Articolo pubblicato sul sito americano Catholic Family News
di John Vennari
Il Ju-Jitsu è un tipo di arte marziale in cui si utilizzano i punti forza dell’avversario per usarli contro di lui. Non posso fare a meno di chiedermi se non sia questa la tattica usata oggi dal Vaticano contro la Fraternità San Pio X.
Quali sono i punti di forza del cattolico tradizionale se non il desiderio di essere ubbidiente, l’amore per il papato, la pietà filiale, il buon ordine e il desiderio di farsi strumento per contribuire a porre fine all’odierna e del tutto inedita crisi della Fede?
Oggi sentiamo ufficiosamente – cioè non direttamente dallo stesso Papa Benedetto – che per la “regolarizzazione” non verrà richiesto alla FSSPX di accettare il Concilio Vaticano II e la nuova Messa. Sentiamo che il Papa è pronto a concedere questo perché vuole che la Fraternità lo aiuti a risolvere la crisi della Chiesa.
In effetti, come ho detto in passato: se è vero che la Fraternità non deve accettare il Concilio, questo potrebbe costituire un reale cambio di passo, potrebbe segnare l’effettiva fine del Vaticano II. Perché è impossibile che un gruppo di cattolici nel mondo possa considerarsi “esente” dall’abbracciare il Concilio, mentre tutti gli altri continuino ad essere tenuti ad accettarlo.
Ed per questa ragione che credo che non vedremo mai Papa Benedetto XVI dare una garanzia scritta alla Fraternità perché non possa accettare il Concilio. E se garanzie come questa non sono scolpite nella pietra, pubblicamente perché tutti le vedano, allora ogni accordo sarà costellato di pericoli.
Nessuno di noi può predire il futuro e sarei felice se fossi smentito. Ma se fossi uno scommettitore, piazzerei la mia posta su Benedetto XVI che protegge il Vaticano II fino in fondo.
Abbiamo anche sentito delle voci secondo le quali Papa Benedetto sarebbe in qualche modo cambiato, che sarebbe più tradizionale che in passato.
Ho avuto il privilegio di studiare filosofia col Dott. Raphael Waters, uno dei migliori tomisti dell’America del Nord. Egli insisteva sul fatto che, in campo filosofico, l’argomento dell’autorità è sempre il più debole. Conta solo l’evidenza.
Non posso impedirmi di applicare questa massima alle voci su Benedetto XVI divenuto più tradizionale. È possibile che sia vero, ma dal momento che “il modo d’agire segue il modo d’essere”, le recenti azioni di Papa Benedetto ci portano a ritenere che non ci sia un gran cambiamento.
Innanzi tutto, abbiamo già sentito questo tipo di considerazioni, nel lontano 1988.
Non si può certo dire che faccia testo, ma ricordo bene quando andai ad ascoltare una lezione di uno dei primi sacerdoti della Fraternità San Pietro, nell’estate del 1988 in North Jersey. Questi fu ricco di elogi per il Card. Ratzinger. Quando uno del pubblico mise avanti il modernismo del Card. Ratzinger, il sacerdote gelò con lo sguardo i convenuti e rispose altezzosamente: “Beh, lei non conosce il nuovo Card. Ratzinger!”. Il tempo ha dimostrato che non c’era niente di nuovo.
Per quanto riguarda Papa Benedetto: si veda quello che ha affermato in passato e che indica qual è stata la sua mentalità in tutta la sua carriera, e poi si guardi alle sue recenti azioni per vedere se si nota un qualche notevole cambiamento.
Costante progressismo
Prima di dare inizio a queste mie considerazioni, voglio invitare il lettore a resistere alle reazioni emotive. Quando ho fatto notare i seguenti semplici fatti, ho visto persone che subito si son messe a gridare: “Stai attaccando il Papa” o “Stai facendo del sedevacantismo”.
Niente di ciò che dirò è un attacco. Io espongo semplicemente i fatti, senza emozione. Per di più, non sono mai stato tentato dalla posizione sedevacantista. Considero il sedevacantismo come una sorta di disperazione che finisce col porre più problemi di quanti ne risolva.
Il Card. Ratzinger ha pubblicato alcune scioccanti dichiarazioni nel suo libro del 1986, Principles of Catholic Theology, un libro che non userei mai per insegnare la fede cattolica. Non si tratta del solo libro che contenga dei passi inquietanti del Cardinale, ma sarà sufficiente come esempio.
