore 8.00 Messa;
Domenica di Pasqua: ore 8.00 Messa.
Vigne:
Domenica delle Palme: ore 17.00 Messa;
Domenica di Pasqua: ore 10.30 Messa.
Giovedì Santo ore 18.00 Messa “In Coena Domini”;
Venerdì Santo ore 15.00 Via Crucis, ore 18.00 Solenne Funzione liturgica;
Sabato Santo ore 22.00 Veglia pasquale.
Torino:
Domenica delle Palme: ore 17.30 Messa (attenzione! non ci sarà la Messa delle 11.00);
Domenica di Pasqua: ore 11.00 Messa.
Milano (Seregno):
Domenica delle Palme: ore 10.00 benedizione delle Palme, processione e Messa;
Sabato Santo: Confessioni dalle ore 11.00 alle 12.00 e dalle 14.30 alle 18.00;
Domenica di Pasqua: ore 10.00 Messa.
Ferrara:
Domenica delle Palme: ore 10.00 benedizione delle Palme, processione e Messa.
Domenica di Pasqua: ore 10.30 Messa.
Treviso (Lanzago di Silea):
Domenica delle Palme: ore 10.00 benedizione delle Palme, processione e Messa.
Sabato Santo: ore 22.00 Veglia pasquale.
Domenica di Pasqua: ore 10.30 Messa cantata.
Mons. Bernard Fellay, Superiore Generale
della Fraternità San Pio X, in seguito al suo incontro, il 16 marzo
2012, con il Cardinale William Levada, Prefetto della Congregazione per
la Dottrina della Fede, esorta i fedeli a raddoppiare il fervore nella
preghiera e la generosità nei sacrifici, nella Settimana Santa e nelle
settimane che seguiranno la Festa di Pasqua, affinché si faccia la
Volontà divina ed essa sola, secondo l’esempio datoci da Nostro Signore
Gesù Cristo nell’Orto degli Ulivi: non mea voluntas, sed tua fiat (Luca 22, 42).
Più che mai si rivela indispensabile la
Crociata del Rosario, iniziata a Pasqua del 2011 e che deve concludersi
alla Pentecoste del 2012. Per questo la Fraternità San Pio X, che
ricerca unicamente il bene della Chiesa e la salvezza delle anime, si
rivolge fiduciosa alla Santissima Vergine Maria, affinché le ottenga dal
suo Divino Figlio i lumi necessari per conoscere chiaramente la Sua
volontà e per compierla coraggiosamente.
Invitiamo i fedeli ad offrire una Santa
Comunione per questa intenzione. Desideriamo che essi facciano
interamente loro, in pensiero ed opere, la preghiera che Nostro Signore
ha chiesto di rivolgere al Nostro Padre dei Cieli: Sanctificetur nomen tuum, adveniat regnum tuum, fiat voluntas tua sicut in caelo et in terra; sia santificato il tuo nome, venga il tuo regno, sia fatta la tua volontà come in cielo così in terra!
Eccellenze, Reverendi sacerdoti, religiosi, suore, cari fedeli, cari pellegrini, Eccoci
riuniti per questa festa così magnifica del Cristo Re, per onorare,
lodare, ringraziare, ascoltare, supplicare la Santissima Vergine Maria. E
per festeggiare la festa di Cristo Re. Pio XI davanti alle tribolazioni
del mondo, davanti a questa ribellione sistematica degli uomini contro
Dio ha voluto insistere su questi diritti di Dio sulla terra. E questa
festa di Cristo Re, di Nostro Signore Gesù Cristo, immagine del Dio
invisibile, vero Dio e vero uomo, afferma questi diritti di Dio. E noi
vediamo il Nostro Signore affermare questi diritti, non soltanto nel
Cielo, non soltanto alla fine dei tempi, ma in tutti tempi, oggi e
domani. Nostro Signore nel Pater ci chiede di pregare: «Sia fatta
la Tua volontà, come in cielo così in terra.» E cosi’, in questa Festa,
l’abbiamo sentito nell’Epistola: «…Tutto è stato creato da Lui, e per
Lui» e tutto trova in Lui sua consistenza: gli individui, le società,
tutto.
Eppure, nonostante questa affermazione, questo richiamo, vediamo
questo orecchio sordo del mondo che non vuole ascoltare. Lo vediamo già
nell’Ottocento, lo vediamo già dalla Rivoluzione, vediamo che questo
continua. Quando guardiamo queste apparizioni della Santa Vergine, sia
alla Salette, sia a Lourdes, sia a Fatima, si ha l’impressione che il
Cielo dica qualcosa come: «Non vogliono ascoltare il Figlio, forse
ascolteranno la Madre». Queste Apparizioni sono delle misericordie del
Buon Dio che appunto richiamano questi diritti di Dio. La Madonna ci
conduce tutto dritto al Nostro Signore, a Dio. E se siamo qui, è
innanzitutto per onorarLo, per dire che vogliamo, noi, prestare
attenzione se la Santa Vergine, se il Cielo si degna di parlare agli
uomini. Certo non è la rivelazione pubblica compiuta alla morte degli
Apostoli, ma è ancora il Cielo che parla, e parla ovviamente, sempre
nello stesso senso.
Noi siamo venuti qui per onorare questa messaggera del Cielo a cui
piace confermare il dogma che la riguarda. Il Dogma era stato
promulgato quattro anni prima. Possiamo indovinare il piacere del Cielo
davanti a questa proclamazione sulla Terra. Indoviniamo la gioia di
Nostra Signora quando dice a Bernadette: Io sono l’Immacolata
Concezione. E quindi, uniamoci a tutti coloro che salutano la Madonna
nella Sua Immacolata Concezione. Mettiamoci tutto il nostro cuore, tutta
il nostro affetto, tutta la nostra volontà di riparare per tutti questi
miscredenti, per tutte queste povere anime che non trovano meglio da
fare che insultare la loro Madre con tutti i tipi di offese. Ripariamo
con questo saluto angelico, con questa catena d’Ave che è il rosario ripetuto.
Quello che ci dice qui la Madonna, è molto semplice: «Pregate,
penitenza, penitenza, penitenza». Si potrebbe credere che la Vergine
Maria è avara di parole, eppure, questo basta. Lei ci dà qui i due
rimedi proporzionati alla situazione nella quale ci troviamo. Se noi
siamo sulla terra, è con lo scopo di guadagnare il nostro Cielo, è per
salvarci. Dio permette che noi viviamo in un’epoca terribilmente
perturbata, ma i rimedi sono sempre gli stessi, sono sempre ugualmente
semplici: preghiera, e penitenza. E con quale insistenza ripete tre
volte: «Penitenza, penitenza, penitenza». E’ proprio l’esatto eco delle
parole del Nostro Signore stesso: «Se voi non fate penitenza, perirete
tutti». Queste parole erano vere nel momento in qui Lui le diceva, e
sono ancora vere per tutti i tempi. E quello che succede da una
quarantina d’anni -ed è qualcosa di veramente sorprendente-, è che
questa parola è stata taciuta. Il mondo pensa solo al piacere, il mondo
vuole solo la vita facile. E non si trovano quasi più bocche che
richiamano questo cammino verso il Cielo: penitenza. È la Croce, è la
via di Nostro Signore, e non un altro. Noi siamo salvati dalla Croce di
Gesù. Ed è lì che troviamo, nel Suo Sangue che scorre, nella Sua morte,
il prezzo pagato per la nostra redenzione. E se vogliamo essere salvati,
dobbiamo seguirLo. Questo è il grande insegnamento del sacrificio della
messa, di questa straordinaria iniziazione del Sommo Sacerdote, invito
alle anime battezzate ad unirsi al Suo sacrificio. E non soltanto per
il tempo di una Messa, il tempo di una vita sulla terra.
