Intervista a don Gabriele D’Avino
Intervista a don Gabriele D’Avino
Don Gabriele D’Avino, dopo il normale
ciclo di sei anni di studio, è stato ordinato sacerdote il 26 giugno
scorso nel Seminario di Ecône in Svizzera, della Fraternità Sacerdotale
San Pio X.
di Marco Bongi
D. 1 - Rev. don Gabriele, ci può
brevemente raccontare come è nata la Sua vocazione sacerdotale? C'è
qualche episodio particolare che ha contribuito ad orientarLa verso
questa decisione?
Lo sbocciare di una vocazione sacerdotale resta, perfino per se stessi, un profondo mistero: è il segreto tra un’anima e Dio.
Tuttavia
l’assidua frequenza alla santa Messa ed ai sacramenti, oltre che la
presenza costante di sacerdoti nella vita di un giovane possono senza
dubbio spiegare il desiderio di imitare un ideale di vita che si
condivide e si conosce bene. Ma, appunto, ciò non basta: la vocazione è
una “chiamata” che Dio fa conoscere alla persona attraverso tanti segni:
desiderio di salvare le anime, amore per la Chiesa e la santa Messa,
attitudine allo studio ed alla vita di preghiera, consigli di sacerdoti
esperti…
Durante la mia adolescenza avevo notato tutto ciò, e ad un
certo punto, nel corso della mia carriera da studente, ho capito più
chiaramente cosa desiderasse Dio da me, come potessi consacrare a Dio la
vita che gratuitamente Egli mi aveva elargito. Stabilii che non era più
il momento di indugiare e con grande entusiasmo decisi di intraprendere
questa strada; il tutto senza precisi avvenimenti, ma con un bagaglio
di esperienze e di formazione dottrinale che di certo hanno contribuito a
farmi maturare la scelta: non ultimi, gli Esercizi spirituali di
Sant’Ignazio di Loyola.
D. 2 - Come ha reagito la Sua famiglia quando le ha comunicato l'intenzione di diventare Sacerdote?
Grazie
a Dio ho trovato piena comprensione e totale appoggio dalla mia
famiglia: non ne dubitavo, poiché è grazie all’educazione cristiana
ricevuta dai miei genitori che è stata possibile da parte mia una
generosa risposta alla chiamata del Signore; ma di certo questo appoggio
che ho avuto è stato di fondamentale importanza sia all’inizio della
mia formazione sia durante tutti gli anni del Seminario.
D. 3 - E gli amici? Si sono mostrati contenti, stupiti o inclini alla derisione?
Anche
in questo caso sono stato fortunato: i miei amici più cari, con i quali
ancora oggi sono in contatto, hanno approvato la mia scelta nonostante
il naturale dispiacere della separazione; ho potuto constatare con gioia
fino a che punto questi vincoli di amicizia fossero forti, poiché
alcuni di essi sono stati presenti a tutte le “tappe” della mia
formazione sacerdotale (vestizione, ordini minori, ordini maggiori)
nonostante i mille chilometri che separano la mia città dal seminario di
Ecône!
D. 4 - Per quale motivo, una volta presa la decisione, si è rivolto alla FSSPX e non al seminario della Sua Diocesi?
Non
ho mai avuto altra prospettiva di formazione sacerdotale che i seminarî
della Fraternità San Pio X: fin da piccolo infatti frequento la
congregazione grazie alla scelta che fecero i miei genitori negli anni
’80 di seguire la Tradizione contro il dilagare degli errori moderni. Ho
potuto di conseguenza constatare, durante tutta la mia infanzia e
adolescenza, la profondità spirituale dei sacerdoti che ho conosciuto,
la loro accurata preparazione dottrinale, la loro ineccepibile condotta
morale: era naturale, dunque, che guardassi verso Ecône, baluardo della
fede cattolica. Ero sicuro che, in questo periodo di profonda crisi
all’interno della Chiesa, solo una formazione sacerdotale tradizionale
quale quella che impartiscono i seminarî della Fraternità fosse degna di
essere presa in considerazione al fine di far “sopravvivere” il
sacerdozio cattolico che, a causa del modernismo, vive tuttora una grave
crisi d’identità e non ha più come punto di riferimento la Rivelazione e
il dogma.
D. 5 - Come è stato il primo impatto con il Seminario all'estero? Ha trovato difficoltà di integrazione o linguistiche?
Non
ricordo di essermi mai sentito disorientato fin dal mio primo contatto
con il seminario. Certo, il paese e la lingua stranieri, le persone di
un’altra cultura, e soprattutto la prospettiva di passare sei anni
lontano dalla propria terra rappresentano un sacrificio da affrontare:
ma l’atmosfera cordiale dei confratelli, la disponibilità dei professori
del seminario e in generale il clima di carità fraterna che regna in
quest’ambiente “protetto” porta più ad unire che a dividere gli animi, e
tutto sembra fatto apposta per eliminare qualsiasi difficoltà
integrativa.