A pag. 202, il Card. Ratzinger dice: “Il cattolico non deve insistere sulla dissoluzione della confessione protestante e sulla demolizione delle altre chiese, ma auspicare piuttosto che esse si rafforzino nelle rispettive confessioni e nelle loro realtà ecclesiali”. L’ovvia conclusione è che l’Autore si augura che i protestanti diventino più forti e si aggrappino sempre meglio alle loro credenze eretiche anatemizzate dall’infallibile Concilio di Trento.
Canto comune della “vescova” Jespen e del Card. Ratzinger
A pag. 381, il Cad. Ratzinger scrive: “[Gaudium et Spes] nel complesso si può dire che, insieme ai testi sulla libertà religiosa e sulle religioni del mondo, si tratta di una revisione del Sillabo di Pio IX, una sorta di contro-Sillabo… Qui ci accontentiamo di dire che il testo funge da contro-Sillabo e come tale rappresenta da parte della Chiesa un tentativo di riconciliazione ufficiale con la nuove era inaugurata nel 1789…”.
Egli parla della “unilateralità della posizione adottata dalla Chiesa sotto Pio IX e Pio X” e sostiene che il Sillabo rappresenta “una obsoleta relazione tra Chiesa e Stato”.
In altre parole, l’Autore afferma che due dei più grandi papi della storia della Chiesa furono “unilaterali” nei loro sforzi per proteggere la Chiesa dagli errori del liberalismo e del modernismo. E arriva fino a celebrare il Vaticano II per aver fatto il “tentativo” di “correggere” e “contrastare” l’insegnamento del beato Pio IX e di San Pio X e riconciliare la Chiesa con la massonica Rivoluzione Francese e con l’Illuminismo.
A pag. 191 dello stesso libro, si legge: “Non ci può essere un ritorno al Sillabo” del beato Pio IX. Cosa che può compiacere solo i Massoni, che hanno lavorato per rovesciare il Sillabo fin dal suo apparire nel 1864.
Il fatto che egli riconosca che il Vaticano II è come un contro-Sillabo, dimostra che il Concilio è in rottura col passato. Qualsiasi discorso sul Concilio nel contesto dell’“ermeneutica della continuità” non è realistico.
A pag. 334, il Card. Ratzinger dice: “L’impulso dato da Teilhard de Chardin ha esercitato una grande influenza. Con una visione audace, si incorpora lo storico movimento del cristianesimo nel grande processo di evoluzione cosmica”.
Teilhard, che fu un panteista e un evoluzionista, è stato ammirato e difeso dal mentore di Ratzinger: il Padre Henri de Lubac. Il Cardinale continua a gioire del fatto che questa teilhardiana influenza evolutiva sia particolarmente evidente nel documento conciliare Gaudium et Spes.
“Non ci opporremo mai abbastanza a costoro”
Dei cattolici tradizionali che si oppongono al Vaticano II, il Card. Ratzinger, a pag. 389, dice: “Fu il Concilio una strada sbagliata che oggi dobbiamo ritracciare se vogliamo salvare la Chiesa? Le voci di coloro che lo affermano stanno diventando sempre più forti e i loro seguaci sempre più numerosi. Tra i fenomeni più evidenti degli ultimi anni dobbiamo annoverare il crescente numero di gruppi integralisti che cercano soddisfazione per il loro desiderio di pietà, del senso del mistero. Dobbiamo guardarci dal minimizzare questi movimenti. Essi rappresentano indubbiamente un fanatismo settario che è l’antitesi della cattolicità. Non ci opporremo mai abbastanza a costoro”.
Ritroviamo questi analoghi sentimenti del Card. Ratzinger – oggi Benedetto XVI – appena tre anni fa.
Il 10 marzo 2009, scrivendo ai vescovi del mondo sulla revoca della presunta ‘scomunica” della FSSPX, Papa Benedetto mette in rilievo quelli che considera come elementi positivi della “regolarizzazione” dei gruppi tradizionali, i quali tendono ad ammorbidire la loro posizione:
“Io stesso ho visto, negli anni dopo il 1988, come mediante il ritorno di comunità prima separate da Roma sia cambiato il loro clima interno; come il ritorno nella grande ed ampia Chiesa comune abbia fatto superare posizioni unilaterali e sciolto irrigidimenti così che poi ne sono emerse forze positive per l’insieme”.
