Monsignor Antonio De Castro Mayer Accordo o Resistenza? ~ “Se Voi Tacerete lo Grideranno le Pietre” ~ L’Insegnamento dell’Insigne Teologo e Vescovo di Campos Mons. De Castro Mayer
di Don Curzio Nitoglia
MONSIGNOR ANTONIO DE CASTRO MAYER,
ACCORDO O RESISTENZA?
“Se voi tacerete lo grideranno le pietre” ~ L’insegnamento dell’insigne teologo e Vescovo di Campos monsignor de Castro Mayer
Il 29 settembre 1989 un quotidiano brasiliano intervistò monsignor Antonio de Castro Mayer e gli chiese: “Reputa possibile una riconciliazione con Roma?”.
Il Vescovo di Campos rispose: “Non c’è nessuna opposizione tra noi e la Roma degli Apostoli. Basterebbe che le autorità della Chiesa si riconcilino con la Tradizione infallibile di Roma, che condannino le deviazioni del Concilio Vaticano II e le follie del cosiddetto ‘spirito del Concilio’ e la riconciliazione sarà automatica, ipso facto. […]. Chiedere perdono significherebbe andare contro un preciso dovere di coscienza, sarebbe condannare tutto ciò che ho fatto per il bene della Chiesa e la salvezza delle anime, sarebbe abbandonare la causa per la quale ho lottato, la causa della Tradizione apostolica. […]. La scomunica che mi ha colpito nel 1988 anche se invalida mi rattrista perché mostra lo stato deplorevole in cui si trova l’elemento umano della Chiesa, l’intensità di avversione che i membri della gerarchia nutrono verso ciò che la Chiesa ha sempre fatto”.
“È necessario professare pubblicamente la Fede quando essa è in pericolo” (S. Tommaso d’Aquino)
Il 30 giugno del 1988 monsignor de Castro Mayer aveva spiegato cosa significava per lui il “dovere di coscienza” di cui sopra.
Egli disse: “San Tommaso d’Aquino insegna che quando la Fede è in pericolo è obbligatorio e urgente fare una professione pubblica di Fede anche a rischio della propria vita. Ora la situazione in cui ci troviamo è proprio questa: viviamo una crisi senza precedenti nella storia della Chiesa, crisi che riguarda ciò che vi è di essenziale in Lei, il santo Sacrificio della Messa e il Sacerdozio cattolico. […]. È doloroso constatare quanti vescovi non vogliono vedere la crisi attuale e lo stato di necessità in cui ci troviamo, mentre è necessario resistere al modernismo regnante per essere fedeli alla missione che Dio ci ha conferito, […] non farlo sarebbe un peccato mortale” (ibidem, p. 47 e 48).
La situazione odierna
Contrariamente all’insegnamento del
grande Vescovo e fine teologo molti di coloro i quali tentano tuttora di
resistere al neomodernismo, (che ha informato la teologia pastorale e
la Messa del Concilio Vaticano II) cercano – paradossalmente proprio
oggi, sotto il pontificato ultramodernista di Francesco I – di risolvere
la questione alla luce del pragmatismo, della convenienza giuridica per
il proprio Istituto, della liberalizzazione dell’esperienza religiosa
del rito tradizionale e non in base alla oggettiva corrispondenza o
discrepanza tra Vaticano II/Messa del Vaticano II e Tradizione
apostolica/Messa di Tradizione apostolica (detta di S. Pio V), come ha
fatto monsignor de Castro Mayer.
Il pericolo del pragmatismo
Ora il pragmatismo più che una dottrina
speculativa è una tendenza o uno “stato di spirito”, che considera ogni
cosa dal punto di vista pratico, ossia attraverso la convenienza,
l’azione e l’esperienza. Esso è inconciliabile con la retta ragione, la
filosofia perenne e la dottrina cattolica. Infatti è stato condannato
dal Magistero ecclesiastico.
Secondo i pragmatisti il criterio per
discernere la verità non è più quello realistico di Aristotele e San
Tommaso dell’adeguazione del pensiero alla realtà oggettiva (“veritas
est adaequatio rei et intellectus”), ma quello soggettivistico della
convenienza dell’azione ai propri bisogni pratici e giuridici (“veritas
est adaequatio vitae et intellectus”).