Preghiera anche: questa preghiera, Lei ce la indica con le Sue mani
che tengono un Rosario, ed ai Suoi piedi si vedono delle rose. Lourdes
in arabo significa «rosa». Dal nome di questo castello: Mirat, che
rifiutava di arrendersi a Carlo Magno nel 778, ma che, sulle ingiunzioni
del Vescovo della città del Puy, consentì ad arrendersi corpo ed anima
alla Regina del Cielo. E poco dopo si convertì prendendo il nome di
Lourdes, Lourdus, cioè Rosa. Qui a Lourdes, siamo sulle terre della
Santa Vergine. Una signora che ci insegna a pregare una catena di rose:
il Rosario. Quanto insiste durante tutti questi secoli: pregate il
Rosario. È ovvio che il Cielo abbia voluto mettere in questa preghiera
una potenza molto particolare, un antidoto al mondo moderno, allo
spirito moderno. Perché questa catena ci allaccia ai misteri di Nostro
Signore, e ci unisce alle grazie che per questo mezzo abbiamo meritate, e
ci fortifica nello spirito cristiano. Ci dà la forza di vivere da
Cristiani oggi, in questo mondo. Dobbiamo quindi prendere sul serio
questi due inviti alla penitenza e al Rosario.
La Protezione della Madonna sulla Fraternità San Pio X
Se siamo qui oggi, -siamo qui per il Giubileo dei 150 anni delle
apparizioni di Nostra Signora- siamo qui anche per un altro Giubileo,
che Noi vediamo come intimamente legato a Nostra Signora. Perché noi
vediamo qui la protezione della Madonna. Questo Giubileo, carissimi
fratelli, è quello dei 20 anni delle consacrazioni episcopali. E noi
osiamo dire che vediamo in questo come un miracolo. È un miracolo che,
vent’anni dopo noi siamo qui, che siamo qui senza avere cambiato rotta,
in una tormenta estremamente difficile, delicata, una linea che è come
il filo del rasoio, dalla quale è così facile cadere, sia a destra sia a
sinistra. Ed umanamente, un passo sbagliato è quasi inevitabile. Che
abbiamo mantenuto questa rotta, significa che abbiamo ricevuto una
protezione molto speciale. E questa protezione, Noi osiamo attribuirla
alla Madonna. Un’altra cosa, un’altra protezione, carissimi fratelli, è
che i quattro vescovi consacrati 20 anni fa siano tutti qui, non
soltanto vivi, ma uniti. Uniti nel combattimento, nonostante
tutti i profeti, i falsi profeti che predicevano già 20 anni fa ogni
tipo di divisioni. E invece no, sono tutti qui, ed è una grande grazia
del Cielo e noi ringraziamo la Santissima Vergine. E durante questi
giorni noi vogliamo far salire verso la Madonna un grande slancio di
gratitudine per queste consacrazioni, per tutta la protezione che ha
potuto dare a tutto questo movimento che noi chiamiamo la Tradizione.
Ovviamente, noi supplichiamo il Cielo, noi supplichiamo la Santissima
Vergine di mantenerci in questa linea di fedeltà, di fedeltà alla fede,
di fedeltà alla Chiesa.
Oggi, fratelli carissimi, in questa linea delle consacrazioni, noi
vorremmo lanciare una nuova crociata, e più precisamente una crociata
del Rosario. Due anni fa, ne avevamo già lanciata una. Era per ottenere
questo famoso «preambolo», come lo chiamiamo noi, per ottenere dal Santo
Padre, tramite l’intervento della Santissima Vergine, che la Santa
Messa, la Messa di sempre, ritrovi i suoi diritti nella Chiesa. Affinché
questi diritti della Chiesa siano di nuovo affermati. Ed anche a Roma
oggi, ci sono delle voci che attribuiscono a questa preghiera il famoso
Motu Proprio. Fidandoci della Madonna, oggi vorremmo lanciare di nuovo
la stessa crociata. Vorremmo incitare di nuovo la vostra generosità,
carissimi Fratelli, per chiedere alla Santissima Vergine che Lei ottenga
questo secondo preambolo: il ritiro del Decreto di scomunica. Perciò vi
invitiamo ad offrire di nuovo, nella vostra generosità, un milione di
rosari che potremmo di nuovo presentare al Sommo Pontefice con
insistenza.
Se Noi chiediamo queste cose, è per due motivi, che sono a due
livelli diversi, e di diversa importanza; il primo motivo, che non
consideriamo come così importante. Ha ovviamente qualche importanza, ma
se lo paragoniamo al secondo motivo, ha meno importanza. Questo motivo è
che, secondo me, questo argomento della scomunica viene molto spesso
usato dai progressisti, come un modo facile per non entrare in
discussione, per non ascoltare, per non guardare l’importanza di quello
che vorremmo sottolineare, delle questioni gravi che dobbiamo porre.
Queste questioni vengono facilmente messe da parte con queste parole:
«Voi siete scomunicati». Il secondo motivo, più importante, è che questa
scomunica di fatto non ha scomunicato essenzialmente quattro o sei
persone. In realtà, Monsignor Lefebvre incarnava un particolare
atteggiamento, e possiamo dire un atteggiamento cattolico per eccellenza
di attaccamento al Deposito rivelato, di attaccamento a tutto quello
che è stato dato da Nostro Signore alla Chiesa, e che è stato trasmesso
di generazione in generazione e che viene chiamato Tradizione. Non è un
attaccamento fossile, oppure morto. È un attaccamento per prendere nel
passato i principi, le lezioni e la vita per vivere oggi, perché la
verità, cioè Dio, è al di sopra del tempo. La fede non cambia, i
principi naturali non cambiano. E questa scomunica ha avuto come
conseguenza che tutti coloro che, da vicino o da lontano tentano
qualcosa in questo senso di attaccamento al passato della Chiesa si
fanno – più o meno- trattare da «Lefebrvisti». In realtà è stato proprio
questo atteggiamentocattolico, -assolutamente necessario all’essere della
Chiesa ed alla sua continuazione-, che è stato scomunicato. E noi
chiediamo al Santo Padre, al Sommo Pontefice che, diciamo, per
definizione, per necessità dovuta al suo incarico, deve voler il bene
della Chiesa, e quindi, deve voler anche questo «essere» cattolico che è
stato condannato.
Abbiamo centinaia di esempi, nei quali vediamo dei seminaristi, ma
soprattutto dei sacerdoti che, appena manifestano il più infimo
atteggiamento in questo senso, di essere un po’ conservatori, hanno
immediatamente ricevuto questa etichetta. Mi ricordo di un Monsignore,
incontrato a Roma, che mi spiegava, -lui era Brasiliano-, che un giorno
ebbe la strana idea di indossare una maglia nera. Questo era stato
sufficiente per farsi trattare da Lefebvrista! E quindi per ricevere
questa disapprovazione. Fare una cosa simile viene considerato quasi
come un sacrilegio. Oppure, altro esempio, di un sacerdote, nelle
Filippine questa volta, che per anni è stato trasferito da un posto
all’altro perché anche lui era troppo conservatore. Lui diceva la nuova
messa, voleva semplicemente dirla correttamente. Ma questo era troppo.
Anche lui veniva considerato come Lefebvrista. Un bel giorno, si disse:
«Devo sapere infine che cosa significa questa parola: Lefebvrista». Ed è
venuto da noi!
Nostra consacrazione alla Santissima Vergine Maria
Carissimi fratelli, e se chiediamo ancora una volta il ritiro di
questo decreto di scomunica, -insistiamo su questo punto-, questo non
significa che dopo questo tutto sarà finito. Al contrario, questo passo
assomiglia, se volete, allo sfrondamento nella giungla. Se volete
passare, se volete costruire una strada o in modo che un aereo atterri
in qualche parte, bisogna innanzitutto spianare, sfrondare. In sé è un
lavoro che non è essenziale né per la pista d’atterraggio, né per la
strada, eppure è molto importante e facilita le cose. La cosa importante
è la fede cattolica; una volta sbarazzata delle cose accessorie sulle
quali si appoggiano precisamente i progressisti, -questa etichetta
«scomunicato»-, speriamo di poter finalmente andare al fondo delle cose.
Vedete, in questi giorni sono bastate alcune scosse alla finanza e il
mondo intero è stato preso dal panico, dicono che c’è una crisi
economica, c’è una crisi finanziaria. Basta che la terra si muova un po’
troppo forte, e subito, -stavo per dire che tutto salti in aria-, tutti
constatano che c’è un terremoto. Eppure la Chiesa viene messa
sottosopra e ci dicono che va tutto bene. Bisogna andare al fondo delle
cose. Ed è ovviamente questo che vogliamo. Ed è questa grazia che in
fondo chiediamo alla Santa Vergine. Anche se ci vogliono diverse tappe
per arrivarci.
