Amoris laetitia: prime riflessioni
Pubblichiamo questo articolo del Prof.
De Mattei sulla terribile allocuzione Apostolica di Papa Francesco che,
proponendo una morale a geometria variabile non più fondata sui
principi, ne distrugge i fondamenti e, da norma oggettiva e faro di luce
che deve illuminare l’agire degli uomini, la trasforma, adeguandola ai
tempi ed ai costumi.
L’insegnamento di sempre della Chiesa sul matrimonio, fondato sulla legge naturale e divina, non può cambiare e, contrariamente a ciò che si afferma nel testo, il «valorizzare gli elementi costruttivi in quelle situazioni che non corrispondono ancora o non più al suo insegnamento sul matrimonio» (§292) significa rassicurare il peccatore nel suo peccato invece di spingerlo alla penitenza. Si manca così gravemente alla carità in nome di una falsa misericordia.
L’insegnamento di sempre della Chiesa sul matrimonio, fondato sulla legge naturale e divina, non può cambiare e, contrariamente a ciò che si afferma nel testo, il «valorizzare gli elementi costruttivi in quelle situazioni che non corrispondono ancora o non più al suo insegnamento sul matrimonio» (§292) significa rassicurare il peccatore nel suo peccato invece di spingerlo alla penitenza. Si manca così gravemente alla carità in nome di una falsa misericordia.
La redazione
L’Esortazione post-sinodale Amoris laetitia:
prime riflessioni su un documento catastrofico
di Roberto de Mattei
Con l’Esortazione apostolica post-sinodale Amoris laetitia,
pubblicata l’8 aprile, Papa Francesco si è ufficialmente pronunciato
sui problemi di morale coniugale di cui si discute da due anni.
Nel Concistoro del 20-21 febbraio 2014
Francesco aveva affidato al cardinale Kasper il compito di introdurre il
dibattito su questo tema. La tesi del card. Kasper, secondo cui la
Chiesa deve cambiare la sua prassi matrimoniale, ha costituito il leit motiv dei due Sinodi sulla famiglia del 2014 e del 2015 e costituisce oggi il cardine dell’esortazione di Papa Francesco.
Nel corso di questi due anni, illustri
cardinali, vescovi, teologi e filosofi sono intervenuti nel dibattito
per dimostrare che tra la dottrina e la prassi della Chiesa deve
esistere un’intima coerenza. La pastorale infatti si fonda sulla
dottrina dogmatica e morale. «Non vi può essere pastorale che sia in
disarmonia con le verità della Chiesa e con la sua morale, e in
contrasto con le sue leggi, e non sia orientata al raggiungimento
dell’ideale della vita cristiana!» ha rilevato il cardinale Velasio De Paolis, nella sua Prolusione
al Tribunale Ecclesiastico Umbro del 27 marzo 2014. L’idea di staccare
il Magistero da una prassi pastorale, che potrebbe evolvere secondo le
circostanze, le mode e le passioni, secondo il cardinale Sarah, «è una forma di eresia, una pericolosa patologia schizofrenica» (La Stampa, 24 febbraio 2015).
Nelle settimane che hanno preceduto
l’Esortazione post-sinodale, si sono moltiplicati gli interventi
pubblici e privati di cardinali e vescovi presso il Papa, al fine di
scongiurare la promulgazione di un documento zeppo di errori, rilevati
dai numerosissimi emendamenti che la Congregazione per la Dottrina dalla
Fede ha fatto alla bozza. Francesco non è arretrato, ma sembra aver
affidato l’ultima riscrittura dell’Esortazione, o almeno di alcuni suoi
passaggi chiave, alle mani di teologi di sua fiducia, che hanno tentato
di reinterpretare san Tommaso alla luce della dialettica hegeliana. Ne è
uscito un testo che non è ambiguo, ma chiaro, nella sua
indeterminatezza. La teologia della prassi esclude infatti ogni
affermazione dottrinale, lasciando che sia la storia a tracciare la
linee di condotta degli atti umani. Per questo, come afferma Francesco, «è comprensibile» che, sul tema cruciale dei divorziati risposati, «(…)
non ci si dovesse aspettare dal Sinodo o da questa Esortazione una
nuova normativa generale di tipo canonico, applicabile a tutti i casi»
(§300). Se si è convinti che i cristiani, nel loro comportamento, non
devono conformarsi a princìpi assoluti, ma porsi in ascolto dei «segni dei tempi», sarebbe contradditorio formulare regole di qualsiasi genere.