Si parte dalla svalutazione irenistica della polemica teologica per giungere
1°) alla sopravvalutazione della
sistemazione giuridica rispetto alla fede e alla morale, che assicuri la
propria legalità giuridica anche a costo dell’illiceità etica e
dogmatica di fronte a Dio, e,
2°) alla sopravvalutazione della
sensibilità liturgicamente tradizionale o dell’esperienza religiosa del
rito tridentino, cose buone in sé, ma che vanno subordinate
all’intelletto o al Vero e alla volontà o al Bene come il corpo deve
essere sottomesso all’anima.
Ad esempio, la situazione canonicamente
legale, le rubriche di San Pio X, le berrette e i cappelli romani son
reputati più importanti della difformità dei 16 Decreti del Concilio
Vaticano II con la Tradizione apostolica.
L’orrore per le disputa teologiche e il primato concesso all’accordo pratico senza nessun fondamento sul dogma
Perciò le dispute filosofico/teologiche
sul Vaticano II, sul Novus Ordo Missae e sul post-concilio sarebbero
inutili e dannose e andrebbero lasciate da parte; l’importante sarebbe
di poter fare liberamente e con l’imprimatur ecclesiastico “l’esperienza
della tradizione”. Infatti secondo il pragmatismo “le dispute
filosofico/teologiche sono inutili e dannose e vanno lasciate da parte
come retaggio del medioevo”.
L’illusione sulla gravità della situazione attuale nell’ambiente ecclesiale prodotta dal Vaticano II
Il problema principale ed essenziale
sarebbe, secondo i tradizional/pragmatisti, quello della
liberalizzazione della Liturgia tradizionale e della normalizzazione
dello loro stato giuridico, ottenuti i quali, tutto si aggiusterebbe
automaticamente come se dal 1958 ad oggi non ci fosse stata una
rivoluzione immane (liturgica, dogmatica, morale, spirituale,
filosofica, canonica, politica, sociale e disciplinare), che è ancora in
atto nell’ambiente ecclesiale ed ha raggiunto un livello parossistico
con Francesco I. il Vaticano II non è stata “una crisi di crescita”, ma
una tragedia immane “peggiore della seconda guerra mondiale” (monsignor
Marcel Lefebvre).
Ora la Nuova Messa di Paolo VI è nata
proprio dalla teologia del Concilio Vaticano II ed è in rottura con la
Messa romana di Tradizione apostolica, resa obbligatoria nella Chiesa
universale da S. Pio V. Quindi non si può risolvere il problema
liturgico senza aver prima risolto quello dottrinale e teologico del
Vaticano II, i cui 16 Documenti sono in rottura oggettiva con la
Tradizione apostolica come ha dimostrato da fine teologo monsignor
Brunero Gherardini.
Dove sono i Maccabei?
Quando Antioco Epifane voleva corrompere
la Rivelazione e il Culto divini dell’Antico testamento, insorsero i
sette fratelli Maccabei che presero le armi e lottarono per la Fede, non
scesero a compromessi, ma preferirono il martirio al cedimento.
Purtroppo oggi, pragmatisticamente, in
maniera pressappochistica e pasticciata, secondo alcuni tradizionalisti
(che sono de facto gli anti-Maccabei) si può accettare una sistemazione
giuridica o normalizzazione canonica, che assicuri la “tolleranza” della
Messa tradizionale, senza doversi preoccupare troppo dei problemi posti
alla coscienza cattolica dai Decreti del Vaticano II, dall’insegnamento
pastorale postconciliare (da Paolo VI sino a Francesco I) e dalla Messa
di Paolo VI.
Parvus error in principio fit magnus in fine
Non deve stupire, pertanto, la teoria
(affermata ma non provata) di alcuni capi-fila del Tradizionalismo
cattolico i quali sono arrivati ad affermare che “il 95% del Concilio è
accettabile”. Essa non è una stravaganza, ma un errore, anzi un orrore
che è in conformità con le teorie del pragmatismo e dello
sperimentalismo tradizionale. “Nemo repente fit pessimus / nessuno
diventa pessimo d’un sol colpo”, si comincia a cedere poco alla volta e
si giunge alla rovina finale.
Un mistero d’iniquità: come mai proprio ora?