E finalmente, carissimi fratelli, terminiamo su questo pensiero:
vogliamo non soltanto una crociata del Rosario, non soltanto pregare la
Santa Vergine. Stiamo vivendo dei tempi indescrivibili, e quando si vede
quanto il Cielo insiste perché noi abbiamo una relazione molto speciale
verso la Santa Vergine Maria, ci sembra che sia il momento giusto,
questo Pellegrinaggio per rinnovare la nostra consacrazione alla
Santissima Vergine Maria. Nel 1984, già da parecchio tempo, tutta la
Fraternità San Pio X si era consacrata al Cuore Immacolato di Maria. E
noi vediamo ed una volta ancora attribuiamo a questa protezione della
Santissima Vergine Maria il fatto che siamo qui oggi, il fatto che
questa opera continua a crescere. E non è il caso di vantarsi, ma molto
semplicemente di constatare i fatti e di ringraziarne il Buon Dio, la
Santissima Vergine Maria. Questa consacrazione ha delle conseguenze: non
si tratta di un semplice atto, posto una volta e basta: bisogna
viverne. Consacrare significa offrirsi. In questa consacrazione noi
diciamo alla Santissima Vergine Maria alla fine della Consacrazione che
visto che ci siamo dati a Lei, il nostro apostolato è il suo
apostolato, non è più il nostro. La responsabile di questo apostolato, è
la Santissima Vergine Maria. Tocca a noi seguirLa, tocca a noi
ascoltarLa. Consacrarsi significa anche lavorare per imitare le Sue
virtù, la Sua vita, in quanto possiamo imitarLa: nella Sua fede, nella
Sua umiltà, nella Sua purezza, in tutte le virtù. Quindi, con gran
cuore, in tutta verità, rinnoviamo questa consacrazione. Lo faremo alla
fine di questa omelia, per proclamare una volta ancora che noi vogliamo
la Santissima Vergine Maria come nostra Madre, come nostra Regina, come
nostra Sovrana. È Lei che Ci condurrà a Nostro Signore, è Lei che ci
proteggerà, è Lei che ci condurrà a Dio e in Cielo.
In nomine Patris, et Filii, et Spiritus Sancti. Amen
Segue l’Atto di Consacrazione della Fraternita’ Sacerdotale San Pio X
alla Santissima Vergine Maria e al Suo Cuore Doloroso e Immacolato.
Dal 30 marzo al 1 aprile la Gran Loggia
del Grande Oriente d'Italia sarà presente al Palacongressi di Rimini per
discutere sul tema: “Oltre la crisi, la bussola dei valori per
ritrovare l'Uomo”. In questa occasione vorrei ricordare che la Chiesa ha
più volte condannato la massoneria.
Il codice di Diritto canonico del 1914 affermava chiaramente che: “Coloro
che aderiscono ad una setta massonica o ad altre associazioni dello
stesso genere, che complottano contro la Chiesa o la legittima autorità,
contraggono per il fatto stesso una scomunica semplicemente riservata
alla Sede apostolica”.(Can. 2335) . Nel 1983 il Prefetto per la
Congregazione della dottrina della fede, l’allora Card. Ratzinger,
ribadiva la condanna della Massoneria con questi termini: “Rimane
pertanto immutato il giudizio negativo della Chiesa nei riguardi delle
associazioni massoniche, poiché i loro principi sono stati sempre
considerati inconciliabili con la dottrina della Chiesa e perciò
l’iscrizione a esse rimane proibita. I fedeli che appartengono alle
associazioni massoniche sono in stato di peccato grave e non possono
accedere alla Santa Comunione”. (S. Congregazione per la Dottrina della Fede, il 26 novembre 1983).
don Pierpaolo Maria Petrucci
Superiore del Distretto d’Italia della Fraternità Sacerdotale San Pio X
__________________________________
Rimini, tremila massoni divisi al congresso. La segretezza, i nomi illustri, l’influenza in ogni ambito
Segnalazione di Raimondo Gatto Il gran maestro Raffi dovrebbe lasciare nel 2014, ma già
oggi la sua guida è paragonata a quella di Mario Monti: un tecnico che
traghetta gli iscritti delle 757 logge. Lasciandosi alle spalle la P2,
ma costretto a confrontarsi ogni giorno con i nuovi intrecci che si
chiamano P3 e P4
È di nuovo tempo di grembiuli e cappucci a Rimini, dove sono attese
migliaia di massoni per la Gran Loggia del Grande Oriente d’Italia, in
programma dal 30 marzo al 1 aprile al Palacongressi. Almeno 3 mila,
dicono le prenotazioni e gli accrediti, arriveranno sulla riviera
romagnola per l’appuntamento annuale che riunisce gli affiliati
all’organizzazione di Palazzo Giustiniani, la realtà massonica che vanta
oltre 200 anni di una storia. E che dichiara di avere ancora appeal,
nonostante le ombre provenienti della storia recente – l’esperienza di
Licio Gelli in primis, mai tramontata e ancora piena zeppa di punti
oscuri, giudiziari, ma anche politici – e le più attuali spaccature
interne tra fazioni che ricordano quelle dei partiti. Da una parte gli
uomini del gran maestro, dall’altra le opposizioni interne.
I dati in Italia sono di fonte massonica. I numeri sembrano
confortare la leadership del Goi. E non potrebbe che essere, così dato
che – vista la segretezza delle liste, blindate da sempre – la fonte
reca la firma del gran maestro Gustavo Raffi, autore di una recente
pubblicazione, “In nome dell’uomo”, in base alla quale in Italia ci sono 21.400 massoni e 757 logge.
Sempre secondo la stessa fonte, negli ultimi anni ci sarebbe stato un
crescendo di iniziazioni: nel 1999, secondo il Goi, coloro che aderivano
erano 12.630 mentre nel 2003 avevano raggiunto quota 15.099. Punto di
svolta sarebbe stato poi il 2009, quando gli aderenti hanno per la prima
volta sfondato quota 20 mila “fratelli”. A questo si aggiunga che, in
base a quanto viene scritto nel libro di Raffi, “l’età media dei
fratelli attivi è scesa a 53,6 anni, mentre di anni 43,2 è l’età media
dei bussanti”, cioè di coloro che chiedono di essere iniziati.
Sarà dunque questa la massoneria che si presenterà con l’abito buono a
Rimini in periodi di tasche vuote, occupazione che scompare e tutele
dei lavoratori che saltano. Una massoneria che, dopo aver elogiato il presidente del consiglio Mario Monti, intende ritagliarsi un ruolo guida.
“Vogliamo e dobbiamo esserci”, dice il gran maestro Raffi. Non a caso,
dunque, il congresso è intitolato “Oltre la crisi, la bussola dei valori
per ritrovare l’Uomo”. In programma interventi di docenti,
intellettuali e pensatori i cui nomi vanno da Gianni Vattimo a Giulio Giorello, da Aldo Masullo a Oscar Giannino e Alessandro Cecchi Paone, già presente a Rimini l’anno scorso.
L’ascesa del gran maestro Raffi e le spaccature interne. Ma tutto è
così edulcorato come sembra? Ciò che è certo è che il Goi si prepara a
una scadenza spinosa, le elezioni del 2014 che dovrebbero chiudere
definitivamente l’era Raffi. È lui la figura che si è posta l’obiettivo
di superare una volta per tutte le “macchie” della P2, definita in più
occasioni dall’avvocato romagnolo “lontana da noi come le Brigate Rosse
lo erano dal partito comunista”. L’occupazione dello Stato (passata
attraverso l’affiliazione dei più elevati vertici del mondo militare,
economico e politico, oltre che attraverso gli spettri golpistici e i
depistaggi nella storia delle stragi) è liquidata dunque come opera del
“materassaio (lavorava alla Permaflex ndr) di Arezzo”.
Chiuso questo capitolo – almeno nelle volontà degli uomini di
maggioranza relativa del Goi, rapidi nell’etichettare come “deviazioni
dal libero pensiero” affiliati o presunti tali che finiscono in
inchieste come quelle su P3 e P4 –, l’egida Raffi, originario di
Bagnacavallo, in provincia di Ravenna, si è originata sotto i lumi di
personaggi che hanno contato nel mondo di cappucci e compassi. Già di
per sé la Romagna è terra di tradizione massonica, vantando nomi come
quello del politico repubblicano Nevio Baldisserri e del compagno di partito Celso Cicognani, sindaco di Ravenna a cavallo tra gli anni Cinquanta e l’inizio dei Sessanta.
