FSSPX e FFI: due casi analoghi dagli esiti differenti
e
su quelle presenti dei Francescani dell’Immacolata.
Premessa
In
questi mesi molti Cattolici sono sconcertati e addolorati per quanto
avviene in seno all’Ordine dei Francescani dell’Immacolata, in
particolare per i provvedimenti del Commissario Apostolico, padre
Fidenzio Volpi. Proprio in questi giorni è apparsa su alcuni blog
una lettera anonima di un Frate dell’Immacolata, in cui si denunzia
la proibizione di celebrare la Messa tridentina, la soppressione del
Seminario, il divieto di scrivere articoli sui settimanali cattolici,
l’interdizione di dirigere gruppi di laici, oltre alla chiusura di
Conventi ed alle misure di stretta sorveglianza cui sarebbero
sottoposti i membri dell’Ordine.
Pur
non potendo non apprezzare l’opera svolta dai Reverendi Padri, e
non volendoci esimere dall’esprimere loro il massimo appoggio –
solidarietà, direbbero alcuni – crediamo nondimeno nostro dovere
richiamare l’attenzione sugli aspetti di questa vicenda che i
commentatori hanno sinora ignorato, e che a nostro avviso non
dovrebbero esser trascurati, per trarne insegnamento.
Vogliamo
quindi esporre il nostro pensiero, confidando che esso possa
suscitare una proficua discussione in seno alla comunità
tradizionale e, a Dio piacendo, un sincero esame di coscienza da
parte di alcuni Frati dell’Immacolata. Tutto questo in spirito di
carità fraterna e con uno sguardo il più possibile soprannaturale.
I precedenti
L’avversione
della setta conciliare alla Liturgia, alla Dottrina, alla Morale ed
alla Spiritualità della Chiesa Cattolica non è mai stata un
mistero: essa è anzi l’indice infallibile di quanto i novatori
siano insofferenti a tutto ciò che ricorda anche solo lontanamente
il nome cattolico. Questa avversione non è nuova: ne furono
portatori tutti gli eretici nel corso dei secoli, ed anche
recentemente abbiamo avuto numerosi esempi dell’odio viscerale dei
modernisti verso l’insegnamento immutabile e perenne della
Magistero, ed ancor più verso quanti a quell’insegnamento si
conformano.
Anche
sotto l’Antica Alleanza le infedeltà del popolo che fu l’eletto
portarono alla persecuzione dei buoni, fedeli al Dio vivo e vero,
mentre i Re di Israele tolleravano il culto e i riti degli dei
pagani: un ecumenismo ante litteram,
denunziato dai profeti e punito da Dio, come avvenne ad esempio ai
tempi del profeta Elia. E la prima infedeltà fu proprio quella dei
nostri progenitori, ribelli al comando del Signore sin dall’inizio:
quali ne siano state le conseguenze per tutta l’umanità ce lo
insegnano le Scritture e lo vediamo ancor oggi.
Le
infedeltà sotto la Nuova ed Eterna Alleanza non furono infrequenti,
e furono anch’esse punite dal Dio geloso che non tollera che si
servano due padroni. Infedeltà delle Nazioni e dei singoli;
infedeltà pubbliche e private; infedeltà motivate da orgoglio, da
cupidigia, da rispetti umani, da pavidità, dalla debolezza e
dall’accecamento indotti dagli altri vizi. Guerre, epidemie,
carestie, flagelli hanno colpito l’umanità nel corso dei secoli
per richiamare i peccatori al pentimento, al digiuno ed alla
penitenza, e per riparare all’offesa della Divina Maestà, tanto
generosa nell’elargire grazie sovrabbondanti quanto giusta e severa
nel ritirarle a chi non se ne dimostra degno.
Il caso della Fraternità San Pio X
Ai
tempi dell’immediato postconcilio, un Vescovo missionario francese
fondò una Fraternità Sacerdotale di vita apostolica, ponendola
sotto il patrocinio di San Pio X, e il suo zelo per la difesa
dell’ortodossia gli meritò l’approvazione della Sacra Gerarchia.