L’attuale pontificato di Francesco I
rende davvero difficile sperare (tranne per chi voglia accecarsi) che si
lasci realmente alla Tradizione una vera libertà di sperimentazione;
inizialmente essa potrà usufruire di un ghetto, di una tolleranza, di
una riserva indiana e poi sarà oggetto di una persecuzione (per la legge
dell’induzione) come quella che hanno subìto (2012/2013) quei Frati
Francescani dell’Immacolata i quali hanno osato solamente porre la
questione in termini esatti sotto la direzione di un noto ecclesiologo
della Lateranense, e, nel 2013/2014 i vari Istituti dell’Ecclesia Dei
(Istituto di Cristo Re e Sommo Sacerdote, Istituto del Buon Pastore e
Fraternità San Pietro).
Parafrasando S. Agostino si dovrebbe concludere: “Quod isti et iste cur et non ego? / Ciò che è capitato a costoro perché non pure a me?”. E San Paolo ci ammonisce: “Qui reputat se stare timeat ne cadat / chi presume di star fermamente in piedi faccia attenzione a non cadere pure lui”. Infatti, come insegna il Vangelo: “Dio resiste ai superbi e dà la sua grazia agli umili”. Caveamus! Timeo danaos et dona ferentes, disse Laocòonte di fronte al “cavallo di troia”, ma nessuno volle ascoltarlo…
Per fare alcuni esempi terra-terra, una
polpetta avvelenata che un ladro offre ad un cane sembra essere buona,
ma in realtà è veleno; un prestito offerto da un usuraio sembra una
gentilezza, ma in realtà è una usura che “soffoca” e dalla quale non si
libera più; un bacio dato alla mano di un “padrino” sembra una offerta
di protezione, ma significa entrare in una società da cui non si può più
uscire. Una concessione offerta da un supermodernista che vorrebbe
abrogare anche i 10 Comandamenti è una trappola, lo capiscono tutti i
semplici fedeli di sana fede, solo alcuni preti non vogliono capirlo e
“non c’è peggior sordo di chi non vuol sentire”.
“Non si discute col diavolo” (S. Ignazio da Loyola)
Far patti con Francesco I e pensare che
la Tradizione sarà salvaguardata mi pare autolesionismo, il suo odio per
la Tradizione, per i dogmi, per la morale oggettiva lo ha gridato dai
tetti sin dal primo giorno del suo pontificato e lo ha mostrato
chiaramente con i suoi gesti che valgono più di 1000 discorsi, così come
Giovanni XXIII, Paolo VI e Giovanni Paolo II (anche se in maniera meno
esplicita): l’agnello non può far patti col lupo sperando che saranno
rispettati. Questo atteggiamento contraddice la natura delle cose. “Non
si mette la pecora in bocca al lupo” dice il proverbio. “Chi cammina sui
carboni accesi non può non scottarsi” insegna la S. Scrittura. Eppure
alcuni sacerdoti tradizionalisti (oggi!) lo ritengono fattibile,
contrariamente a quanto insegnato loro dal buon senso, dalla S.
Scrittura, dalla storia e anche da monsignor de Castro Mayer. Se ciò sia
fatto in buona fede (per ignoranza invincibile e quindi non colpevole) o
in mala fede (per tradimento a accordo tacito col nemico) solo Dio lo
sa. Ciò che si può constatare umanamente e oggettivamente è l’assurdità e
la contraddittorietà di tale atteggiamento.
È vero ciò che è reale non ciò che piace
Non è una questione di simpatia o
antipatia né un problema di persone più o meno carismatiche, ma è una
questione di verità oggettiva. Questi problemi non si possono risolvere
con argomenti di autorità umana o con l’idea che noi ci facciamo di
essi: il tale vescovo, superiore generale, teologo, professore o dottore
pensa questo o quello; “Io” mi son fatto la tale idea della Messa o del
Vaticano II. Quindi bisogna seguire ciò che pensa il vescovo Tizio, il
superiore Tale, il teologo Cajo o il professor Sempronio o l’idea che
l’Io si è fatta dei problemi attuali.