L’avvocato a capo da 13 anni del Goi è stato iniziato nel 1968
entrando nella loggia “Dante Alighieri”, che esiste ancora, e poi ne ha
fondato una propria, “La Pigneta”, in omaggio a una realtà che proveniva
direttamente dal periodo napoleonico. Infine il 20 marzo 1999 l’approdo
all’apice della più estesa loggia italiana, al vertice della quale è
stato per tre mandati, l’ultimo iniziato il 1 marzo 2009 con una
manciata di preferenze. Ed è a questo punto che è diventata evidente una
frattura interna mai ricomposta.
Se c’è chi scherza sul fatto che le lotte intestine sono “normali”,
quasi fossero un’altra tradizione massonica fin dai tempi dei
cavouriani, oggi c’è chi gira le spalle al folklore risorgimentale e
annuncia il “prossimo surclassamento della vecchia guardia”. Un
surclassamento almeno tentato per esempio dal Grande Oriente D’Italia
Democratico di Gioele Malgaldi. Il quale, con le sue lettere aperte al
“fratello Silvio Berlusconi”, addebitava al Goi l’“assenza di qualsivoglia spazio libero messo a disposizione” degli iscritti.
Raffi ha respinto quest’accusa così come quella che vorrebbe molti
esponenti della sua loggia troppo vicini alle istanze del Pdl ricordando
uno scontro sotterraneo ma che ha rischiato di finire nelle aule di
tribunale con politici come il già coordinatore nazionale del partito Denis Verdini, carica che ha ricoperto con Sandro Bondi e Ignazio La Russa. “Le liste di ‘fratelli’? Quando ci sarà una legge che lo impone”.
E in questi anni Raffi ha puntato sulla “trasparenza”. Ribadita fin
dalla prima allocuzione, quella della “rivoluzione del sorriso”, è pur
sempre una trasparenza a modo suo che passa più volentieri attraverso
riviste, siti Internet e canali per radio e tv. Ma rimane il fatto che
l’elenco degli iscritti resta tabù e Raffi ha più volte dichiarato che
l’obbedienza che rappresenta lo farà solo se sarà un obbligo per tutti. “Quando
ci sarà una legge che lo impone e che tutelerà i massoni dal
clientelismo”, aveva detto al fattoquotidiano.it, “ci adegueremo”.
Intanto, chi cita singoli iscritti o, peggio, pubblica lista di
iniziati, rischia di vedersela con avvocati e querele, quando non con
citazioni in sede civile per richieste di risarcimento danni. Inutile
bussare anche alle porte delle prefetture, presso cui dovrebbero essere
depositate le liste ma sulle quali si viene rimbalzati malgrado una legge datata 1982 contro le logge coperte. E in merito ai nomi, al momento, si
spendono solo quelli spendibili a livello nazionale e internazionale
per dare richiamo alla massoneria, quasi fosse (e lo sembra) una
campagna di marketing.
Allora ecco che, oltre agli stracitati Giuseppe Garibaldi e Giuseppe Mazzini, si indicano tra i massoni illustri i più glamour Walt Disney e Clark Gable o il principe Antonio De Curtis, in arte Totò. Oppure, ancora, esponenti più seriosi come Lando Conti,
sindaco di Firenze tra il 1984 e il 1985 ucciso dalle Brigate Rosse il
10 febbraio 1986. Colui, per citare ancora Raffi, che “incarna il
ritratto del perfetto amministratore” e alla lista degli illustri
iniziati aggiunge “Ernesto Nathan, il più grande sindaco di Roma, del pari mazziniano e massone, addirittura Gran Maestro”.
Non una parola ulteriore invece sul “materassaio”, Licio Gelli,
l’uomo che uscì proprio da Palazzo Giustiniani a metà degli anni
Sessanta per avviare, in un scalata prodigiosa e poco osservante dei
“gradini” della gerarchia massonica, quella che “nessuno più negare che
[…] stata un’associazione a delinquere”, come la definì Sandro Pertini.
La P2, appunto. E nemmeno oggi una parola nel commentare affermazioni
come quelle dello scorso dicembre di Cesare Geronzi, anima nera
della finanza italiana, che dichiarò: “La massoneria [...] conta, forse
conta molto, ed è spesso segnalata come protagonista di snodi più
importanti di settori politici e finanziari”.
di Antonella Beccaria e Giulia Zaccariello, Il Fatto Quotidiano, 26/03/2012
Il giorno 24 marzo 2012, si è tenuta ad Ecône la cerimonia per il
conferimento dei secondi Ordini Minori e per l’ordinazione di otto
nuovi suddiaconi tra cui un francescano cappuccino di Morgon. Due degli
ordinandi erano i seminaristi italiani don Gabriele D’Avino e don
Enrico Doria.
La cerimonia è stata officiata da Sua EccellenzaMons. Tissier de
Mallerais e vi hanno partecipato, tra gli altri, numerosi sacerdoti
italiani: dal distretto italiano, oltre al nuovo superiore don Pierpaolo
Petrucci, sono giunti don Fausto Buzzi da Albano e don Luigi Moncalero e
don Giuseppe Rottolida Montalenghe, accompagnati da fra’ Pietro Maria;
infine dalla Scozia ci ha raggiunti anchedon Mauro Tranquillo per
salutare i nuovi suddiaconi. Durante la predica iniziale, che, vista la
presenza di numerosi fedeli italiani (circa una sessantina tra parenti
ed amici) Sua Eccellenza ha scelto di tradurre anche in italiano, Mons.
Tissier ha spiegato l’importanza dell’ordine del Suddiaconato, con il
quale i seminaristi compiono il primo atto definitivo di donazione
totale a Dio e alla Santa Chiesa, mirabilmente sugellato con la scelta
della castità perfetta, con il dulce pondus del Breviario e con
l’importante compito di custodire i vasi sacri e i sacri lini.
Suggestivo è stato l’atto simbolico del “passo” col quale i candidati
hanno risposto all’invito del vescovo: si in sancto proposito perseverare placet, in nomine Domini, huc accedite,
seguito dalla recita delle litanie ai santi, durante la quale i giovani
seminaristi si sono prostrati al suolo, simboleggiando, con ciò, il
distacco definitivo dal mondo.
Al termine della cerimonia, Sua Eccellenza, come d’abitudine, ha
benedetto i bambini che lo aspettavano all’esterno della chiesa. Dopo le
foto di rito, il gruppo italiano si è riunito nei locali della scuola
Fleurs de Mai a Riddes, dove, in atmosfera di gioia e convivialità, si è
consumato un ottimo pranzo cucinato da don Massimo Sbicego, coadiuvato,
tra gli altri, dal resto dei seminaristi italiani, concludendo così la
splendida giornata.
Durante la suaomelia, Sua Eccellenzaha sottolineato l'importanzadel suddiaconato con il quale iseminaristicompiono il primo atto definitivo di donazione totale a Dio e alla Santa Chiesa
"Non si può pretendere che Dio doni la vittoria senza chiedere agli uomini d’arme di dare battaglia, è una forma di diserzione!"
(Santa Giovanna d’Arco)
E'
citando Giovanna d'Arco che Mons. Fellay ribadì in questa intervista
del 28 novembre 2011 la netta posizione della FSSPX da mantenere con
Roma riguardo il Preambolodottrinale.
__________________________________
La Fraternità San Pio X e il Preambolo dottrinale
Intervista a Monsignor Bernard Fellay, Superiore Generale della Fraternità San Pio X
Perché
il Preambolo Dottrinale che Le ha consegnato il Card. Levada lo scorso
14 settembre è circondato da un cotale segreto sia da parte della
Congregazione per la Dottrina della Fede sia da parte della Fraternità
San Pio X? Cosa nasconde questo silenzio ai sacerdoti e ai fedeli della
Tradizione?
Questa discrezione è normale in ogni
procedura importante; ne garantisce la serietà. Accade che il Preambolo
dottrinale che ci è stato consegnato sia un documento che, come indica
la nota che l’accompagna, è suscettibile di chiarimenti e di modifiche.
