Da “Divinitas”
Rivista Internazionale di ricerca e di critica teologica
anno LIII, Nova Series, 1-2-3 2010
CAP. VII TRADIZIONE E POSTCONCILIO
2 - La Fraternità di san Pio X
2 - La Fraternità di san Pio X - Si tratta d'un'istituzione
talmente legata al valore della Tradizione, che il tacerne in un'opera come la
presente sarebbe una colpevole "negligenza". La "diligenza"
che ne parla, ovviamente, né comporta né significa lo schierarsi a suo favore.
Anche per me essa rimane quello che è e quale la volle il suo fondatore, il ben
noto Vescovo Marcel Lefebvre: una pubblica contestazione di quasi tutte le
innovazioni del Vaticano II, un inquadramento irriducibile nei ranghi della
Tradizione apostolica a difesa di essa, un'espressione di sensibilità cattolica
non solo in netta dissonanza con la Chiesa cattolica ufficiale, ma da questa,
almeno fin ad oggi, dichiarata priva di giurisdizione e d'ogni riconoscimento
giuridico all'interno della Chiesa.
Così s'espresse il decreto della Congregazione dei Vescovi in data
21 gennaio 2009, con il quale S. S. Benedetto XVI rimosse la scomunica lanciata
dal suo predecessore nel 1988 contro quattro membri della detta Fraternità, ai
quali Mons. Lefebvre aveva conferito la consacrazione episcopale contro la
volontà della Santa Sede.
Così il 4 febbraio del 2009 aveva precisato una nota della Segreteria
di Stato: nessun riconoscimento giuridico.
E così lo stesso Pontefice Benedetto XVI ripeté nella lettera del
10 marzo 2009 ai vescovi della Chiesa cattolica [63], spiegando le
ragioni dottrinali che stanno alla base sia del suo provvedimento di clemenza,
sia della situazione disciplinare che il detto provvedimento non aveva
minimamente cambiato. Bisogna distinguere, diceva il Papa, "il livello
disciplinare da quello dottrinale", poiché da questo dipende se la
Fraternità non ha una posizione canonica nella Chiesa e non può, quindi,
legittimamente esercitare nessun ministero ecclesiastico. In altri termini,
perché la Fraternità san Pio X sia a tutti gli effetti Chiesa cattolica,
occorre il ripristino della sua piena comunione con essa. Se poi la mancanza d'un
tale ripristino avesse per effetto il persistere della Fraternità in quello
stato di "scisma" che qualcuno collega con l'illegittima ordinazione
del 1988, allora si potrebbe pensare che tutt'i preti ordinati dai quattro
vescovi ora sollevati dalla scomunica son a loro volta non scomunicati ma
illecitamente ordinati e forse anche sospesi "a divinis". Più
ingarbugliata di così la situazione non potrebb'essere.
2.1 - Una delle ragioni per le quali la situazione è e rimane
ingarbugliata fu messa in evidenza da Giovanni Paolo II nel documento con cui
scomunicava Mons. Lefebvre: il "motuproprio" Ecclesia Dei afflicta
che, al § 4, diceva: alla base di "quest'atto scismatico" sta
"una nozione incompleta e contraddittoria di Tradizione...che non tiene
nel debito conto il carattere vivente della Tradizione"[64] .
Dunque, qui il papa stesso parlò di scisma e riportò tutto al comun
denominatore della Tradizione vivente. Il giudizio non poteva esser più
pesante. Né con esso si concorse a far un po' di chiarezza.
Per documentare quale sia il vero concetto di Tradizione al quale
S. E. Mons. Lefebvre legò la sua Fraternità, bisognerà spender qualche breve
parola su di essa. Il suo scopo principale, secondo i suoi statuti del 1970, è
la formazione sacerdotale; non a caso nacque in quell'anno ad Ecône, la
località svizzera che dette il nome al primo e più famoso seminario della
Fraternità[65]. I seminari si son poi moltiplicati in tutt'il mondo e
dovunque all'insegna d'un'unica e medesima linea: "le sacerdoce et tout ce
qui s'y rapporte".
