Meménto, homo, quia pulvis es, et in púlverem revertéris.
L'imposizione
delle ceneri.
A
questo pensava la santa Chiesa, quando fu indotta ad anticipare di
quattro giorni il digiuno quaresimale e ad aprire questo sacro tempo
cospargendo di cenere la fronte colpevole dei suoi figli, e ripetendo a
ciascuno di loro le parole con cui il Signore li condannava alla morte.
Come
segno d'umiliazione e penitenza, però, l'uso delle ceneri è molto
anteriore a quella istituzione. Infatti lo troviamo praticato fin
nell'Antico Testamento. Perfino Giobbe, che apparteneva alla gentilità,
copriva di cenere la sua carne dilaniata dalla mano di Dio, per
implorare così la sua misericordia (Gb 16,16). Più tardi il Salmista,
nell'ardente contrizione del suo cuore, mescolava cenere nel pane che
mangiava (Sal 101,10). Analoghi esempi abbondano nei Libri storici e nei
Profeti dell'Antico Testamento. Si avvertiva anche allora il rapporto
esistente fra la polvere d'una materia bruciata e l'uomo peccatore, il
corpo del quale sarà disfatto in polvere sotto il fuoco della giustizia
divina. Per salvare almeno l'anima, il peccatore ricorreva alla cenere,
e nel riconoscere quella triste fraternità con essa si sentiva più al
riparo dalla collera di colui che resiste ai superbi e perdona agli
umili.
VANGELO
(Mt 6,16-21). - In quel
tempo, Gesù disse ai suoi discepoli:
Quando
digiunate, non prendete un'aria melanconica, come gl'ipocriti, che
sfigurano la loro faccia per mostrare alla gente che digiunano. In verità
vi dico che han già ricevuto la loro mercede. Ma tu, quando digiuni,
profumati il capo e la faccia, affinché non alla gente apparisca che
tu digiuni, ma al tuo Padre, che è nel segreto; e il Padre tuo che
vede nel segreto, te ne darà la ricompensa. Non vogliate accumulare
tesori sulla terra, dove la ruggine e la tignola consumano e i ladri
scassinano e rubano; ma fatevi dei tesori
nel cielo,
dove né ruggine né tignole consumano, dove i ladri né scassinano né
rubano.
Perché dove è il tuo tesoro, quivi è anche il tuo cuore.
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