Questa Fraternità ebbe numerose vocazioni e volle sin dal principio
votarsi alla solida formazione dei giovani chierici, in un momento in
cui i seminari e gli Atenei cattolici davano segni di vistoso
cedimento dottrinale, morale e disciplinare. L’Ordinario di
Friburgo approvò gli Statuti e le Costituzioni della Fraternità nel
1970 e già nel 1971 il Cardinale Wright, Prefetto della
Congregazione per il Clero, inviava lettere di incoraggiamento a
Mons. Marcel Lefebvre. Cosa abbia portato, nel 1975, alla decisione
di sopprimere la Fraternità fu evidentissimo: la fedeltà al
Magistero cattolico ed il rifiuto di piegarsi agli stravolgimenti
liturgici e dottrinali del postconcilio. E fu una soppressione
formalmente discutibile, poiché a norma del Codice di Diritto
Canonico essa sarebbe dovuta giungere dalla Santa Sede, e non dal
Vescovo Diocesano. Monsignore non cedette, e per assicurare un futuro
ai suoi chierici decise di procedere alle Sacre Ordinazioni anche
senza il permesso dell’Ordinario e del Vaticano. Ovviamente questa
disobbedienza materiale diede il pretesto alla Gerarchia per
sospendere a divinis
Mons. Lefebvre e tutti i chierici da lui ordinati, ponendoli di fatto
in una posizione di irregolarità canonica. Nonostante il
boicottaggio dell’ala più progressista della Gerarchia, la
Fraternità si ampliò, senza mai desistere dal trovare una
pacificazione con Roma, a patto di non dover rinunziare alla Messa di
sempre e di non dover accettare
sine glossa il
Concilio Vaticano II. Nel 1988, quando Monsignore fu anziano, decise
di consacrare dei Vescovi perché gli potessero succedere nel governo
della Fraternità e nell’ordinazione dei chierici, ma il Vaticano –
che pure pareva inizialmente possibilista, ma che cercava
semplicemente di temporeggiare sino alla morte del Presule – alla
fine non le autorizzò, e Mons. Lefebvre dovette ancora una volta
compiere un atto coraggioso e disobbedire alla Gerarchia, consacrando
quattro Vescovi. A quel punto giunse la scomunica per i Vescovi della
Fraternità San Pio X e per i suoi fedeli che avessero aderito al presunto scisma, mentre i modernisti di
tutto il mondo credevano di esser finalmente riusciti a toglier di
mezzo lo scomodo Vescovo ribelle
e i suoi seguaci, considerando tutta la Fraternità scomunicata in blocco. Chi ha letto le omelie e gli scritti di Monsignore
sa bene quanta ponderazione e quanto amore per la Chiesa abbia
condotto a queste scelte, all’emarginazione, all’ostracismo, alle
accuse ingiuste e ingenerose da parte di quasi tutto il mondo
cattolico, specialmente da parte di tantissimi sacerdoti e Prelati.
L’accusa di lefebvrianesimo
divenne allora marchio infamante per quanti, vicini alla Fraternità
o meno, conducevano la buona battaglia della Tradizione per la Messa
tridentina e per la fedeltà al Magistero cattolico. Un’accusa che,
come sappiamo, risuona ancor oggi nei tribunali del popolo istituiti
per condannare i Frati Francescani dell’Immacolata.
In
controtendenza rispetto ai predecessori, Papa Benedetto XVI, con Motu
proprio del 14 Luglio 2007
riconosceva che la Messa tradizionale, detta di S. Pio V, non è mai
stata abrogata e che ogni sacerdote può celebrarla. Lo stesso
Pontefice, con il Decreto del 21 Gennaio 2009, affermava che i
Vescovi della Fraternità S. Pio X non sono né scismatici né
scomunicati.
Oggi
la Fraternità conta una Casa generalizia, 6 Seminari e 14 Distretti,
162 Priorati, 750 Oratori, 2 istituti universitari, 100 scuole, 7
case di riposo, 575 Sacerdoti, 215 seminaristi, 42 pre-seminaristi,
119 fratelli laici, 186 religiose, 84 suore oblate, 5 conventi di
Carmelitane. È
presente in 65 Paesi. Numerosi ordini latini e orientali tradizionali
sono uniti alla Fraternità sacerdotale San Pio X nel mondo.
Il caso della Fraternità San Pietro
Nel
1988, dopo le Consacrazioni episcopali, una parte di sacerdoti e
chierici lasciò la Fraternità San Pio X e venne fondata, con
l’approvazione della Santa Sede, la Fraternità San Pietro.