Ma, un momento, non abbiamo già visto usare questo termine “unilaterale” dal Card. Ratzinger? E già: lo ha usato nella sua denuncia di Pio IX e del Sillabo del 1864: “unilateralità della posizione adottata dalla Chiesa sotto Pio IX e Pio X”.
Si tratta della stessa terminologia che abbiamo riscontrato nei suoi Principles of Catholic Theology del 1986.
E cosa rappresentano i gruppi tradizionali – specialmente la Fraternità San Pio X – se non una fiera adesione agli insegnamenti dei papi Pio IX e San Pio X?
Su questo punto, voglio raccontare di quando andai nell’ufficio dell’Ecclesia Dei, nel 1994. Ero con un gruppo che voleva verificare di prima mano cosa comportasse la “regolarizzazione”. Il prete dell’ufficio dell’Ecclesia Dei vantò con orgoglio che la nuova “regolarizzata” Fraternità San Vincenzo Ferreri “adesso scrive articoli che difendono la libertà religiosa del Vaticano II”.
Così anche i monaci di Le Barroux: non molto tempo dopo la loro “regolarizzazione” hanno iniziato a produrre opere in difesa della libertà religiosa del Concilio, difendendo anche il nuovo Catechismo.
Ne consegue che, quando recentemente Papa Benedetto si compiace che i gruppi “regolarizzati” abbiano “cambiato il loro clima interno”, “sciolto irrigidimenti” e superato “posizioni unilaterali”, non vi sia altra interpretazione se non che gioisca del fatto che gli istituti una volta tradizionali difendano oggi proprio quegli stessi punti del Concilio ai quali si opponevano prima della “regolarizzazione”.
Sinagoghe e Assisi
Nel 2007 Papa Benedetto compì il passo importante di ammettere che la Messa tridentina non fosse mai stata abrogata. Ma nel 2008, Papa Benedetto scioccò il mondo cattolico tradizionale cambiando la preghiera per gli Ebrei che si recita il Venerdì Santo con la Messa Tridentina.
A pag. 106 del suo libro del 2010, Luce del mondo, lo stesso Benedetto XVI ammette che il cambiamento fu deciso perché quella preghiera era offensiva per gli Ebrei e, sostiene, teologicamente imprecisa.
Quando l’intervistatore gli chiede perché nel 2008 è stata cambiata la preghiera del Venerdì Santo, egli risponde:
“Mi sembrò che nella vecchia liturgia questo punto richiedesse una modifica. La vecchia formulazione era realmente offensiva per gli Ebrei e non riusciva ad esprimere l’intrinseca complessiva unità tra il Vecchio e il Nuovo Testamento. Ritenni che fosse necessaria una modifica di questo passo della vecchia liturgia, soprattutto, come ho già detto, in considerazione del nostro rapporto con gli amici Ebrei. Modificai il testo in modo da esprimere il nostro credo che Cristo che è il Salvatore di tutti, che non vi sono due vie di salvezza e che Cristo è anche il Redentore degli Ebrei e non solo dei Gentili. Ma la nuova formulazione sposta anche l’attenzione dalla diretta richiesta di conversione degli Ebrei in senso missionario all’appello che il Signore possa condurci all’ora della storia nella quale si possa essere tutti uniti”.
In nessun punto di questa nuova formula si può vedere una preghiera per la conversione degli Ebrei (Ho approfondito questo e altro nel mio articolo dell’aprile 2011, Common Mission and ‘Significant Silence).
Papa Benedetto XVI si è anche preoccupato di visitare le sinagoghe.
Mentre Giovanni Paolo II visitò una sola sinagoga in 26 anni di pontificato, Benedetto XVI ha visitato tre sinagoghe nel giro di 6 anni. Nella sua ultima visita alla Sinagoga di Roma nel gennaio 2010, il rabbino David Rosen esultò per il fatto che “Papa Benedetto ha istituzionalizzato la rivoluzione”.