Non si tratta di un testo definitivo. Noi invieremo a breve una risposta
a questo documento, ove indicheremo con franchezza le posizioni
dottrinali che ci sembra indispensabile mantenere. Dopo l’inizio dei
nostri colloqui con la Santa Sede – i nostri interlocutori lo sanno bene
– la nostra costante preoccupazione è stata quella di presentare in
tutta lealtà la posizione tradizionale.
Da parte di Roma, la discrezione
s’impone anche perché questo testo – pur nello stato attuale che
necessita numerosi chiarimenti – rischia fortemente di suscitare
l’opposizione dei progressisti, i quali non ammettono la semplice idea
di una discussione sul Concilio, perché considerano che questo Concilio
pastorale sia indiscutibile o “non negoziabile”, come se si trattasse di
un Concilio dogmatico.
(Essi considerano il concilio indiscutibile ma sono i nostri Valori della Fede che "Non sono negoziabili")
Malgrado
tutte queste precauzioni, le conclusioni della riunione dei Superiori
della Fraternità San Pio X ad Albano, del 7 ottobre, sono state
divulgate su internet, da fonti diverse, ma concordanti.
Su internet le indiscrezioni non mancano
mai! È vero che questo Preambolo dottrinale non può ricevere il nostro
avallo, benché comporti un margine per una “legittima discussione” su
certi punti del Concilio. Qual è l’ampiezza di questo margine? La
proposta che avanzerò in questi giorni alle autorità romane e la loro
risposta ci permetteranno di valutare le possibilità che ci vengono
lasciate. E qualunque sia il risultato di questi scambi, il documento
finale che verrà accettato o respinto sarà reso pubblico.
Meglio fare apparire le difficoltà che le soluzioni
Dal
momento che questo documento è poco chiaro, a suoi occhi, non sarebbe
più semplice opporre la non ricevibilità ai suoi autori?
Più semplice forse, ma non più onesto.
Visto che la nota che l’accompagna prevede la possibilità di apportare
dei chiarimenti, mi sembra necessario chiederli piuttosto che rifiutarli
a priori. Questo non pregiudica in niente la risposta che daremo.
Dal momento che il dibattito tra noi e
Roma è essenzialmente dottrinale e verte principalmente sul Concilio, e
considerato che questo dibattito non riguarda solo la Fraternità San Pio
X, ma proprio tutta la Chiesa, le precisazioni che otterremo o meno,
avranno il merito non trascurabile di far meglio apparire dove stanno le
difficoltà e dove le soluzioni. È questo lo spirito che ha sempre
guidato i nostri colloqui teologici in questi due ultimi anni.
Questo
documento serve da preambolo ad uno statuto canonico, ma ciò non
comporta implicitamente la rinuncia alla tabella di marcia che Lei aveva
fissata e che prevedeva innanzi tutto una soluzione dottrinale prima di
un accordo pratico?
Si tratta proprio di un preambolo
dottrinale la cui accettazione o il cui rifiuto condizionerà
l’ottenimento o meno di uno statuto canonico. La dottrina non passa
affatto in secondo piano. E prima di impegnarci su un eventuale statuto
canonico, studieremo in maniera attenta questo Preambolo con il criterio
della Tradizione, alla quale siamo fedelmente legati. Poiché noi non
dimentichiamo che sono proprio le divergenze dottrinali all’origine
della controversia fra Roma e noi, da 40 anni; il metterle da parte per
ottenere uno statuto canonico ci esporrebbe al veder riemergere
inevitabilmente le stesse divergenze, tale da rendere lo statuto
canonico più che precario, molto semplicemente invivibile.
Dunque, in fondo nulla è cambiato dopo questi due anni di colloqui teologici fra Roma e la Fraternità San Pio X.
Questi colloqui hanno permesso ai nostri
teologi di esporre chiaramente i punti principali del Concilio che
presentano delle difficoltà alla luce della Tradizione della Chiesa.
Parallelamente, e forse grazie a questi colloqui dottrinali, in questi
due ultimi anni altre voci si son fatte sentire oltre alle nostre, le
quali hanno formulato delle critiche sul Concilio che si riallacciano
alle nostre. Così, Mons. Brunero Gherardini, nel suo libro Concilio Vaticano II. Il discorso mancato,
ha insistito sui differenti gradi di autorità dei documenti conciliari e
sul “contro-spirito” che si è infiltrato nel Concilio Vaticano II fin
dall’inizio. Anche Mons. Athanasius Schneider ha avuto il coraggio di
chiedere, in occasione di un congresso a Roma della fine del 2010, un
Syllabus che condanni gli errori d’interpretazione del Concilio. Nello
stesso spirito, lo storico Roberto de Mattei ha mostrato chiaramente le
influenze contrarie esercitate sul Concilio, col suo libro Il Concilio Vaticano II. Una storia mai scritta.
Bisognerebbe citare anche la supplica rivolta a Benedetto XVI da quegli
intellettuali cattolici italiani che chiedono un esame approfondito del
Concilio.
Tutte queste iniziative, tutti questi
interventi, indicano chiaramente che la Fraternità San Pio X non è più
la sola a vedere i problemi dottrinali posti dal Vaticano II. Questo
movimento si estende e non si fermerà più.
Si, ma questi studi universitari, queste analisi dotte non apportano alcuna soluzione concreta ai problemi che il Concilio pone hic et nunc.
Questi lavori sollevano le difficoltà
dottrinali poste dal Vaticano II e dimostrano quindi perché l’adesione
al Concilio è problematica. Il che è un primo passo essenziale.
A Roma stessa, le interpretazioni
evolutive che si danno della libertà religiosa, le modifiche che sono
state apportate a questo proposito nel Catechismo della Chiesa Cattolica
e nel suo Compendio, le correzioni attualmente allo studio del Codice
di Diritto Canonico… esprimono la difficoltà che si incontra quando ci
si voglia attenere ai testi conciliari ad ogni costo, e dal nostro punto
di vista questo dimostra proprio l’impossibilità di aderire in maniera
stabile ad una dottrina in movimento.
Il Credo non è più sufficiente per essere riconosciuti come cattolici?
Ai suoi occhi, cos’è che oggi è stabile dottrinalmente?
La sola dottrina ne varietur è
in tutta evidenza il Credo, la professione di fede cattolica. Il
Concilio Vaticano II s’è voluto pastorale, non ha definito dei dogmi.
Non ha aggiunto agli articoli di fede: “credo nella libertà religiosa,
nell’ecumenismo, nella collegialità…”. Il Credo non sarebbe più
sufficiente, oggi, per essere riconosciuto come cattolico? Esso non
esprime più tutta la fede cattolica? Si esige oggi che coloro che
abbandonano i loro errori e si riuniscono alla Chiesa cattolica
professino la loro fede nella libertà religiosa, nell’ecumenismo o nella
collegialità? Per noi figli spirituali di Mons. Lefebvre, che ha sempre
evitato di costituire una Chiesa parallela e che ha voluto essere
sempre fedele alla Roma eterna, non v’è alcuna difficoltà ad aderire
pienamente a tutti gli articoli del Credo.
In questo contesto, si può avere una soluzione alla crisi nella Chiesa?
A meno di un miracolo, non può esserci
alcuna soluzione immediata. Per riprendere l’espressione di Santa
Giovanna d’Arco, pretendere che Dio doni la vittoria senza chiedere agli
uomini d’arme di dare battaglia, è una forma di diserzione. Volere la
fine della crisi senza sentirsi interessati o implicati significa non
amare davvero la Chiesa. La Provvidenza non ci dispensa dal compiere il
nostro dovere di stato là dove essa ci ha posto, dall’assumere le nostre
responsabilità e dal rispondere alle grazie che ci ha accordato.
La situazione presente della Chiesa, nei
nostri paesi un tempo cristiani, è la caduta drammatica delle
vocazioni: quattro ordinazioni a Parigi nel 2011, una sola nella diocesi
di Roma per il 2011-2012; è la rarefazione allarmante dei preti: come
quel curato nell’Aude che ha 80 chiese; si tratta di diocesi esangui al
punto che nel prossimo avvenire in Francia bisognerà raggrupparle come
sono già state raggruppate le parrocchie… In una parola, la gerarchia
ecclesiastica oggi è alla testa di strutture sovradimensionate per degli
effettivi in calo costante, cosa che è propriamente ingestibile e non
solo sul piano economico… Per darne un’idea, sarebbe come voler
mantenere attivo un convento concepito per 300 religiosi quando non ne
sono rimasti che 3. Tutto questo può continuare così ancora 10 anni?