Non pochi hanno interpretato codeste parole com'espressione
d'integrismo. La Fraternità, a sua volta, considera "ingiuriosa" una
tale interpretazione[66]. Quasi ignorando l'ingiuria, la Fraternità
continua l'opera formativa dei suoi candidati al sacerdozio richiedendone
effettivamente l'adesione a tutta la dottrina e alla prassi liturgica in vigore
prima del Vaticano II[67]. Una tale adesione, se per un verso comporta
una costante ed esclusiva dipendenza della Fraternità san Pio X dalla secolare
Tradizione della Chiesa, per un altro è un no deciso ed irrevocabile alle
innovazioni introdotte dal Vaticano II, o in nome di esso, e giustificate dal
loro inquadramento nella tradizione c. d. vivente. Pertanto, quando papa
Giovanni Paolo II contrappone alla tradizione vivente "la nozione
incompleta e contraddittoria di tradizione" della Fraternità san Pio X,
non condanna come anticonciliare soltanto la Fraternità, ma anche la Tradizione
cui essa s'ispira. Il che è già grave. Non meno dello "scisma"
lamentato e condannato. Ma più grave ancora è la voragine scavata all'interno
della Chiesa dalla pretesa d'imporre a tutti un Concilio che non fu e non volle
esser magisteriale e che di fatto, in forma non magisteriale, pose le premesse
d'alcuni sganciamenti dal magistero tradizionale - la cosa solleva non poca
meraviglia, perché in più d'un contesto il Vaticano II dichiara di collegarsi
con la Tradizione di sempre nell'atto stesso di proclamar innovazioni inconciliabili
con tale
Tradizione -. Per quanto mi riguarda, son certo che se si fosse
evitata una tale radicalizzazione e si fosse promossa non la superficiale ed
acritica celebrazione del Vaticano II, ma un'approfondita analisi storica,
esegetica, teologica, liturgica, canonica dei suoi documenti, non ci sarebbero
state le divisioni che ci sono state e forse una pattuglia così compatta com'è
la Fraternità san Pio X avrebbe potuto esser un coefficiente di crescita
ecclesiale nella verità e nella comunione. Invece!
2.2 - Invece la voragine è sotto gli occhi di tutti e ci si chiede
come uscirne. Per uscirne, occorre conoscerne le cause. La Tradizione, che i
figli di Lefebvre avrebbero "incompleta e contraddittoria", è una di
esse. Cerchiamo di capirci qualcosa.
Introducendo una nuova edizione degli statuti da lui stesso
redatti per la sua Fraternità, Mons. Lefebvre il 20 marzo 1990 collegò la sua
opera, in quanto "oeuvre de restauration du sacerdoce catholique" e
per questo "oeuvre d'Eglise", ad un disegno della divina Provvidenza
"afin de préserver les trésors que Jésus-Christ a confiés à son Eglise, la
foi dans son intégrité, la grâce divine par son Sacrifice et ses sacrements, et
les pasteurs destinés de ces trésors de vie divine"[68]. Se si
tenti d'inglobare le finalità sopra descritte in una sola parola, l'unica che
faccia al caso è "Tradizione".
In effetti, soltanto nella Tradizione l'opera sopra indicata può
esser "un'opera della Chiesa", capace di restaurar "il
sacerdozio cattolico" in conformità al suo statuto ontologico, che una
concezione sociologica avrebbe fatalmente compromesso, e di ripristinare l'
"integrità della Fede", le fonti della grazia - Sacrificio
eucaristico e sacramenti - e l'autentico governo della Chiesa secondo la sua
triplice competenza dottrinale, santificatrice e disciplinare. Una Tradizione,
però, capace di codesta triplice finalità si trova, nel giudizio di Mons.
Lefebvre, contraddetta se non anche annullata dal no oppostole dal Vaticano II
e dal postconcilio. Contro un no che s'ammanta di validità conciliare,
l'anziano ma indomito presule formulò a nome di tutta la sua Fraternità il suo
Credo: "Nous adhérons de tout coeur, de toute notre âme à la Rome
catholique, gardienne de la foi catholique et des traditions nécessaires au
maintien de cette foi...Nous refusons par contre...de suivre la Rome de
tendence néo-moderniste et néo-protestante qui s'est manifestée clairement dans
le concile Vatican II et après le concile dans les réformes qui en sont
issues"[69].