Tutti aspettavano la risposta a una
domanda di fondo: coloro che, dopo un primo matrimonio, si risposano
civilmente, possono accostarsi al sacramento dell’Eucarestia? A questa
domanda la Chiesa ha sempre risposto categoricamente di no. I divorziati
risposati non possono ricevere la comunione perché la loro condizione
di vita contraddice oggettivamente la verità naturale e cristiana sul
matrimonio significata e attuata dall’Eucaristia (Familiaris Consortio, § 84).
La risposta dell’Esortazione postsinodale è invece: in linea generale no, ma «in certi casi» sì (§305, nota 351). I divorziati risposati infatti devono essere «integrati» e non esclusi (§299). La loro integrazione «può
esprimersi in diversi servizi ecclesiali: occorre perciò discernere
quali delle diverse forme di esclusione attualmente praticate in ambito
liturgico, pastorale, educativo e istituzionale possano essere superate» (§ 299), senza escludere la disciplina sacramentale (§ 336).
Il dato di fatto è questo: la
proibizione di accostarsi alla comunione per i divorziati risposati non è
più assoluta. Il Papa non autorizza, come regola generale, la comunione
ai divorziati, ma neanche la proibisce. «Qui – aveva sottolineato il card. Caffarra contro Kasper – si
tocca la dottrina. Inevitabilmente. Si può anche dire che non lo si fa,
ma lo si fa. Non solo. Si introduce una consuetudine che a lungo andare
determina questa idea nel popolo non solo cristiano: non esiste nessun
matrimonio assolutamente indissolubile. E questo è certamente contro la
volontà del Signore. Non c’è dubbio alcuno su questo» (Intervista a Il Foglio, 15 marzo 2014).
Per la teologia della prassi non contano
le regole, ma i casi concreti. E ciò che non è possibile in astratto, è
possibile in concreto. Ma, come bene ha osservato il cardinale Burke: «Se
la Chiesa permettesse la ricezione dei sacramenti (anche in un solo
caso) a una persona che si trova in un’unione irregolare,
significherebbe che o il matrimonio non è indissolubile e così la
persona non sta vivendo in uno stato di adulterio, o che la santa
comunione non è comunione nel corpo e sangue di Cristo, che invece
necessita la retta disposizione della persona, cioè il pentimento di
grave peccato e la ferma risoluzione di non peccare più» (Intervista ad Alessandro Gnocchi su Il Foglio, 14 ottobre 2014).
Inoltre l’eccezione è destinata a diventare una regola, perché il criterio dell’accesso alla comunione è lasciato in Amoris laetitia, al “discernimento personale” dei singoli. Il discernimento avviene attraverso «il colloquio col sacerdote, in foro interno» (§300), “caso per caso”. Ma quali saranno i pastori di anime che oseranno vietare l’accesso all’Eucarestia, se «il Vangelo stesso ci richiede di non giudicare e di non condannare» (§308) e se bisogna «integrare tutti» (§297), e «valorizzare
gli elementi costruttivi in quelle situazioni che non corrispondono
ancora o non più al suo insegnamento sul matrimonio» (§292)? I
pastori che volessero richiamare i comandamenti della Chiesa,
rischierebbero di comportarsi, secondo l’Esortazione, «come controllori della grazia e non come facilitatori» (§310). «Pertanto,
un Pastore non può sentirsi soddisfatto solo applicando leggi morali a
coloro che vivono in situazioni “irregolari”, come se fossero pietre che
si lanciano contro la vita delle persone. È il caso dei cuori chiusi,
che spesso si nascondono perfino dietro gli insegnamenti della Chiesa
“per sedersi sulla cattedra di Mosè e giudicare, qualche volta con
superiorità e superficialità, i casi difficili e le famiglie ferite”» (§305).