D. 6 - Che ricordi
conserva degli anni trascorsi in seminario? Ha dovuto superare momenti
di crisi? Se sì... Chi l'ha maggiormente aiutata a superarli?
Il
ricordo degli anni passati in seminario è molto confortante, sia dal
punto di vista spirituale, sia da quello intellettuale: la vita di
unione a Dio a cui quotidianamente si tende e gli studî sempre
interessanti creano un clima ideale per la formazione di un sacerdote:
pur senza farne un paradiso terrestre (non esiste un contesto umano o
un’esperienza che non presenti anche una minima difficoltà) ricorderò
sempre con gioia i begli anni passati ad Ecône e le amicizie che vi ho
stretto con i confratelli, molti dei quali sono oggi sacerdoti come me.
D.
7 - Gli studi in seminario sono difficili? Può aspirare al sacerdozio
anche un giovane che non possieda basi culturali molto profonde?
Il
livello degli studî in seminario è, come lo indica il nostro fondatore
negli statuti, di tipo “quasi universitario”; pur essendoci una grande
comprensione per la differenza di livello degli aspiranti al sacerdozio,
i quali provengono dai più svariati contesti e con una grande diversità
di bagaglio culturale, è chiaro che è richiesto un minimo di attitudine
allo studio: il sacerdote è chiamato ad insegnare, vuoi la domenica dal
pulpito, vuoi per il catechismo ai bambini ed agli adulti, vuoi per
conferenze dottrinali che possono essergli richieste.
Le materie di
studio spesso sono di per sé difficili: penso ad esempio ai trattati di
teologia sulla Trinità o l’Eucaristia, o anche ai corsi di Metafisica ed
Ecclesiologia; tuttavia si tiene sempre conto del livello di ciascuno e
non si richiede necessariamente a tutti il massimo dell’approfondimento
possibile!
D. 8 - Ha trovato
comprensione negli insegnanti? Che rapporto si instaura fra i
seminaristi e i superiori? Nel seminario si respira un clima di gioia o,
come molti pensano, un'atmosfera di cupa severità?
Il
rapporto tra gli insegnanti e i seminaristi è franco e cordiale, ma che
mantiene un necessario distacco che eviti l’eccessiva familiarità, al
fine di rendere ben chiara la distinzione dei ruoli. Ritengo che
quest’aspetto sia indispensabile per la serietà ed anche la credibilità
della formazione data. Tutto ciò, come dicevo anche prima, in un clima
generale di serenità e di sana allegria: giusto il contrario
dell’immagine che comunemente si dà degli ambienti religiosi del tipo
“Il nome della rosa” che deriva, a mio avviso, da un banale pregiudizio…
D.
9 - Oggi che è diventato Sacerdote: che effetto Le fa di poter
finalmente celebrare il S. Sacrificio della Messa? Verso quale tipo di
Apostolato si sente più attratto?
Salire per la prima
volta all’altare è un’emozione indescrivibile che il sacerdote porterà
nel cuore per tutta la vita; è l’inizio di un’unione al Dio incarnato
che si attua ormai fra le sue mani e che costituisce il mistero più
grande della nostra fede, quello della Redenzione del genere umano,
compiuto ogni giorno sugli altari.
L’apostolato che più mi attrae è
quello che ho imparato a conoscere negli anni della mia gioventù
attraverso i sacerdoti che ho frequentato: quello di tipo “parrocchiale”
delle nostre cappelle e centri di Messa; un apostolato che, soprattutto
in Italia dove la Fraternità è ancora in crescita, assomiglia a quello
di San Paolo a causa dei numerosi viaggi e spostamenti; cosa che ho
sempre trovato simpatica ed entusiasmante!
D.
10 - In conclusione: che consiglio pratico si sente di dare ai giovani
di oggi, spesso confusi ed indecisi sul tipo di vita da intraprendere?
Esiste qualche criterio per conoscere il progetto di Dio nella propria
vita?
10) Discernere la propria vocazione, nonostante i
preziosi consigli di persone esperte (soprattutto di sacerdoti) che
certo vanno richiesti, riguarda in ultima analisi il singolo soggetto: a
lui va la responsabilità integrale della scelta, a cui può
effettivamente corrispondere la “chiamata” della Chiesa con l’appello
del Vescovo nell’ordinazione. Tale scelta, lungi dall’essere avventata o
sentimentale, deve essere matura, ragionevole, libera da ogni interesse
di tipo temporale ma unicamente guidata dall’amore di Dio e della
Chiesa.
Ma (e questo è un punto che ritengo fondamentale alla luce
della mia ancor breve esperienza) la domanda sulla scelta del proprio
stato di vita è senz’altro obbligatoria e non può essere saltata a piè
pari. Esorto quindi i giovani cristiani ad aprire prima di tutto a se
stessi il proprio cuore e a porsi sinceramente questa domanda, mettendo
da parte un certo naturale egoismo: Cosa vuole Dio da me?
Nessun commento:
Posta un commento