Evidente, in questo giudizio, il contrapporsi di due
"Rome": quella cattolica e quella neomodernista e neoprotestante.
Chiedo: perché neomodernista e neoprotestante? La risposta rimbalza immediata
di libro in libro e di dichiarazione in dichiarazione: perché l'autentico volto
della Chiesa di Cristo è stato sfigurato da un "grande tradimento":
la resa a discrezione nelle mani del liberalismo tante volte condannato ed ora
purtroppo impalmato in un diabolico connubio.
Non è la prima volta che si sente parlare di cattolicesimo liberale;
tutta la seconda metà del diciannovesimo secolo n'è piena. Oggi, il connubio
fra il diavolo e l'acqua santa s'è rinnovato. A dispetto di tutta la
Tradizione, nel giudizio della Fraternità, Concilio e postconcilio avrebbero
snaturato l'in-sé della Rivelazione cristiana e della Chiesa che l'ha in
custodia, integrando l'una e l'altra nella realtà mondana, nella sua cultura,
nelle sue lotte, nelle sue aspirazioni, nelle sue conquiste. In breve:
facendone un'espressione dell'ideale liberale[70]. Lefebvre n'era
amaramente convinto.
E' pertanto opportuno che ci si chieda che cosa intendesse per
liberalismo.
a) Un papa su tutti s'impone come una diga contro il dilagare
limaccioso e mortifero dell'idea liberale: il beato Pio IX. Discorsi
occasionali, encicliche, Sillabo: è un discorso univoco, nell'intento di
bloccare l' "onda anomala" del liberalismo cattolico,
dal quale Pio IX vede travolti anche i buoni, ammaliati ormai da
un fascinoso ideale d'indipendenza, di progresso e di civiltà che troverebbe un
ostacolo insormontabile nella Tradizione della Chiesa. Una tale Tradizione
sarebbe, infatti, fissismo assoluto, intolleranza e confusione intellettuale,
là dove il liberalismo cattolico sarebbe esattamente il contrario: apertura
ideologica, tolleranza e libertà religiosa, compresenza d'idee e di fedi. Se
entro certi limiti, naturali e soprannaturali, il riconoscimento d'alcuni
diritti alle minoranze politico-religiose è un dovere di coscienza, di carità e
di prudenza, il porsi in qualunque modo contro la prospettiva evangelica
dell'universale salvezza (At 13,47), il rifiuto teorico-pratico dell'
"unum ovile et unus pastor" (Gv 10,16) dà ragione a chi definì il
liberalismo un peccato[71] con stravolgimento dell'ordine delle cose,
dei concetti, della verità: di quella naturale e di quella soprannaturale.
Considerato nel cattolico, il liberalismo assume, a detta di L. Billot,
"una sola nota caratteristica: quella della perfetta ed assoluta
incoerenza"[72].
b) Mons. Lefebvre individua una tale incoerenza nel mancato rispetto
della Tradizione, al cui posto il cattolico liberale pone la filosofia
relativista della mobilità e del divenire, il soggettivismo o indipendenza
dell'intelligenza dal suo oggetto, della volontà dall'intelligenza, della
coscienza dalla legge, dell'anarchismo dal primato della ragione, del corpo
dall'anima, del presente dal passato, dell'individuo dalla società, "d'ou
le mépris de la tradition"[73].
Sul piano soprannaturale, poi, Lefebvre rileva che il liberalismo
oppone alla Fede, alla scienza della Fede, al Magistero e alla sua Tradizione
il razionalismo, il naturalismo, il laicismo e l'indifferentismo[74]; e
che, tutto giustificando come fedeltà allo "spirito" del Vaticano II,
o più esattamente alla sua ispirazione pastorale, il liberalismo gli sacrifica
lo "spirito missionario", affogandolo nel "mare magnum"
della ricerca e del dialogo, esaltando i valori delle altre religioni e
consegnandosi praticamente al deprecato sincretismo religioso[75].