Dei giovani vescovi e preti che
ereditano questa situazione prendono sempre più coscienza della
sterilità di 50 anni di apertura al mondo moderno. Non danno la colpa
unicamente alla laicizzazione della società, si interrogano sulle
responsabilità del Concilio che ha aperto la Chiesa a questo mondo in
piena secolarizzazione. Essi si chiedono se la Chiesa poteva adattarsi
fino a questo punto alla modernità, senza adottarne lo spirito.
Questi vescovi e questi preti si pongono
tali domande, e certuni le pongono a noi… discretamente, come Nicodemo.
Noi rispondiamo loro che è necessario sapere se di fronte a tale
penuria, la Tradizione cattolica è una semplice opzione o una soluzione
necessaria. Rispondere che è un’opzione significa minimizzare, cioè
negare la crisi nella Chiesa e volersi accontentare con misure che hanno
già dato prova della loro inefficacia.
L’opposizione dei vescovi
Ma
anche se la Fraternità San Pio X ottenesse da Roma uno statuto canonico,
non potrebbe offrire alcuna soluzione sul campo, malgrado tutto, poiché
i vescovi vi si opporrebbero, come hanno fatto col Motu Proprio sulla
Messa tradizionale.
Questa opposizione dei vescovi nei
confronti di Roma si è espressa in maniera sorda ma efficace riguardo al
Motu Proprio sulla Messa tridentina e continua a manifestarsi
ostinatamente da parte di certi vescovi a proposito del pro multis
del canone della Messa, che Benedetto XVI, conformemente alla dottrina
cattolica, vuole che si traduca con “per molti” e non con “per tutti”,
come nella maggior parte delle liturgie in lingua volgare. In effetti,
certe conferenze episcopali persistono nel mantenere questa falsa
traduzione, come recentemente in Italia.
Così è il Papa stesso che fa esperienza
di questa dissidenza di molte conferenze episcopali, su questo argomento
e su molti altri, e questo può permettergli di comprendere facilmente
l’opposizione feroce che la Fraternità San Pio X incontrerà
immancabilmente da parte dei vescovi nelle loro diocesi. Si dice che
Benedetto XVI desideri personalmente una soluzione canonica; occorrerà
anche che voglia usare i mezzi che la rendano realmente efficace.
Domandando queste preghiere, ho voluto
soprattutto che i sacerdoti e i fedeli fossero più intimamente uniti a
Nostro Signore e alla Sua Santa Madre, con la recitazione quotidiana e
la meditazione profonda dei misteri del Rosario. Noi non siamo in una
situazione ordinaria, che ci permetterebbe di accontentarci di una
mediocrità abitudinaria. La comprensione della crisi attuale non si
fonda sulle voci diffuse via internet, come le soluzioni non
scaturiscono dall’astuzia politica o dalla negoziazione diplomatica, su
questa crisi occorre avere uno sguardo di fede. Solo la frequentazione
assidua di Nostro Signore e della Madonna permetterà di conservare, tra
tutti i sacerdoti e i fedeli legati alla Tradizione, quella unità di
vedute che procura la fede soprannaturale. È così che faremo blocco in
questo periodo di grande confusione.
Pregando per la Chiesa, per la
consacrazione della Russia, come ha chiesto la Santa Vergine a Fatima, e
per il trionfo del Suo Cuore Immacolato, noi ci eleviamo al di sopra
delle nostre aspirazioni troppo umane, superiamo i nostri timori troppo
naturali. È solo a questa altezza che potremo veramente servire la
Chiesa, col compimento del dovere di stato affidato ad ognuno di noi.
Gli ultimi avvenimenti sopraggiunti ad
iniziativa del Papa Benedetto XVI, non fanno che confermare ancora oggi
la giustezza dei comportamenti adottati a suo tempo da Mons. Lefebvre di
fronte alle autorità ufficiali allora in carica. Poiché spesso il
magistero oggi non si esercita più in maniera normale e coerente, è
impossibile sottomettersi assolutamente alle sue direttive, come se
niente fosse.
Ci troviamo quindi obbligati a seguire il consiglio di San Paolo: «Non disprezzate le profezie, esaminate ogni cosa, tenete ciò che è buono. Astenetevi da ogni specie di male.»
(I Ts 5, 20-22). Ricordiamoci che l’obbedienza cieca – quella che non
guarda ai motivi per sottomettersi – esiste nella Chiesa solo molto
raramente. Infatti, ci si deve sottomettere senza condizioni
quando l’autorità papale impegna la sua infallibilità, come nelle
definizioni dogmatiche ex cathedra. L’ultima definizione di
questo tipo data del 1950, quando il Papa Pio XII dichiarò ciò che
bisogna credere dell’Assunzione della Santissima Vergine Maria. Da
allora non s’è prodotto niente di simile. È del tutto evidente, però,
che questo non significa che si debbano passare sistematicamente al
vaglio del pensiero personale tutti gli atti del Papa. Il libero esame
non è un criterio cattolico per raggiungere la verità, quindi non si
tratta di trarre il buono dal cattivo a proprio piacimento, facendo
riferimento alle proprie intuizioni o alle proprie idee personali,
significherebbe adottare la mentalità protestante. Non è questo che
bisogna fare e non è questo che facciamo.
1 - La più alta autorità, può venir meno? Se
il Papa è infallibile a certe condizioni, sicuramente non è impeccabile
in tutti i suoi atti. È possibile quindi che vi siano delle iniziative
cattive e molto perniciose dei papi, cosa che è certa ed è facile da
dimostrare. Anche resistere all’autorità non è in sé una cosa normale, e
tuttavia neanche questa è una cosa inedita. Nella Lettera ai Galati, 2,
11-14, leggiamo che l’Apostolo Paolo ha resistito nei confronti di
Pietro, per tre ragioni: «1- perché evidentemente aveva torto… 2- gli
altri Giudei lo imitarono… al punto che Barnaba si lasciò attirare nella
loro ipocrisia… 3 - non si comportavano rettamente secondo la verità
del Vangelo». Eppure Pietro era il capo incontestato tra gli Apostoli,
ma grazie al rimprovero pubblico del giovane convertito egli ha
riconosciuto umilmente il suo errore ed ha rettificato il suo
atteggiamento, cessando di «costringere i pagani a vivere alla maniera dei Giudei». Se Paolo avesse taciuto, tutta la Chiesa nascente sarebbe stata gravemente sovvertita dalle ambiguità di Pietro. Non andiamo oltre.
Riteniamo che la più alta autorità della Chiesa possa assumere delle
decisioni molto nocive: si è verificato qualche volta nel lontano
passato della Chiesa, ma molto più frequentemente a partire dal 1960.
Gli avvertimenti profetici di Fatima ci hanno predetto che in quegli
anni sarebbe sopraggiunta una grande crisi della fede: sta a noi
comprendere e saper giudicare l’albero dai suoi frutti.
2 - Che succede al Papa attuale? Per
quanto riguarda il Papa Benedetto XVI, egli ha appena compiuto, uno
dopo l’altro, almeno tre atti che hanno già una risonanza importante e
nefasta.
Il primo è costituito dalla pubblicazione del suo libro Luce del mondo.
Si tratta di un’intervista rilasciata al giornalista Peter Seewald. Le
dichiarazioni che Benedetto XVI fa a modo di conversazione, contengono
in effetti molte approssimazioni e falsità, non solo sulla dottrina e
la storia, ma anche sulla morale e su altri argomenti. Non
mi soffermerò su questo, ma questo scritto è molto ingannevole dal punto
di vista della forma e del contenuto. Gli errori e le approssimazioni
che vi si trovano non sono degne di uno studioso e del capo della
cattolicità. Se San Paolo ha usato nei confronti di Pietro il termine
ipocrisia, il libro intitolato Luce del mondo si colloca esattamente
sulla stessa linea, poiché è pieno di tenebre e troppo conforme allo
spirito del mondo: «Non conformatevi alla mentalità di questo secolo», dice San Paolo (Rm 12, 2). Adottare
uno stile mediaticamente corretto non impegna certo l’infallibilità del
magistero, ma unicamente la persona di Ratzinger. Cosa che non
impedisce che la maggioranza dei lettori non faccia la differenza e
prenda il tutto come l’insegnamento ufficiale della Santa Chiesa.