Do ut des: se ti fanno un favore devi renderlo
Seguendo questa strada si perpetua
l’errore e la falsa pista che iniziò quando si chiese a Giovanni Paolo
II la sola “libertà dell’esperienza della tradizione” nel 1978, poi nel
1984 la petizione dell’indulto per la Messa tradizionale a condizione di
accettare, in contraccambio, il Concilio Vaticano II e la nuova Messa
di Paolo VI del 1969. Ora si accetta un dono avvelenato, che dovrà
essere ricambiato col silenzio pubblico (“bocca unta non disse più
nulla”, recita il proverbio) su problemi quali la comunione ai
divorziati che convivono, agli omosessuali, con l’escamotage (per
salvare la faccia, ma non l’onore e – Dio non voglia – neppure l’anima)
di discutere di queste questioni tra teologi vaticanisti e teologi
tradizionalisti (politicamente corretti) in privato, a Santa Marta.
«Veritas liberabit vos» et «veritas est conformitas rei et intellectus»
Nell’ottica – filosofica – realistica
della verità intesa come conformità dell’intelletto alla realtà
oggettiva occorre studiare i Documenti e la Messa del Vaticano II per
vedere se siano in continuità reale e non solo verbale con la Tradizione
apostolica. Inoltre – dal punto di vista della Fede – Gesù ci ha
ammonito “la Verità vi renderà liberi dal peccato, dall’errore e dal
servilismo”, non il compromesso, non l’adulazione ipocrita.
Se i Documenti conciliari sono conformi
alla Tradizione, bisogna accettarli anche se non piacciono (non sempre
la verità è piacevole e non tutto ciò che piace è ipso facto vero);
mentre, se si riscontra una discontinuità oggettiva con la Tradizione,
per il principio di non-contraddizione non ci si può allontanare dalla
integrità della Fede per ottenere la libertà o peggio la tolleranza
della esperienza della Tradizione e la normalizzazione canonica legale
ma illecita, le quali senza la retta Fede non giovano a nulla: “Senza
Fede è impossibile piacere a Dio” (Ebr., XI, 6).
Conclusione
In una situazione come l’attuale tutto
avrebbe consigliato prudenza, pazienza, saper attendere, vagliare,
esaminare, invece ci si è fatti guidare dalla fretta che è una “pessima
consigliera”.
Per tutti viene un momento in cui
occorre schierarsi per il bene contro il male, per la verità contro
l’errore, per la Tradizione contro il modernismo. La neutralità in
questi casi non è consentita, anzi sarebbe immorale poiché
significherebbe de facto avallare l’errore. “Il cattivo Pastore fugge
non solo correndo, ma manche tacendo” (S. Giovanni Crisostomo). La S.
Scrittura ci insegna che “C’è un tempo per parlare e uno per tacere, uno
per fare la pace e uno per fare la guerra”. Oggi, di fronte al dilemma
che si presentò alle coscienze dei cattolici 50 anni fa rispetto al
Concilio Vaticano II e alla nuova Messa “siamo posti in una tragica
necessità di opzione” (cardinali Ottaviani e Bacci).
Tuttavia bisogna far attenzione ad evitare due estremi: - 1°) la Chiesa gerarchica è finita;
- 2°) obbedire anche agli ordini illeciti dei Pastori.
In breve in questo momento occorre attendere senza cedere, né rompere come se la Chiesa non esistesse più.
“Basterebbe che le autorità della Chiesa si riconcilino con la Tradizione infallibile di Roma, che condannino le deviazioni del Concilio Vaticano II e le follie del cosiddetto ‘spirito del Concilio’ e la riconciliazione sarà automatica, ipso facto.Chiedere perdono significherebbe andare contro un preciso dovere di coscienza, sarebbe condannare tutto ciò che ho fatto per il bene della Chiesa e la salvezza delle anime, sarebbe abbandonare la causa per la quale ho lottato, la causa della Tradizione apostolica.San Tommaso d’Aquino insegna che quando la Fede è in pericolo è obbligatorio e urgente fare una professione pubblica di Fede anche a rischio della propria vita.Ora la situazione in cui ci troviamo è proprio questa: viviamo una crisi senza precedenti nella storia della Chiesa, crisi che riguarda ciò che vi è di essenziale in Lei, il santo Sacrificio della Messa e il Sacerdozio cattolico.È doloroso constatare quanti vescovi non vogliono vedere la crisi attuale e lo stato di necessità in cui ci troviamo, mentre è necessario resistere al modernismo regnante per essere fedeli alla missione che Dio ci ha conferito, non farlo sarebbe un peccato mortale” (monsignor Antonio de Castro Mayer).
Che Dio ci aiuti in quest’ora del potere delle tenebre…
~
d. Curzio Nitoglia
3/9/2015
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