Questo inedito linguaggio, più duro
della durezza di cuore che rimprovera ai “controllori della grazia”, è
il tratto distintivo dell’Amoris laetitia che, non a caso, nella conferenza stampa dell’8 aprile, il cardinale Schönborn ha definito «un evento linguistico». «La mia grande gioia per questo documento», ha detto il cardinale di Vienna, sta nel fatto che esso «coerentemente supera l’artificiosa, esteriore, netta divisione fra regolare e irregolare». Il linguaggio, come sempre, esprime un contenuto. Le situazioni che l’Esortazione post-sinodale definisce «cosiddette irregolari» sono quelle dell’adulterio pubblico e delle convivenze extramatrimoniali. Per la Amoris laetitia esse realizzano l’ideale del matrimonio cristiano, sia pure «in modo parziale e analogo» (§292). «A
causa dei condizionamenti o dei fattori attenuanti, è possibile che,
entro una situazione oggettiva di peccato – che non sia soggettivamente
colpevole o che non lo sia in modo pieno – si possa vivere in grazia di
Dio, si possa amare, e si possa anche crescere nella vita di grazia e di
carità, ricevendo a tale scopo l’aiuto della Chiesa» (§305), «in certi casi, potrebbe essere anche l’aiuto dei Sacramenti» (nota 351).
Secondo la morale cattolica, le
circostanze, che costituiscono il contesto in cui si svolge l’azione non
possono modificare la qualità morale degli atti, rendendo buona e
giusta un’azione intrinsecamente cattiva. Ma la dottrina degli assoluti
morali e dell’intrinsece malum è vanificata dalla Amoris laetitia, che si uniforma alla “nuova morale” condannata da Pio XII in numerosi documenti e da Giovanni Paolo II nella Veritatis Splendor.
La morale della situazione lascia alle circostanze e, in ultima
analisi, alla coscienza soggettiva dell’uomo, la determinazione di ciò
che è bene e ciò che è male. L’unione sessuale extraconiugale non è
considerata intrinsecamente illecita, ma, in quanto atto di amore,
valutabile secondo le circostanze. Più in generale non esiste il male in
sé così come non esiste peccato grave o mortale. L’equiparazione tra
persone in stato di grazia (situazioni “regolari”) e persone in stato di
peccato permanente (situazioni “irregolari”) non è solo linguistica: ad
essa sembra soggiacere la teoria luterana dell’uomo simul iustus et peccator, condannata dal Decreto sulla giustificazione del Concilio di Trento (Denz-H, nn. 1551-1583).
L’Esortazione post-sinodale Amoris laetitia,
è molto peggiore della relazione del card. Kasper, contro cui sono
state giustamente rivolte tante critiche in libri, articoli, interviste.
Il card. Kasper aveva posto alcune domande; l’Esortazione Amoris laetitia,
offre la risposta: apre la porta ai divorziati risposati, canonizza la
morale della situazione e avvia un processo di normalizzazione di tutte
le convivenze more uxorio.
Considerato che il nuovo documento
appartiene al Magistero ordinario non infallibile, c’è da augurarsi che
sia oggetto di un’analisi critica approfondita, da parte di teologi e
Pastori della Chiesa, senza illudersi di poter applicare ad esso
l’“ermeneutica della continuità”.
Se il testo è catastrofico, più catastrofico ancora è il fatto che
sia stato firmato dal Vicario di Cristo. Ma per chi ama Cristo e la sua
Chiesa, questa è una buona ragione per parlare, non per tacere.
Facciamo nostre dunque le parole di un vescovo coraggioso, mons.
Atanasio Schneider: «“Non possumus!”. Io non accetterò un discorso
nebuloso né una porta secondaria abilmente occultata per profanare il
Sacramento del Matrimonio e dell’Eucaristia. Allo stesso modo, non
accetterò che ci si prenda gioco del sesto Comandamento di Dio.
Preferisco esser io ridicolizzato e perseguitato piuttosto che accettare
testi ambigui e metodi non sinceri. Preferisco la cristallina “immagine
di Cristo Verità all’immagine della volpe ornata con pietre preziose”
(S. Ireneo), perché “conosco ciò in cui ho creduto”, “Scio cui credidi”»
(II Tm 1, 12)»
Fonte: Corrispondenza romana
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