Il secondo è costituito dal suo desiderio di realizzare a ottobre un’Assisi III,
una riunione di tutte le religioni per pregare per la pace al fine di
celebrare il 25° anniversario di quel primo incontro voluto da Giovanni
Paolo II. Le due prime riunioni di Assisi sono, checché se ne dica, dei peccati molto gravi contro il primo comandamento: Non avrai altri dei di fronte a me (Es 20, 3), e molto scandalose in se stesse, cioè indipendentemente dalle intenzioni generose che animano gli autori. A questo proposito, ricordiamo due piccole cose. In
occasione di Assisi I (1986), delle chiese furono messe a disposizione
delle false religioni, per il loro culto, e un simulacro di Budda venne
posto sull’altare di una di esse. In occasione di Assisi II (2002),
per evitare le distorsioni scioccanti del 1986, vennero approntate delle
sale per i partigiani delle false religioni, ma preventivamente ci si
preoccupò di togliere i crocifissi per non mettere in imbarazzo i non
cristiani. Questi due atti (profanazione delle chiese con i falsi
culti e rimozione delle croci), ai quali se ne potrebbero aggiungere
molti altri, non sono insignificanti. Potrebbe Dio benedire tali cose? Gesù,
che ha scacciato i mercanti dal Tempio, potrebbe gradire che i falsi
dei vengano onorati nelle sue chiese e che i loro adoratori vi si
installino come i briganti nella caverna? Rimuovere le croci è
davvero il modo per richiamare l’apprezzamento di Colui che ha voluto
salvarci con la Sua Croce? E allora, si deve pensare che è insensato che
la Chiesa ci faccia cantare «O Crux ave, spes unica», «Salve, o Croce, speranza unica»? Per
di più, tali iniziative comportano delle conseguenze insidiose e
perverse per l’animo dei battezzati, i quali finiscono per adottare gli
stessi principi dei massoni: l’unione degli uomini al di là delle
religioni.
Il terzo è costituito dalla volontà di beatificare Giovanni Paolo II,
il Papa che ha lasciato scomunicare la Tradizione mentre si
diffondevano dappertutto le peggiori aberrazioni dottrinali e
liturgiche. Lo stesso Giovanni Paolo II che ha baciato il Corano e
perpetrato innumerevoli scandali di cui Assisi è senza dubbio il più
penoso e disastroso per le anime (si veda il libro di Don Leroux, Pietro, mi ami tu? - [disponibile presso i Priorati della FSSPX]).
3 – Come vedere chiaro quando le tenebre sommergono le guide religiose e queste diventano, secondo l’espressione del Vangelo: «ciechi che guidano altri ciechi» (Mt 15, 14). In modo particolare, due principi devono essere ripresi e devono servirci da faro in momenti come questi: «Ciò che era vero ieri non può essere falso oggi» e «Ciò
che è nuovo adesso, per essere legittimo e ricevibile, innanzi tutto
non deve opporsi al passato, ma deve assumerlo totalmente
perfezionandolo». Tra le altre cose, è in ragione di questi due
principi che noi rifiutiamo Assisi, la nuova Messa e molte delle riforme
dell’ultimo Concilio.
Assisi. La Chiesa si
è sempre opposta alle altre religioni (cristiane o non cristiane)
perché sono false. Essa le ha sempre combattute con la parola, con gli
scritti, con ogni sorta di coercizioni (scomunica degli eretici) e con
l’esempio dei Santi (i martiri d’Inghilterra del XVI secolo, uccisi solo
per la loro fedeltà a Roma). Talvolta, quando non c’erano altri mezzi
per proteggersi, le ha perfino combattute con le armi dei soldati
cristiani. Questa è la verità di ieri. Una riunione interreligiosa contraddice l’agire costante della Chiesa.
Essa può solo generare confusione negli spiriti, facendo credere che
possa esserci un’unione buona e costruttiva per mezzo e al di là delle
confessioni religiose. Qui si tratta del fatto, lo ribadiamo, che si
sono introdotti nella Chiesa i tipici principi massonici: libertà
religiosa, uguaglianza dei culti e fraternità, non nel battesimo e nella
fede, ma unicamente nella nostra comune umanità. Quanto a noi,
sappiamo che costruire la pace senza Cristo e la Sua Chiesa significa
voler edificare una torre fino al cielo senza l’intervento di Dio. Le
conseguenze sono note: si realizzerà l’inverso: la dispersione invece
dell’unione, la confusione e la guerra invece dell’intesa e della pace.
La nuova Messa. Che importa che la nuova Messa sia valida quando si sa che essa «rappresenta,
sia nel suo insieme come nei particolari, un impressionante
allontanamento dalla teologia cattolica della Santa Messa, quale fu
formulata nella Sessione XXII del Concilio Tridentino» (Breve esame critico del Novus Ordo Missae, presentato a Paolo VI dai cardinali Ottaviani e Bacci nel 1969). Per
chi ha compreso questo diventa impossibile assistervi, perché nessuno
può costringerci a cambiare la nostra fede o anche solo a diminuirla.
Ora, quand’anche la nuova Messa non cambiasse la fede (certe «messe»
festive e fantasiose lo fanno: come le messe clown o le messe danzanti),
quanto meno sminuisce
l’espressione della Presenza Reale, del Santo Sacrificio e soprattutto
della propiziazione, anche quando è ben celebrata da un prete pio e
serio. I cambiamenti della nuova Messa non assumono il passato
della Chiesa, non v’è una perfezione del rito antico, ma una
regressione nell’espressione della fede: dunque diventa perfettamente
legittimo resistervi.
4 – Non tutti i cambiamenti sono malvagi. Abbondano
gli esempi delle novità introdotte nella Chiesa, che sono legittime
perché perfezionano la dottrina o affinano la liturgia o la morale. I
termini usati dalla Chiesa, quali Consustanziale, Transustanziazione,
Immacolata Concezione, sono certo dei cambiamenti molto importanti
rispetto a ciò che li ha preceduti, ma essi rendono la dottrina di
sempre più intellegibile, così che i cristiani sono protetti contro gli
errori subdoli e il genio nefasto dell’eresia. Ecco perché non si
possono rifiutare questi tipi di cambiamento. Questi termini nuovi sono
dei puri prodotti che vengono dalla Tradizione, non si può più
escluderli senza diminuire l’espressione della fede: essi fanno ormai
parte del vocabolario cattolico. Sopprimere o diminuire l’espressione
della fede con delle espressioni nuove è cosa non permessa nella Chiesa
e nessuna autorità può costringere chicchessia ad adottare tali
cambiamenti. La forza giuridica è stata data ai capi, non per
distruggere, ma per edificare. Il criterio della Tradizione è dunque determinante quando si introducono delle novità nella Chiesa.
Quando il «magistero» attuale enuncia delle cose che offendono le
orecchie cattoliche, come ha fatto Benedetto XVI permettendo in certi
casi l’uso del preservativo (Luce del mondo, pp. 170-171 dell'edizione italiana), non si può pensare con facilità che in questo caso Dio ci parla per bocca del successore di Pietro.
Soprattutto quando altri papi si sono espressi sull’argomento in linea
con la Tradizione e in maniera molto chiara e definitiva: «Niente può
trasformare un’azione intrinsecamente immorale in un atto lecito», Pio
XII.
5 – Attitudine pratica da adottare di fronte agli errori e alle ambiguità dei capi religiosi. Di
fronte agli orientamenti aberranti sempre più ripetuti della Gerarchia,
che in questo si ispira sempre all’ultimo Concilio, Mons. Lefebvre ha
dato a suo tempo alcune regole di condotta per i fedeli, al fine di non
farli incappare in una obbedienza mal compresa.