L’accettazione del Concilio non è nemmeno messa in discussione (al
punto da trovare la Lumen gentium
nelle stesse Costituzioni), e non sono pochi i sacerdoti che
celebrano indifferentemente il rito cattolico e quello riformato. I
dissensi interni alla Fraternità San Pietro divennero di pubblico
dominio in occasione di una lettera del 29 Giugno 1999, inviata
all’Ecclesia Dei da
un gruppo di sedici sacerdoti progressisti di quell’istituto, a
seguito della quale la Commissione Pontificia limitò i poteri dei
Superiori e rinviò il Capitolo Generale. Nei confronti di costoro
non fu emanato nemmeno un ammonimento per la illiceità del loro
comportamento. In concomitanza con questi provvedimenti, viene
emanato un documento della Congregazione del Culto Divino in cui si
precisa che tutti i sacerdoti che sono tenuti a celebrare secondo il
Messale del 1962, quando celebrano in seno ad una comunità che segue
il rito moderno devono celebrare col rito moderno: in pratica, o
accettano il doppio rito, o se ne devono rimanere nella propria
comunità (Prot. 1441/99 del 2 Luglio 1999). Si noti che mentre un
Superiore di un istituto di rito straordinario non ha giurisdizione
sul proprio chierico che voglia celebrare secondo la liturgia
riformata, nel caso di un Superiore di un istituto di rito ordinario
questa giurisdizione esiste e gli consente di vietare al chierico la
celebrazione in rito straordinario, come ad esempio nel caso dei
Francescani dell’Immacolata.
Si
noti che le denunce e le lamentele di una parte minoritaria dei
membri di una comunità tradizionale ottiene immediato riscontro a
Roma, mentre non avviene altrettanto nel caso in cui, richiamandosi
alla fedeltà agli Statuti, qualcuno denunzi derive conciliariste in
seno ad essa.
Il caso dell’Istituto del Buon Pastore
Nel
2006 fu eretto canonicamente l’Istituto del Buon Pastore il quale,
dopo un periodo iniziale in cui lo Statuto prevedeva l’uso
esclusivo della Liturgia
tridentina, si sente ora chiedere dalla Commissione Ecclesia
Dei di accettare le due forme
del Rito Romano, ossia la forma straordinaria di San Pio V e la forma
ordinaria di Paolo VI. Anche nella formazione dei seminaristi viene
richiesto un adeguamento alle disposizioni conciliari. L’Istituto è
stato commissariato per poter far nominare Superiore Generale un
sacerdote che potesse assecondare i desiderata
vaticani.
Questi
casi emblematici dimostrano che la legittimazione canonica di
entrambi gli istituti è vincolata inscindibilmente alla rinuncia da
parte dei loro membri a qualsiasi critica del Concilio e della
liturgia postconciliare, cosa che rinnega sostanzialmente le
originarie motivazioni di divergenza dottrinale e rituale della
Fraternità San Pio X. Non è solo richiesto il silenzio sulle
eventuali riserve dei singoli, ma anche una testimonianza fattuale
dell’adesione al nuovo corso postconciliare.
A
tal proposito commenta don Pierpaolo Maria Petrucci, Superiore del
Distretto italiano della Fraternità San Pio X:
Il
problema di coscienza che si pone per ogni Cattolico, maggiormente
per un sacerdote e per una comunità religiosa, è rinunciare ad
opporsi al nuovo rito, e questo non per un attaccamento nostalgico
alla liturgia tradizionale, ma perché, come ricordavano i Cardinali
Bacci ed Ottaviani, “si allontana in maniera
impressionante dalla teologia cattolica della Messa come è stata
definita dal Concilio di Trento”.
Inaccettabili dal punta di vista della fede sono anche le nuove
dottrine come quella sul valore salvifico di tutte le religioni;
sull’ecumenismo e la non perfetta identità fra la Chiesa di Cristo
e la Chiesa Cattolica; sulla libertà religiosa; sulla collegialità
episcopale etc. 1
In
pratica, per esser figli di questa nuova chiesa occorre fare abiura
formale degli errori
della Fraternità San Pio X, cosa che Mons. Lefebvre aveva
preconizzato sin dall’inizio. Ovviamente tali esempi rendono
impossibile il progresso di ogni colloquio con la Fraternità San Pio
X, che vede puntualmente realizzati i propri timori in caso decidesse
di rientrare a pieno titolo in comunione con Roma.
