Ita et nunc
Se i Protocolli
dei Savi di Sion fossero stati un falso compilato dalla polizia zarista,
non si capisce a che scopo Nicola II ne avesse portato con sé una copia a
Ekaterinburg, dove fu trucidato con tutta la sua famiglia. Altro indizio di
autenticità è il fatto che buona parte del piano in essi descritto si è già
realizzato, a cominciare da quella rivoluzione marxista, finanziata e diretta
dalle logge ebraiche, che in una prima fase lo detronizzò e in una seconda lo
eliminò fisicamente. Non senza motivo un esperto di massoneria, qual era padre
Kolbe, li aveva presi molto sul serio. I figli carnali di Abramo, non
sopportando che i suoi figli spirituali li abbiano soppiantati nel godimento
dei beni messianici, si sono votati ad una lotta senza quartiere contro di
loro, fino all’ultimo cristiano. Non potendo certo sterminarli tutti
(nonostante i ricorrenti massacri inaugurati nel 1792 e tuttora in corso per
mano islamica), hanno pensato bene di pervertirne la fede al fine di condurli
inavvertitamente alla loro stessa apostasia e riassorbirli così nella propria
incredulità.
Subito dopo la moltiplicazione dei pani, Gesù – come
recita il testo greco, a differenza delle traduzioni edulcorate – si era
ritirato sul monte per sottrarsi al rapimento
da parte della folla, che aveva deciso di farlo re. Era la volontà umana di
mettere Dio, se possibile, a servizio dei propri interessi terreni,
rifiutandone in pari tempo l’amore con le connesse esigenze morali. Era la
stessa blasfema arroganza dei loro padri che, nel deserto, avevano tentato il
Signore: «Visto che ci ha dato da bere facendo sgorgare acqua dalla roccia,
facciamoci dare anche da mangiare. Ma il pane non ci basta, vogliamo pure la
carne» (cf. Sal 77, 20). Era lo stesso atteggiamento del figlio minore della
parabola (cf. Lc 15, 11-32), che sfrutta la relazione filiale per rivendicare
una fetta del patrimonio di famiglia, ma al tempo stesso la distrugge nella
pretesa stessa di ottenere qualcosa che presuppone la morte del padre: «Io non
ti voglio come genitore se non in quanto mi dài l’eredità, con cui potrò vivere
come mi pare e piace, come se tu non ci fossi più».
«Se il mio popolo mi ascoltasse, se Israele
camminasse per le mie vie! […] Li nutrirei con fiore di frumento, li sazierei
con miele di roccia» (Sal 80, 14.17). Anche l’obbedienza del figlio maggiore,
esteriore, interessata e astiosa, oltraggia l’amore paterno immolando la
relazione filiale sull’ara di un interesse egoistico puramente materiale, così
da perdere gli inimmaginabili benefici che la paternità divina tiene in serbo
per i suoi piccoli: «Figlio, tu sei sempre con me e tutto ciò che è mio è tuo»
(Lc 15, 31); esattamente le stesse parole che Gesù, esprimendo quella sublime
reciprocità alla quale si è degnato di associarci, rivolge al Padre al termine
dell’Ultima Cena: «Tutto ciò che è mio è tuo e tutto ciò che è tuo è mio» (Gv
17, 10). È ben più e incomparabilmente meglio di un capretto per far festa con
gli amici, ma pure di tutti i piaceri acquistati con i soldi del padre e finiti
in una pozza di fango in compagnia dei maiali; è ben più e incomparabilmente
meglio di tutte le quaglie del deserto e di qualsiasi delizia gastronomica…
Il benessere della società occidentale, garantito peraltro
da ingiustizie accecanti e da interminabili violenze senza nome, ha ridotto molti
cristiani di nome in un vero e proprio porcile; quel progresso che proprio la
fede in Cristo, mediante l’assunzione di quanto di buono la civiltà umana ha
prodotto, ha reso possibile nel corso della nuova èra si è ritorto contro i
suoi stessi beneficiari, una volta rifiutato il Padre da cui tutto proviene. Il
sintomo più evidente di questa nefasta inversione di rotta è quella disgustosa perversione dei costumi che san Paolo
stigmatizza come effetto del mancato riconoscimento di Dio da parte dei pagani
(cf. Rm 1, 18-32). Ma la colpa di chi, una volta lavato, è tornato a rotolarsi
nel fango è ben più grave: è come un cane che annusa il suo vomito (cf. 2 Pt 2,
22). «Se infatti, dopo aver fuggito le corruzioni del
mondo per mezzo della conoscenza del nostro Signore e Salvatore Gesù Cristo,
rimangono di nuovo in esse invischiati e vinti, la loro ultima condizione è
divenuta peggiore della prima. Meglio sarebbe stato per loro non aver mai
conosciuto la via della giustizia, piuttosto che, dopo averla conosciuta,
voltare le spalle al santo comandamento che era stato loro trasmesso» (2 Pt 2,
20-21).