Prima regola: Laddove diventa
evidente che vi è una rottura con la Tradizione, non bisogna seguirla,
anche se la più alta autorità nella Chiesa sembra volerci obbligare. Il tempo ha finito sempre col dar ragione a coloro che hanno adottano questa regola. È il caso della Messa. Il
papa Paolo VI ha insistito con forza e a più riprese perché la sua
nuova Messa rimpiazzasse l’antica. Quest’ultima doveva sparire
assolutamente. Dei sacerdoti sono stati cacciati dalle loro parrocchie
perché, in coscienza, non potevano celebrare il nuovo rito imposto,
senza peccare. Anche dei religiosi e delle religiose hanno dovuto
lasciare i loro conventi per non assistere a questa Messa, che faceva
loro perdere lo spirito dei loro statuti. In effetti, la volontà di
Paolo VI era ben reale e forte, senza riguardo per i recalcitranti, ma
era anche una volontà capricciosa, essenzialmente basata sull’ecumenismo
e sull’unione con i protestanti. Perché l’ordine fosse ricevibile e si
potesse dire: «Roma ha parlato, la causa è finita», sarebbe stato
necessario un fondamento dottrinale e giuridico solido, in coerenza col
passato. Ma non fu così. Ecco perché Benedetto XVI, nel 2007, ha
potuto dire quasi il contrario di Paolo VI: la Messa di San Pio V non è
mai stata abrogata (in tutta legittimità): ogni sacerdote può continuare
a celebrarla senza permesso speciale del suo vescovo (Motu Proprio del
7.7.2007).
Seconda regola: Laddove vi fosse
ambiguità occorre interpretare nel senso della Tradizione e combattere
il senso contrario, cioè il senso che favorisce la novità modernista.
Terza regola: Laddove vi è continuità con la Tradizione occorre semplicemente sottomettersi. L’espressione «Roma ha parlato, la causa è finita»
è valida solo se Roma parla chiaramente, con autorità, in conformità
con la Tradizione e lo spirito di santità della Chiesa, e non per
imporre degli orientamenti totalmente nuovi, come delle riunioni
interreligiose o una liturgia ecumenica.
6 – Il segno della fedeltà alla Chiesa San Pio X ha detto: «i veri amici del popolo non sono né rivoluzionari né novatori, ma tradizionalisti».
Questa piccola frase che conclude la condanna del Sillon (movimento del
cattolico liberale Marc Sangnier) esprime anche tutto lo spirito che
deve animarci nella lotta contro il modernismo e lo spirito uscito del
Concilio. Nella Chiesa conciliare, il vero e il falso, il bene e il
male, l’utile e il pericoloso, sono talmente mescolati che non bisogna
esitare ad allontanarne tutti i cattolici ancora dotati di un po’ di
buon senso. Certo, bisogna farlo con intelligenza e con tutto il tempo
necessario per mostrar loro i principi pericolosi che si nascondono
sotto apparenze ingannevoli; occorre farlo con bontà, delicatezza, e non
per ostentare superiorità o per il perfido piacere di aver ragione
contro gli altri. Ma per chi conosce bene la Chiesa e il suo spirito,
l’obiettivo è chiaro: è necessario allontanare le anime da ogni
influenza nefasta che indebolisce insensibilmente la fede e fa compiere
atti contrari allo spirito della fede. Se San Pio X oppose i
tradizionalisti ai rivoluzionari e novatori, è perché tra i nemici della
religione ve ne sono di quelli più estremisti degli altri. I
rivoluzionari, di per sé, sono peggiori dei novatori, ma i novatori si
accordano con i rivoluzionari per opporsi ai tradizionalisti. È una cosa
riscontrabile. Diciamo che tra loro vi è una differenza di passo, ma si muovo entrambi verso la realizzazione dello stesso scopo. I
rivoluzionari vogliono sconvolgere tutto radicalmente e subito:
capovolgere la costituzione divina della Chiesa per farne una specie di
democrazia in cui il potere supremo non è più quello del solo papa, ma
di un gruppo (la collegialità); abolire il celibato ecclesiastico; dare
la comunione ai divorziati risposati; permettere l’aborto e la
contraccezione; legittimare l’omosessualità; affermare l’uguaglianza
delle religioni e la salvezza tramite tutte le confessioni; esaltare
l’assoluta necessità della laicità dello Stato; ecc. I novatori non
saranno così oltranzisti nelle loro rivendicazioni, conserveranno una
coloritura e una pietà più conformi allo spirito della Chiesa, tali che
senza essere dei feroci partigiani dello sconvolgimento si mostreranno
molto aperti a tutto ciò che è nuovo. Vedranno il celibato
ecclesiastico, diciamo così, come una sorta di via ideale riservata ad
un piccolo numero, ma senza considerarlo un ostacolo al matrimonio di
quei preti che lo desiderano. Diranno che le donne non possono (ancora)
accedere al sacerdozio, ma potranno fare le letture, distribuire la
comunione, mentre le ragazze potranno fare le chierichette. Saranno
contro la contraccezione, certo, ma in casi estremi questa può essere
una via verso una maggiore moralizzazione. La comunione dei divorziati
risposati normalmente non è possibile, ma talvolta occorrerà giudicare
caso per caso e autorizzarla senza clamore, discretamente. Quanto allo
Stato, non è ragionevole che esso favorisca una religione piuttosto che
un’altra, occorre dunque una laicità positiva che equilibri tutto dando
la libertà a tutti. A passi felpati, questi novatori metteranno
sottosopra tutta la Tradizione al pari dei rivoluzionari, ma con un
decorso più lungo e meglio ammantato di un rivestimento che conservi
un’apparenza tradizionale presentabile. «Se cerco di piacere al mondo, non sono più un servitore di Cristo»
diceva San Paolo. Questo avvertimento è severo e valido per tutti
coloro che hanno una missione per l’edificazione nella Chiesa.
7 –
Vi saranno, al di fuori della Fraternità San Pio X, degli imitatori di
San Paolo per resistere di fronte a Pietro a proposito di Assisi? È poco probabile. Oggi
i vescovi, non cercano più, come ha fatto San Paolo, di discernere se
un atto del Papa è conforme o meno al Vangelo. Essi sono diventati per
lo più degli esecutori preoccupati unicamente di rispettare le regole
del governo, che sono fondate sui falsi principi della libertà
religiosa, dell’ecumenismo o della collegialità, e non guardano al di
là. Se una qualche categoria di cattolici (i tradizionalisti) non
rientra negli schemi attuali della legalità, i vescovi, senza esaminare
ciò che dicono, come dei funzionari senz’anima, si dimostreranno
intrattabili nei suoi confronti. Questi buoni amministratori che hanno
in continuazione il dialogo sulle labbra, in questo caso diventano sordi
agli argomenti di coloro che sono legati alla fede. Hanno un solo
principio da far valere: non siete nella struttura legale della Chiesa
conciliare. A quel punto la loro coscienza è perfettamente tranquilla e i
loro atti più inumani non li turbano più. Essi fanno ciò che comanda
loro la disciplina in vigore e non si sentono responsabili davanti a Dio
delle più evidenti ingiustizie. Domani cambieranno, forse. Non
assomigliano pressappoco a quei medici che praticano l’aborto a tutta
forza con la coscienza del tutto tranquilla? Se questi ultimi uccidono
senza scrupolo è perché la legge del momento lo permette e perfino
l’incoraggia: quindi non può essere un male. Ma quando la legge dirà
loro: «fermatevi, è male!», si fermeranno e forse si porranno il
problema. Che ricordino, i vescovi: come vi è nella società civile un
legalismo che si oppone alla legge naturale e che cerca di distruggerla,
così vi è nella società religiosa uscita dal Concilio un legalismo che
si oppone alla legge del Vangelo e che con le sue novità principali
distrugge insidiosamente la fede naturale dei fedeli. Per coloro che
hanno capito questo, vi è una sola attitudine coerente: non fidarsi di
questa legalità illegittima e difendere coraggiosamente la fede.
In tal modo, conservare una posizione
«canonicamente corretta» che restringe la confessione di fede significa
fare più o meno del modernismo.
Non si può nascondere o negare che talvolta vi è un grave dovere di opposizione contro gli scandali perpetrati della Gerarchia.
Don Pierre Berrère, Priore del Priorato San Francesco Regis, Francia, della Fraternità San Pio X. L'articolo è stato pubblicato sul n° 226, febbraio 2011, del giornale “Sainte Anne” .
(Testo diffuso da La Porte Latine, sito della Fraternità in Francia e tradotto da Unavox)