Fatti recenti
Cosa
accade di rilevante in quest’ultimo anno? Nulla, se non
l’abdicazione di Benedetto XVI e l’elezione di Francesco. Il
teologo tedesco schivo ed elegante cede improvvisamente il posto al
demagogo argentino che vuol piacere a tutti. Il Pontefice in trono
con la mitria di Pio IX, la ferula d’oro e i paramenti con gli
stemmi papali ornati di tiara viene giubilato e gli succede il
Vescovo di Roma dai paramenti poverissimi (ordinati ad hoc,
si capisce) e dalle scarpe sformate vistosamente nere.
La
persecuzione mediatica contro il Pontificato precedente si muta
d’incanto in unanime consenso, tanto più sconcertante quanto meno
cattolici sono gli estimatori di Francesco. Laicisti, liberali,
marxisti, atei, Massoni: tutti elogiano papa Bergoglio e ne
enfatizzano la palese posizione di rottura rispetto al passato, e in
particolare rispetto al predecessore. I vari Melloni, Sodi, Marini e
via elencando risorgono e squittiscono di incontenibile soddisfazione
per aver riconquistato il Soglio, preannunciando rivoluzioni e
cambiamenti in tutti gli ambiti della vita ecclesiale.
Questa
posizione di rottura – che contrasta con la chimera
dell’ermeneutica della continuità
– non è un miraggio dei progressisti, ma trova origine e riscontro
quasi quotidiano nelle parole e nei gesti del nuovo Pontefice: il
nome Francesco, scelto in chiave pauperista; il saluto borghese
Buonasera al posto del
cattolico Sia lodato Gesù Cristo;
l’atteggiamento informale e il vestiario privato delle insegne
pontificali; i colloqui con l’ateo Scalfari circa la relatività
del Bene assoluto, le esternazioni sul Dio cattolico
e sulla solenne sciocchezza dell’apostolato
della Chiesa; le deviazioni sulla dottrina della sostituzione
dell’Alleanza col popolo ebraico; l’esasperante adulazione con
chi è fuori della Chiesa, e le intolleranti sanzioni verso
l’ortodossia cattolica: il Card. Burke, il Card. Piacenza, i
Francescani dell’Immacolata...
Il caso dei Francescani dell’Immacolata
Veniamo
ora ai Francescani dell’Immacolata. La loro vicenda inizia nel
1965, quando padre Stefano Maria Manelli O.F.M. Conv. riscopre e
medita le Fonti Francescane e gli scritti di San Massimiliano Maria
Kolbe. Nel 1969 padre Manelli chiede all’allora Ministro Generale
dei Frati Minori Conventuali, padre Basilio Heiser, di avviare una
nuova esperienza di vita francescana. Il superiore asseconda
l’istanza e già nel 1971 apre il primo Noviziato. Quel primo
gruppo di frati venne riconosciuto dalla Chiesa venti anni dopo, nel
1990, dall’Arcivescovo di Benevento Mons. Carlo Minchiatti, “per
mandato del Santo Padre”, con
la professione dei Voti di circa trenta religiosi. La rapida crescita
dell’Istituto nel mondo e le credenziali dei Vescovi nelle cui
Diocesi operavano i religiosi, porta il 1 gennaio 1998 al
riconoscimento pontificio. L’Ordine si distingue per la fedeltà
alla Chiesa e al suo Magistero, con una sensibilità anche alla cura
della liturgia celebrata nel Rito Romano antico in applicazione del
Motu proprio Summorum Pontificum.
Al 31 dicembre 2010 i Frati erano 352 in tutto il mondo con poco meno
di duecento sacerdoti in 55 case religiose. I fatti e le censure degli
ultimi mesi sono noti a tutti e sono stati documentati in modo
certamente più esauriente da tanti autorevoli esponenti del laicato
cattolico.
Equivoci ed ambiguità
Che
i Frati dell’Immacolata fossero – e siano tuttora – considerati
tra i più ortodossi esponenti del Clero regolare è cosa risaputa e
condivisa da molti. Le parrocchie e le chiese in cui essi hanno
esercitato il proprio ministero si distinguono spesso per la dignità
delle celebrazioni, il decoro e la pulizia degli altari, delle
suppellettili e dei paramenti, per l’aumento della frequenza ai
Sacramenti, per il nuovo slancio delle corali, lo sviluppo delle
attività pastorali, le conferenze ecc.