Oggi nessuno dubita che il padre del figliol prodigo
sia pronto a riabbracciarlo e a festeggiare nel modo più splendido il suo tanto
atteso ritorno: ci viene ripetuto in tutte le salse e ad ogni occasione. Ma
bisogna pure che questo benedetto figlio apra una buona volta gli occhi per
vedere il fango in cui sguazza e si decida a tornare indietro! Finché non
accetta di guardare in faccia la propria realtà e non prende la salutare
decisione di allontanarsi dalla deplorevole condizione in cui si è posto da sé
(cosa che lui solo può fare, sia pure aiutato dalla grazia), non cambierà mai
nulla. Il Padre, certo, lo aspetterà sempre, ma non serve a niente dirgli che
tutto va bene, quando di fatto non è così: in questo modo non si fa altro che cacciarlo
sempre più nel fango confermandolo nei suoi errori e nei suoi peccati,
esattamente secondo l’aberrante concezione luterana.
Come ci insegnano i protagonisti stessi della storia
sacra nella sua prima fase, quando il popolo indurisce la cervice, rifiutandosi
di ascoltare il Signore che ripetutamente lo richiama e ammonisce, alla
misericordia divina non resta altro mezzo che il castigo. Molti arricciano il
naso a sentir parlare di un presidente che da tre lustri, nel Paese più esteso
del mondo, tiene saldamente le redini del potere con metodi poco democratici –
se non moralmente discutibili – che includono l’eliminazione fisica degli
oppositori. Non intendiamo certo onorare Machiavelli, ma è sempre la storia
sacra (tanto l’antica quanto la nuova) ad insegnarci che il buon Dio è molto
meno schifiltoso dei suoi figli e, per certe operazioni, non pretende affatto
di trovare strumenti perfetti: per correggere Israele si servì di un Sargon II
e di un Nabucodonosor, per impiantare la Chiesa di un Costantino e di un Carlo
Magno – senza curarsi di non scandalizzare i benpensanti modernisti…
Certamente il nostro eroe ha bisogno di una più
perfetta conversione: la sua Chiesa, pur con tutto lo splendore delle sue
tradizioni, non gli trasmette la totalità della verità rivelata né gli
garantisce una piena comunione con il Corpo mistico. Ci vorrebbe un gesuita
come quelli di una volta, che erano andati in Russia a convertirne la nobiltà
per arrivare fino allo zar… magari anche un missionario di un altro ordine,
visti i tempi che corrono. Ad ogni modo, una tale conversione tornerebbe utile
a tutti: agli Ortodossi russi, che, con la libertà ritrovata, nelle loro
smaglianti liturgie rischiano di scivolare in un insidioso culto dell’uomo; ai
greco-cattolici ucraini della Crimea e del Donbass, che, dopo neanche
trent’anni di tregua, si ritrovano di nuovo a subire la persecuzione; a noi
occidentali, che, in questi settant’anni, abbiamo completamente dimenticato che
cosa significhi (nell’eventualità di un’altra guerra mondiale, seppure
momentaneamente scongiurata) un’occupazione straniera. Perciò, se vogliamo che
la punizione del nostro Paese infedele non sia troppo severa e che esso sia
liberato al più presto dai diktat
legislativi della massoneria giudaica, non c’è necessità più urgente di questa:
pregare, pregare e ancora pregare.
http://lascuredielia.blogspot.it/
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