Arriviamo quindi all’ultimo incontro di Assisi, dell’ottobre 2011. Qui Papa Benedetto ha convocato i capi delle religioni del mondo per sostenere insieme la causa della pace. Ho partecipato all’evento. Nella Basilica di Santa Maria degli Angeli, il santuario più venerato del mondo cattolico, è stato concesso a Wande Abimbola di invocare il dio e le dee della religione Yaruba dall’interno del santuario. Anche un Indù ha invocato la sua versione di dio “ti vedo in ogni mano e in ogni piede… mi inchino a te in tutti loro”. L’Indù ha continuato proclamando il principio relativista che “la verità è una”, ma “annunciata in modi diversi”.
Queste invocazioni non erano una sorpresa per nessuno, erano già state stampate a colori nel libretto che ho ricevuto in sala stampa il giorno prima dell’evento.
L’evento di Assisi è la manifestazione visiva della più grande eresia del nostro tempo: qualsiasi religione è buona per la salvezza. È l’incarnazione dell’indifferentismo religioso.
Il grande Abimbola è il secondo alla sinistra di Benedetto XVI
Eppure era così scandalizzato da Assisi che si vide costretto ad ammettere in onda:
“Anche prima della riunione, nella prima udienza generale del 2011, il Santo Padre aveva annunciato la sua intenzione di andare ad Assisi e convocare questo terzo incontro… precisando che lo scopo di questo evento era di invitare i rappresentanti delle diverse religioni, quelle appena richiamate da John, a ritrovarsi con lui per rinnovare solennemente l’impegno dei credenti di ogni religione a vivere la propria fede religiosa al servizio della causa della pace”.
“A me, questo ha fatto venire in mente due cose”, ha continuato Verrechio, “Una, quanto dobbiamo pregare per il nostro Santo Padre, circondato com’è da nemici e tirato in ogni sorta di direzione diversa: per resistere egli ha bisogno delle nostre preghiere. L’altra, come siamo caduti in basso nel corso di due millenni, soprattutto negli ultimi quattro decenni. Sarebbe stato assolutamente impensabile per un Romano Pontefice affermare che i non cattolici fanno bene a persistere nella loro falsa religione per un qualsivoglia motivo, per di più aggiungendo che in tal modo possano rendere un servizio alla causa della pace. Come ha detto John, si tratta semplicemente di un pensiero non cattolico”.
Indubbiamente sarei ben felice di apprendere che papa Benedetto sia diventato segretamente – molto segretamente – più tradizionale. Ma, come diceva il Dott. Waters: “conta solo l’evidenza”.
Il Concilio
A queste difficoltà, occorre aggiungere l’opposizione di gran parte della Curia e dei moderni cattolici a tutto ciò che potrebbe sminuire il Vaticano II.
Come abbiamo segnalato il mese scorso, il Card. Koch ha dichiarato pubblicamente in Vaticano che tutti i cattolici – Fraternità San Pio X inclusa - sono tenuti ad accettare il Concilio. Abraham Foxman, della Anti-Defamation League, ha diramato il 31 maggio un comunicato stampa in cui criticava il Card. Brandmüller per aver dichiarato che Nostra Aetate, il decreto del Vaticano II sugli Ebrei, non è un documento vincolante, e in cui lodava il Card. Koch per aver dichiarato che i cattolici sono tenuti ad accettare tutto del Concilio, compresa Nostra Aetate.
Gruppi ebraici come l’ADL non vogliono vedere ‘regolarizzata” la FSSPX. Come ho riferito due mesi fa in CFN, un rabbino del luogo ha dichiarato ad un giornalista di Buffalo che lui e i suoi colleghi rabbini sono molto nervosi per la possibile “regolarizzazione” della FSSPX. Essi temono che possa accadere che il Vaticano ritorni alla dottrina cattolica tradizionale, secondo la quale la vecchia Alleanza è stata sostituita dalla Nuova. Sembra che questi rabbini abbiano una comprensione di alcune delle questioni in giuoco, maggiore di tanti cattolici tradizionali. Non c’è da dubitare che rabbini ed Ebrei stiano esprimendo le loro preoccupazioni a Roma.
Fraternità e vescovi diocesani
Passiamo adesso a “ciò che si dice nel mondo”.
Anche se nulla è ancora concluso, sembra che Roma insista con la Fraternità per una “regolarizzazione” che renda impossibile nuove installazioni senza il permesso del vescovo locale.