Ma
se tutto questo, nel disastro che contraddistingue le parrocchie
normali, può esser considerato come un fatto positivo, va detto che
i risultati ottenuti sono stati spesso deludenti rispetto alle
aspettative ed ancor più rispetto alle potenzialità mal fruttate da
alcuni Frati.
Sappiamo
bene che le nostre parole suoneranno dure ad alcuni, ma vanno dette.
Siamo persuasi che le grazie concesse da Dio a quest’Ordine –
soprattutto durante il Pontificato di Benedetto XVI notoriamente
favorevole alle iniziative di ispirazione conservatrice – avrebbero
potuto produrre frutti incredibilmente maggiori, se non si fossero
dovute scontrare con una certa pavidità dinanzi ai Vescovi
diocesani, nei confronti dei quali alcuni Frati hanno usato ed
abusato di una falsa prudenza,
spesso mossa da rispetti umani più che da retta intenzione. Quante
volte – i nostri lettori potranno confermarlo – si è insistito
sull’opportunità di attendere tempi più propizi per celebrare una
Messa tridentina di domenica, anziché confinarla al sabato? Quante
volte l’altare versus populum
ha impiegato mesi per lasciar posto all’altare vero e consacrato
versus Deum, per non
dispiacere a Sua Eccellenza? Quante volte i rapporti di buon vicinato
con gli altri Parroci e le relazioni con il Consiglio Presbiterale
hanno legittimato forme di esagerata enfasi del Concilio, quando
onestà e amore della Verità avrebbero raccomandato di non
menzionarlo, se proprio non si aveva il coraggio di condannarne gli
errori? Quante volte, ci chiediamo, il timore di esser tacciati di
cripto-lefebvriani ha
consigliato alcuni Frati di preferire la comoda strada dello status
quo anziché la difficile via
della proclamazione delle Verità cattoliche e della condanna degli
errori odierni? E ancora: quante volte abbiamo sentito noi stessi un
Frate progressista farsi beffe del Superiore o del Confratello più
conservatore, con la consapevolezza dell’impunità, quasi a
presagire le sedizioni degli ultimi mesi?
Di
sicuro nell’Ordine vi sono moltissimi degni e santi frati, ma tra i
cosiddetti conservatori, sin troppi hanno continuato ad
nauseam ad elogiare il Concilio
e la Messa riformata, quando in virtù del Motu Proprio
avrebbero potuto moltiplicare cento, mille volte le Messe tridentine,
e tacere - se non apertamente condannare - le squallide ambiguità
dell’assise romana e della sua tristissima liturgia. Il paradosso è
che, addirittura nella lettera anonima che denuncia le malversazioni
subite da parte del Commissario Apostolico, si giunge a far
riferimento alla ricchissima liturgia Cattolica, sia del
Novus che del Vetus Ordo. Quale
ricchissima liturgia del Novus Ordo,
di grazia? Come può affermare un’enormità del genere chi celebra
la Messa tridentina, se non per ingraziarsi un ascoltatore in mala
fede?
Avremmo
voluto sentire uno solo di questi Frati dire a chiare parole ciò che
ha detto recentemente don Alberto Secci:
Occorre
che chi ha avuto la grazia di capire, di cogliere questa dicotomia
terribile, decida di fronte a Dio di vivere integralmente il
cattolicesimo secondo la Tradizione. Questo è il punto. [...] In
virtù della celebrazione della Messa in rito antico dei fedeli
rimangono saldi agli insegnamenti e ai principi della Tradizione
della Chiesa; direi io, rimangono Cattolici semplicemente; i fedeli
che hanno subito la rivoluzione, invece, hanno solo una vaga
ispirazione cristiana nel migliore dei casi. […] Per questo, chi ha
avuto la grazia di capire la situazione drammatica, non può
barattare questa coscienza con la tranquillità personale. 2
In
sostanza, crediamo che il grosso equivoco in cui sono incorsi i Frati
dell’Immacolata consista nell’esser stati considerati
tradizionalisti,
mentre nei fatti essi si siano limitati ad un vago conservatorismo,
senza trovare il coraggio di essere coerenti fino in fondo con
quanto, per la formazione ricevuta e le aspettative dei fedeli,
sarebbe stato naturale manifestare senza remore.