Infine, per dimostrare quanto lo "spirito" del Concilio si sia
allontanato dalla vera e duratura Tradizione, mette a confronto alcuni
enunciati che s'elidon a vicenda, traendoli dalla Quanta cura del beato Pio IX
e dai documenti del Vaticano II: dov'era risuonato il no del preveggente Pio IX
risuona oggi il si dei documenti conciliari. Lo stridore delle due antitetiche
posizioni è tale che perfino un Congar l'avvertì e ne tentò maldestramente la
composizione[76]; qualcun altro, nella riconciliazione della Chiesa col
mondo e coi diritti dell'uomo proclamati dalla rivoluzione francese, vide
addirITTURA UN “Antisillabo [77]
Non si pensi a frasi sporadiche ed isolate: le ritrovo in altre
pubblicazioni di Mons. Lefebvre, p. es. in Homélies: Eté chaud, ed.
Saint-Gabriel, Martigny 1976; Le coup de maître de Satan: Ecône face à la
persécution, ed. Saint-Gabriel, Martigny 1977; J'accuse le Concile, ed.
Saint-Gabriel, Martigny 1976; ed inoltre una serie lunghissima di discorsi e di
prediche.
c) Tentando ora una sintesi delle posizioni difese dall'Ecc.mo
Mons. Lefebvre a favore della Tradizione, e senz'alcuna pretesa d'esaurirne il
discorso, a me pare che l'urto si stabilisca tra:
- una formazione sacerdotale che affonda i suoi principi nella
Tradizione ecclesiastica e nei valori soprannaturali della divina Rivelazione;
ed una formazione sacerdotale aperta al cangiante orizzonte della cultura in
perenne divenire;
- una liturgia che ha certamente un punto di forza nella c. d.
Messa tradizionale, passando però dalla Messa alla dottrina e da questa alla
riaffermazione della regalità sociale di N. S. Gesù Cristo; ed una liturgia
antropocentrica e sociologica, dove il collettivo prevale sul valore del
singolo, la preghiera ignora il momento latreutico, l'assemblea diventa
l'attore principale e Dio cede il posto all'uomo;
- una libertà che ripete la sua "liberazione" dal
decalogo, dai precetti della Chiesa, dagli obblighi del proprio stato, e che
non può sottrarsi al dovere di conoscere amare servire Dio; ed una libertà che
omologa i culti, mette il silenziatore alla legge di Dio, disimpegna i singoli
e la società sul piano etico e religioso e lascia alla sola coscienza la
soluzione di tutt'i problemi;
- una teologia che attinge i suoi contenuti dalle sue fonti
specifiche (la Rivelazione-la Tradizione-il Magistero-la patristica-la
liturgia); ed una teologia che apre i suoi battenti, un giorno sì e l'altro
pure, a tutte le emergenze culturali del momento, anche a quelle in stridente
antitesi con le fonti predette, in una spasmodica autoriforma che lasci spazio
al pluralismo degl'influssi filosofici, conformandosi ora a questo ora a
quello;
- una soteriologia strettamente collegata con la persona e l'opera
redentrice del Verbo incarnato, l'azione dello Spirito Santo applicativa dei
meriti del Redentore, l'intervento sacramentale della Chiesa e la cooperazione
dei singoli battezzati; ed una soteriologia che guarda all'unità del genere
umano come conseguenza dell'incarnazione del Verbo, nel quale (cf GS 22) ogni
uomo trova la sua stessa identificazione;
- un'ecclesiologia che identifica la Chiesa nel Corpo mistico di
Cristo e riconosce nella presenza sacramentale di Lui il segreto vitale
dell'essere e dell'agire ecclesiale, del suo ringiovanirsi nel trascorrere del
tempo, del suo irrobustirsi anche a fronte delle più cruente persecuzioni, del
suo unificarsi nonostante gli scismi e le defezioni, della sua santità
santificatrice nonostante il peccato dei suoi figli; ed un'ecclesiologia che
considera la Chiesa cattolica come una componente della Chiesa di Cristo,