Nella recente intervista a DICI dell’8 giugno, parlando della Prelatura personale offerta da Roma, Mons. Bernard Fellay ha detto: “Tuttavia, diciamolo chiaramente, se ci venisse accordata una prelatura personale, la nostra situazione non sarebbe la stessa. Per meglio comprendere ciò che accadrebbe, bisogna pensare che il nostro statuto sarebbe molto più simile a quello dell’ordinariato militare, perché avremmo una giurisdizione ordinaria sui fedeli. Saremmo così una sorta di diocesi la cui giurisdizione si estende a tutti i suoi fedeli indipendentemente dal loro collocamento territoriale. Tutte le cappelle, chiese, priorati, scuole, opere della Fraternità e delle Congregazioni religiose amiche sarebbero riconosciute con una reale autonomia per il loro ministero. Resta vero – secondo il diritto della Chiesa – che per aprire una nuova cappella o fondare un’opera, sarà necessario avere il permesso dell’ordinario del luogo. Evidentemente, noi abbiamo rappresentato a Roma quanto sia difficile la nostra attuale situazione nelle diocesi, e Roma ci sta ancora lavorando. Qui o là, questa difficoltà sarà reale, ma quando mai la vita è senza difficoltà?”
Mons. Tissier de Mallerais, anche lui della FSSPX, esprime un giudizio negativo su questa proposta. In un’intervista rilasciata il 1 giugno al giornale francese Rivarol, egli dice: “Secondo il progetto di prelatura, non saremmo liberi di impiantare nuovi priorati senza il permesso dei vescovi locali e inoltre tutte le nostre recenti fondazioni dovrebbero essere confermate da questi stessi vescovi. Questo equivarrebbe quindi ad asservirci del tutto inutilmente ad un episcopato globalmente modernista”.
Infine, sul piano dottrinale sembra che nulla sia stato firmato, nulla che sia ancora pubblico, nulla di scolpito nella pietra.
Il 13 giugno si è svolto un incontro tra Mons. Fellay e il Card. Levada. I comunicati dicono che non c’è ancora un accordo sul Preambolo dottrinale.
Nel comunicato di Menzingen del giorno dopo si dice che Mons. Fellay ha esposto al Card. Levada “le difficoltà dottrinali che pongono il Concilio Vaticano II e il Novus Ordo Missae”, e si aggiunge che “La volontà di chiarimenti supplementari potrebbe comportare una nuova fase di discussioni”.
Lo stesso 14 giugno, per quello che può valere, il giornale francese Le Figaro riportava che Mons. Fellay sarebbe tornato dal Vaticano “con un dossier più pesante di quanto previsto”.
Il Card. di Colonia, Joachim Meisner, ha dichiarato recentemente di ritenere che tra la Chiesa e la Fraternità San Pio X sia stato svolto un buon lavoro, ma che comunque vi sia “ancora una lunga strada da percorrere”.
Il Capitolo generale
Dl 1 al 14 luglio, la Fraternità San Pio X terrà il suo Capitolo generale, nel quale saranno discusse queste questioni. È noto che non tutti nella Fraternità pensano che in questo momento la regolarizzazione sia una buona mossa. È di dominio pubblico che Mons. Williamson, Mons. Tissier de Mallerais e Mons. de Galarreta hanno espresso collettivamente a Mons. Fellay la loro preoccupazione per questa regolarizzazione.
Castel Gandolfo, 29 agosto 2005:
il Santo Padre riceve in udienza Mons. Bernard Fellay
Il 1 maggio del 2005, dodici giorno dopo l’elezione di Papa Benedetto XVI, in una conferenza che ho fatto a proposito del nuovo Papa, dicevo: “Credo che abbia la potenzialità per dividere a metà l’ambito tradizionale e spaccare in due i gruppi tradizionali, perché sono in tanti ad essersi innamorati delle belle cose che ha detto a proposito della Messa in latino”.
Allora dissi pure quello che credo sia valido ancora oggi: Papa Benedetto XVI è prima di tutto e soprattutto un uomo del Vaticano II.
Dovremo quindi raddoppiare le nostre preghiere per un felice esito del prossimo Capitolo generale. Le mie personali preghiere per la FSSPX – adesso e nel corso della riunione cruciale – chiederanno che ci si accosti a quest’ultima apertura romana con cautela, con tanta cautela, con sempre maggiore cautela.
Tratto da: http://www.unavox.it/ArtDiversi/DIV296_Vennari_Ju-Jitsu_Vaticano.html
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