Le
accuse di essere cripto-lefebvriani,
di essere contro il Concilio, avrebbero dovuto suonare come una
conferma del fatto che l’opera intrapresa era buona e santa: si
sarebbe dovuto menar vanto di tali accuse, quando chi le formula è
modernista e contro la Tradizione. La certezza di essere sulla strada
giusta viene proprio da queste opposizioni, da queste accuse tanto
generiche quanto pretestuose. Beati voi quando vi
insulteranno, vi perseguiteranno e, mentendo, diranno ogni sorta di
male contro di voi per causa mia.
E
poi, cos’avrebbe mai fatto di male Mons. Lefebvre? Disobbedire ai
geronti del Concilio e ai loro vergognosi diktat
per difendere l’ortodossia cattolica? Se non ci fosse stato lui,
oggi nessuno di noi avrebbe potuto nemmeno sperare lontanamente un
Motu Proprio. Come si
potrebbe essere favorevoli al Concilio, dopo tutti i disastri ch’esso
ha prodotto e che sono oggi riconosciuti, criticati e discussi anche
da eminenti studiosi, oltreché da Prelati e Cardinali? La differenza
tra questo grande Presule e il Clero conservatore è che il primo,
constatati gli effetti, seppe risalire alle cause; mentre il secondo
ritiene che si debba fingere che il Concilio non abbia nulla a che
vedere con gli amari frutti che ha prodotto; oppure che, pur
essendone causa, non si debba trarne le conseguenze logiche
condannandone i punti in contraddizione con il Magistero cattolico.
Un’assurdità che svela comunque o incapacità di raziocinio o una
vocazione al compromesso. E questo a Dio non piace.
Il
coraggio di Monsignore e la fedeltà dei suoi sacerdoti è l’unico
motivo per cui il Papa ha riconosciuto che la Messa tridentina
non fu mai abolita: eppure all’epoca egli fu perseguitato proprio
perché sosteneva esattamente la stessa cosa, non dimentichiamolo.
Hanno
ragione i detrattori dell’Ordine quando accusano i Frati di essere
cripto-lefebvriani e
contro il Concilio: vi è stato un momento in cui i Francescani
dell’Immacolata stavano capendo il disastro conciliare e
postconciliare, iniziavano a prendere le distanze dal Concilio,
celebravano preferibilmente la Messa cattolica e stavano quasi per
decidersi a metter da parte tutto il ciarpame ideologico
progressista, senza compromessi e senza tentennamenti; forse fu
quello il momento in cui la Provvidenza benedisse maggiormente
l’Ordine con vocazioni, grazie e sostegno dei fedeli. Ma
evidentemente mancò il coraggio. E qualche Frate ha ripetuto,
con don Abbondio: Il coraggio, uno non se lo può dare.
3
Il
monito
Ci
piace a questo punto ricordare un passo dei Promessi sposi
che riteniamo sarebbe da far
mandare a memoria a tutti i chierici dell’orbe cattolico. Si tratta
del colloquio del Cardinal Borromeo con don Abbondio, in cui il
porporato chiede conto al pavido curato della mancata celebrazione
delle nozze di Renzo e Lucia. Don Abbondio tergiversa, parla di tanti
accidenti. A questo punto il
Cardinale gli chiede:
-
Domando, - riprese il cardinale, - se è vero che, prima di tutti
codesti casi, abbiate rifiutato di celebrare il matrimonio, quando
n’eravate richiesto, nel giorno fissato; e il perché.
-
Veramente... se vossignoria illustrissima sapesse... che
intimazioni... che comandi terribili ho avuti di non parlare... - E
restò lì senza concludere, in un cert’atto, da far
rispettosamente intendere che sarebbe indiscrezione il voler saperne
di piú.
-
Ma! - disse il cardinale, con voce e con aria grave fuor del
consueto: - è il vostro vescovo che, per suo dovere e per vostra
giustificazione, vuol saper da voi il perché non abbiate fatto ciò
che, nella via regolare, era obbligo vostro di fare.
-
Monsignore, - disse don Abbondio, facendosi piccino piccino, - non ho
già voluto dire... Ma m’è parso che, essendo cose intralciate,
cose vecchie e senza rimedio, fosse inutile di rimestare... Però,
però, dico... so che vossignoria illustrissima non vuol tradire un
suo povero parroco. Perché vede bene, monsignore; vossignoria
illustrissima non può esser per tutto; e io resto qui esposto...
Però, quando Lei me lo comanda, dirò, dirò tutto.