unitamente ad altre componenti, che in questa fantomatica Chiesa di Cristo
addormenta lo spirito missionario, dialoga ma non evangelizza e soprattutto
rinunzia al proselitismo come se fosse un peccato mortale;
- una Messa-sacrificio espiatorio, che celebra il mistero della
passione morte e risurrezione di Cristo ri-presentandone sacramentalmente la
redenzione satisfattoria; ed una Messa dove il prete è solo presidente ed
ognuno è parte "attiva" del sacramento, grazie al fatto che la fede
non si fonda su Dio che si rivela, ma è una risposta esistenziale a Dio che
c'interpella;
- un Magistero consapevole d'aver in custodia il sacro deposito
della Rivelazione divina con il compito d'interpretarla e di trasmetterla alle
generazioni venture mediante il Concilio Ecumenico e il successore di Pietro,
vertice e sintesi d'ogni istanza ecclesiale, nonché i successori degli
apostoli, purché legittimi ed in comunione col Romano Pontefice; ed un Magistero
papale che, lungi dal sentirsi voce della Chiesa docente, sottopone la Chiesa
stessa al collegio dei vescovi, dotato degli stessi diritti e doveri del Romano
Pontefice;
- una religiosità che attua la vocazione comune al servizio di Dio
e, per amore di Lui, dei fratelli in umanità; ed una religiosità che sovverte
quest'ordinamento naturale, fa dell'uomo il suo "focus" e, almeno
nella pratica se non nella teoria, lo sostituisce a Dio.
2.3 - Da quanto precede si desume facilmente come la Fraternità
san Pio X intenda la Tradizione. Tradizione, infatti, è tutto il contrario di
ciò che la Fraternità nega e di ciò cui s'oppone. Direttamente o tra le righe,
nega le innovazioni dei documenti conciliari e s'oppone all'uso disinvoltamente
selvaggio che n'è stato fatto.
E' vero, negli scritti della Fraternità San Pio X non figuran
frequenti esplicitazioni del concetto di Tradizione, né una sua trattazione
sistematica. Ma che cosa essa intenda e che cosa auspichi non resta mai
nell'ombra. Alla base di tutto sta "la foi de toujours" a
salvaguardia della quale la Fraternità è sorta. Salvaguardia indica opposizione
a qualcosa, presente o possibile, a favore del suo contrario o in alternativa
ad esso. La "fede di sempre" è il valore che S. E. Mons. Marcel
Lefebvre intese salvaguardare. Un valore alternativo a tutte le sue
attenuazioni, reinterpretrazioni, riduzioni e negazioni dell'epoca conciliare e
postconciliare. C'è, in quella "fede di sempre", l'eco ben chiara
dell'insegnamento agostiniano nella forma del Lerinense: "quod semper,
quod ubique, quod ab omnibus creditum est". L'istituzione stessa della
Fraternità, con la sua finalità primaria della formazione sacerdotale, obbediva
all'ideale e all'impegno dell'accennata salvaguardia. Salvaguardare la fede e
combattere l'errore.
Non entro nei particolari delle non facili relazioni tra Santa
Sede e Fraternità san Pio X: m'attengo al tema comune della Tradizione ed
osservo che "salvaguardare la fede e combattere l'errore"
dovrebb'esser l'ideale e l'impegno sia della Chiesa, sia d'ogni suo figlio.
Alla luce di ciò, mi resta difficile capire se il già citato rimprovero di
"Tradizione incompleta e contraddittoria" abbia un reale fondamento.
Una cosa mi par di capire: non si fonda sullo "spirito d'Assisi".
NOTE:
[63] BENEDETTO XVI, Lettera del 10 marzo 2009 ai vescovi della Chiesa
cattolica, in "Docuument. Catholique" 2421, p. 319-320.
[64] GIOANNI PAOLO II, Motuproprio Ecclesia Dei afflicta, § 4, in
"Document. Catholique" 1967, p. 788.
[65] Lettre à nos frères prêtres, 42 (2009) 2.
[66] Ibid. L'occasione di questa reazione fu appunto l'uso
"ingiurioso" d' "integrista" da parte de "La
Croix" (30 maggio 2009).