-
Dite: io non vorrei altro che trovarvi senza colpa.
Allora
don Abbondio si mise a raccontare la dolorosa storia; ma tacque il
nome principale, e vi sostituì: un gran signore; dando così alla
prudenza tutto quel poco che si poteva, in una tale stretta.
-
E non avete avuto altro motivo? - domandò il cardinale, quando don
Abbondio ebbe finito.
-
Ma forse non mi sono spiegato abbastanza, - rispose questo: - sotto
pena della vita, m’hanno intimato di non far quel matrimonio.
-
E vi par codesta una ragion bastante, per lasciar d’adempire un
dovere preciso?
-
Io ho sempre cercato di farlo, il mio dovere, anche con mio grave
incomodo, ma quando si tratta della vita...
-
E quando vi siete presentato alla Chiesa, - disse, con accento ancor
più grave, Federigo, - per addossarvi codesto ministero, v’ha essa
fatto sicurtà della vita? V’ha detto che i doveri annessi al
ministero fossero liberi da ogni ostacolo, immuni da ogni pericolo? O
v’ha detto forse che dove cominciasse il pericolo, ivi cesserebbe
il dovere? O non v’ha espressamente detto il contrario? Non v’ha
avvertito che vi mandava come un agnello tra i lupi? Non sapevate voi
che c’eran de’ violenti, a cui potrebbe dispiacere ciò che a voi
sarebbe comandato? Quello da Cui abbiam la dottrina e l’esempio, ad
imitazione di Cui ci lasciam nominare e ci nominiamo pastori, venendo
in terra a esercitarne l’ufizio, mise forse per condizione d’aver
salva la vita? E per salvarla, per conservarla, dico, qualche giorno
di più sulla terra, a spese della carità e del dovere, c’era
bisogno dell’unzione santa, dell’imposizion delle mani, della
grazia del sacerdozio? Basta il mondo a dar questa virtù, a insegnar
questa dottrina. Che dico? oh vergogna! il mondo stesso la rifiuta:
il mondo fa anch’esso le sue leggi, che prescrivono il male come il
bene; ha il suo vangelo anch’esso, un vangelo di superbia e d’odio;
e non vuol che si dica che l’amore della vita sia una ragione per
trasgredirne i comandamenti. Non lo vuole; ed è ubbidito. E noi! noi
figli e annunziatori della promessa! Che sarebbe la Chiesa, se
codesto vostro linguaggio fosse quello di tutti i vostri confratelli?
Dove sarebbe, se fosse comparsa nel mondo con codeste dottrine?
Don
Abbondio stava a capo basso: il suo spirito si trovava tra quegli
argomenti, come un pulcino negli artigli del falco, che lo tengono
sollevato in una regione sconosciuta, in un’aria che non ha mai
respirata. Vedendo che qualcosa bisognava rispondere, disse, con una
certa sommissione forzata: - monsignore illustrissimo, avrò torto.
Quando la vita non si deve contare, non so cosa mi dire. Ma quando
s’ha che fare con certa gente, con gente che ha la forza, e che non
vuol sentir ragioni, anche a voler fare il bravo, non saprei cosa ci
si potesse guadagnare. È un signore quello, con cui non si può né
vincerla né impattarla.
-
E non sapete voi che il soffrire per la giustizia è il nostro
vincere? E se non sapete questo, che cosa predicate? di che siete
maestro? qual è la buona nuova che annunziate a’ poveri? Chi
pretende da voi che vinciate la forza con la forza? Certo non vi sarà
domandato, un giorno, se abbiate saputo fare stare a dovere i
potenti; che a questo non vi fu dato né missione, né modo. Ma vi
sarà ben domandato se avrete adoprati i mezzi ch’erano in vostra
mano per far ciò che v’era prescritto, anche quando avessero la
temerità di proibirvelo.
"
Anche questi santi son curiosi, - pensava intanto don Abbondio: - in
sostanza, a spremerne il sugo, gli stanno piú a cuore gli amori di
due giovani, che la vita d’un povero sacerdote ". E, in
quant’a lui, si sarebbe volentieri contentato che il discorso
finisse lí; ma vedeva il cardinale, a ogni pausa, restare in atto di
chi aspetti una risposta: una confessione, o un’apologia, qualcosa
in somma.
-
Torno a dire, monsignore, - rispose dunque, - che avrò torto io...
Il coraggio, uno non se lo può dare.
Ecco
la colpa ammessa: pavidità. Una pavidità che ha causato tanti danni
ai buoni. A queste parole il Cardinale replica:
-
E perché dunque, potrei dirvi, vi siete voi impegnato in un
ministero che v’impone di stare in guerra con le passioni del
secolo? Ma come, vi dirò piuttosto, come non pensate che, se in
codesto ministero, comunque vi ci siate messo, v’è necessario il
coraggio, per adempir le vostre obbligazioni, c’è Chi ve lo darà
infallibilmente, quando glielo chiediate? Credete voi che tutti que’
milioni di martiri avessero naturalmente coraggio? che non facessero
naturalmente nessun conto della vita? tanti giovinetti che
cominciavano a gustarla, tanti vecchi avvezzi a rammaricarsi che
fosse già vicina a finire, tante donzelle, tante spose, tante madri?
Tutti hanno avuto coraggio; perché il coraggio era necessario, ed
essi confidavano. Conoscendo la vostra debolezza e i vostri doveri,
avete voi pensato a prepararvi ai passi difficili a cui potevate
trovarvi, a cui vi siete trovato in effetto? Ah! se per tant’anni
d’ufizio pastorale, avete (e come non avreste?) amato il vostro
gregge, se avete riposto in esso il vostro cuore, le vostre cure, le
vostre delizie, il coraggio non doveva mancarvi al bisogno: l’amore
è intrepido. Ebbene, se voi gli amavate, quelli che sono affidati
alle vostre cure spirituali, quelli che voi chiamate figliuoli;
quando vedeste due di loro minacciati insieme con voi, ah certo! come
la debolezza della carne v’ha fatto tremar per voi, così la carità
v’avrà fatto tremar per loro. Vi sarete umiliato di quel primo
timore, perché era un effetto della vostra miseria; avrete implorato
la forza per vincerlo, per discacciarlo, perché era una tentazione:
ma il timor santo e nobile per gli altri, per i vostri figliuoli,
quello l’avrete ascoltato, quello non v’avrà dato pace, quello
v’avrà eccitato, costretto, a pensare, a fare ciò che si potesse,
per riparare al pericolo che lor sovrastava... Cosa v’ha ispirato
il timore, l’amore? Cosa avete fatto per loro? Cosa avete pensato?
E
tacque in atto di chi aspetta.
Tacciamo
anche noi, in atto di chi aspetta. Ma non possiamo esimerci dal
chiederci se questa persecuzione verso i FFI non sia altro che una
punizione celeste per quanti, all’interno di un Ordine tanto
benedetto dal Cielo, ha esitato, temporeggiato anziché
coraggiosamente cogliere le mille occasioni offerte per difendere la
Chiesa senza stare coi piedi in due staffe. A chi è stato dato molto, molto sarà chiesto.
_____________________
1Cfr.
il sito ufficiale della FSSPX
2Cfr.
http://blog.messainlatino.it/2013/12/intervista-don-alberto-secci.html
3Alessandro
Manzoni, I promessi sposi,
cap. XXV
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....[Tacciamo
anche noi, in atto di chi aspetta. Ma non possiamo esimerci dal
chiederci se questa persecuzione verso i FFI non sia altro che una
punizione celeste per quanti, all’interno di un Ordine tanto
benedetto dal Cielo, ha esitato, temporeggiato anziché
coraggiosamente cogliere le mille occasioni offerte per difendere la
Chiesa senza stare coi piedi in due staffe. A chi è stato dato molto, molto sarà chiesto.]
.... E' PER QUESTI MOTIVI, CHE SI ESORTANO I FRANCESCANI DELL'IMMACOLATA AD UNIRSI ALLA
Nuova Crociata del Rosario
Il Superiore Generale della Fraternità San Pio X lancia una nuova Crociata del Rosario dal 1 gennaio all’ 8 giugno, festa della Pentecoste, per queste intenzioni:
• Implorare una protezione speciale del Cuore Immacolato di Maria sulle opere della Tradizione;
• Per il ritorno della Tradizione nella Chiesa;
• Per il trionfo del Cuore Immacolato di Maria e la consacrazione della Russia.
Invitiamo tutti ad unirsi a questa nuova mobilitazione di preghiera.
• Per il ritorno della Tradizione nella Chiesa;
• Per il trionfo del Cuore Immacolato di Maria e la consacrazione della Russia.
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