[67] "Bien evidemment, qui dit formation sacerdotale et séminaire,
dit logiquement ordinations - a dir il vero la "logica" in questo
caso dovrebbe collegare le ordinazioni non al solo seminario ed alla sola
formazione sacerdotale, ma anche alla vigente statuizione canonica -. C'est
pourquoi, depuis 1970, se déroulent au sein de la Fraternité Saint-Pie X des
ordinations, depuis la tonsure jusqu'au sacerdoce, en passnt par les ordres
mineurs, le sous-diaconat et le diaconat puisque, rappelons-le, la Fraternité
Saint-Pie X célèbre la liturgie traditionnelle qui connait ces divers degrés
vers le sacerdoce", ibid.
[68] Cit. da PFLUGER N., Le principe et le fondement de notre combat,
in AA.VV., L'Eglise d'aujourd'hui, continuité ou rupture?, Parigi 2009, p. 260,
n. 10.
[69] Dichiarazione del 21 nov. 1974, dopo una visita canonica di Roma;
cf PFLUGER N., Le principe, cit., p. 261.l
[70] C'è un libro di Mons. LEFEBVRE M, Ils l'ont découronné. Du
libéralisme à l'apostasie: la tragédie conciliaire, ed. Fideliter, Escurolles
1987, che dedica al Liberalismo conciliare e postconciliare la seconda, la
terza e la quarta parte, da p. 109 a p. 251. E' un atto d'accusa
"mozzafiato", che va dal "grande tradimento" alla
"mentalità cattolico-liberale", dal "complotto
satanico-liberale" al "trionfo del liberalismo cattolico", dal "liberalismo
suicida" al suo rimedio: "instaurare omnia in Christo" e
riedificare la cittadella cattolica".
[71] Mons. Lefebvre, Ils l'ont découronné, cit. p. 111 rimanda a DOM
SARDA Y SALVANY, Le libéralisme est un peché, che a p. 257-258 cita a sua volta
una lettera pastorale dell'episcopato equatoregno (15 luglio 1885) in cui si
legge che "nell'ora presente il liberalismo è l'errore capitale delle
intelligenze e la passione dominante del nostro secolo... un'atmosfera infetta
che avvolge d'ogni lato il mondo politico e religioso...nemico gratuito, ingiusto
e crudele della Chiesa...che falsa le idee, corrompe i giudizi, adultera le
coscienze, indebolisce i caratteri, alimenta le passioni".
[72] Cita da LE FLOCH P., Le card. Billot, lumière de la théologie, p.
57, in LEFEBVRE M., Ils l'ont découronné, cit. p. 110.
[73] LEFEBVRE M., cit. p. 13-19. E' una fotografia: nessuno può negarne
la realtà raffigurata.
[74] Ibid. p. 21-29.
[75] Ibid. p. 171-181.
[76] Disse cioè, stando a Georges de Nantes che lo riferisce in CRC, n.
113, p. 3, che la dichiarazione conciliare della libertà religiosa "ne
dise matériellement autre chose que le Syllabus de 1864, et même à peu près le
contraire des propositions 16, 17 et 19 de ce document". In realtà, né DH
ripete quanto fu detto dal Syllabus del 1864, né il riconoscimento in essa d'un
Antisillabo appartiene a Georges de Nantes. Teologi di ben altro calibro si
pronunciaron in tal senso.
[77]
Ibid. p. 183-185. + IMPRIMATUR
+ Ab Urbe Vaticana die 00 Ianuarii 2010 +
S.E. ANGELUS COMASTRI Vicarius
generalis Summi Pontificis pro Civitate Vaticana
|
PRESENTAZIONE A CURA DI
www.doncurzionitoglia.com
su gentile concessione dell’autore
www.doncurzionitoglia.com
su gentile concessione dell’autore
La Fraternità di San Pio X
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il Cap. VII (Tradizione
e PostConcilio), parte 2 -
presentazione del libro di Mons. Brunero Gherardini,
Quod et tradidi vobis: La Tradizione vita e giovinezza della Chiesa,
Casa Mariana
Editrice, Frigento (AV),
2010, pp. 460, euro 25,
per richiesta di copie:
apostolatostampa@immacolata.ws
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