“La fede viene prima della legalità”
Intervista
di S. Ecc. Mons. Bernard Tissier de Mallerais
della Fraternità San Pio X
concessa il 1 giugno 2012 al settimanale Rivarol
e pubblicata nel n° 3051 del 15 giugno 2012
Introduzione di Rivarol
Dieci anni fa abbiamo intervistato Mons. Tissier de Mallerais a proposito della pubblicazione della sua corposa biografia di Mons. Lefebvre, presso le edizioni Clovis: Marcel Lefebvre. Une vie [Si veda l'edizione italiana].
L’ex arcivescovo di Dakar aveva concesso, nel 1968, due anni prima di fondare la Fraternità San Pio X, una lunga intervista a Rivarol, che aveva fatto epoca.
In occasione della riedizione del suo lavoro: La strana teologia di Benedetto XVI, Ermenuetica di continuità o rottura, [Si veda la prima parte di questo studio, da noi tradotto] pubblicato dalle Editions du Sel, Couvent de la Haye aux Bonhommes, 49240 Avrillé, abbiamo interpellato nuovamente Mons. Tissier, in un momento in cui vengono alla luce delle gravi divisioni in seno alla Fraternità Sacerdotale San Pio X sulla questione di un accordo con Benedetto XVI.
In questa intervista, realizzata il 1 giugno, si può vedere che Mons. Tissier, nato nel 1945 e che è uno dei quattro vescovi consacrati dal prelato di Ecône il 30 giugno 1988, il solo di nazionalità francese, si oppone nettamente alla strategia di collegamento con Benedetto XVI condotta da Mons. Fellay.
Intervista
Rivarol: Si parla molto della “reintegrazione” imminente della Fraternità Sacerdotale San Pio X (FSSPX) nella «Chiesa ufficiale». Che ne è esattamente?
Mons. Tissier de Mallerais:
“Reintegrazione” è un termine falso. La Fraternità San
Pio X (FSSPX) non ha mai lasciato la Chiesa. Essa è nel cuore
della Chiesa. Laddove è la predicazione autentica della fede,
là è la Chiesa. Questo
progetto di “ufficializzazione” della FSSPX mi lascia indifferente. Noi
non ne abbiamo bisogno e la Chiesa non ne ha bisogno. Noi siamo
già al centro dell’attenzione, come un segno di contraddizione
che attira le anime nobili, che attira molti giovani sacerdoti malgrado
il nostro status di paria. Con la
nostra integrazione nell’orbita conciliare, si vorrebbe mettere la
nostra luce sotto il moggio. Questo statuto di prelatura
personale che ci si propone, analogo a quello dell’Opus Dei, è uno statuto per
uno stato di pace, ma attualmente nella Chiesa noi siamo in stato di
guerra. Sarebbe una contraddizione
voler “regolarizzare la guerra”.
Rivarol: Ma certuni nella Fraternità San Pio X pensano che questo sarebbe quantomeno una buona cosa. Non si sente in imbarazzo per questa situazione “irregolare”?
Mons. Tissier: L’irregolarità
non è la nostra. È quella di Roma. Una Roma modernista.
Una Roma liberale che ha rinunciato a Cristo Re. Una Roma che è già stata
condannata da tutti i papi fino alla vigila del Concilio.
D’altra parte, l’esperienza degli istituti sacerdotali che si sono
ricollegati alla Roma attuale, dice che a tutti, gli uni dopo gli
altri, compresi Campos e il Buon Pastore, è stato intimato di
accettare il Concilio Vaticano II. E si sa che fine ha fatto Mons.
Rifan, di Campos, che adesso non ammette più obiezioni alla
celebrazione della nuova Messa e che ha proibito ai suoi sacerdoti di
criticare il Concilio!
Rivarol: Cosa risponde a coloro che credono che con Benedetto XVI Roma sia cambiata?
Mons. Tissier: È esatto che
Benedetto XVI ha fatto alcuni gesti a favore della Tradizione.
Principalmente dichiarando che la Messa tradizionale non è mai
stata soppressa e secondariamente annullando nel 2009 la cosiddetta
scomunica che era stata emessa contro di noi in seguito alla nostra
consacrazione episcopale fatta da Mons. Lefebvre. Questi due gesti positivi hanno attirato su
Benedetto XVI delle pesanti lamentele da parte dell’episcopato. Ma il
Papa Benedetto XVI, comunque sia, resta modernista. Il suo
discorso programmatico del 22 dicembre 2005 è un credo
nell’evoluzione delle verità di fede a seconda delle idee
dominanti di ogni epoca. Malgrado i
suoi gesti favorevoli, la sua reale intenzione è quella di
integrarci nell’orbita conciliare, solo per condurci al Vaticano II.
L’aveva detto lui stesso a S. Ecc. Mons. Fellay, nell’agosto del 2005,
e una sua nota confidenziale, pubblicata fraudolentemente, lo ha
recentemente confermato.
Rivarol: Ma certuni pensano che Benedetto XVI, che viene dalla Baviera cattolica e che, com’essi credono, è «di una profonda pietà fin dalla giovinezza», ispiri fiducia. Lei, cosa risponde?
Mons. Tissier: È vero che
questo Papa è molto comprensivo. È un uomo amabile,
gentile, riflessivo, un uomo semplice ma di un’autorità
naturale, un uomo di decisione che ha risolto parecchi problemi nella
Chiesa con la sua energia personale. Per esempio, problemi di
moralità in questo o quell’istituto sacerdotale. Ma è
imbevuto del Concilio. Quando dice che la soluzione del problema della
FSSPX è uno degli impegni principali del suo pontificato, egli
non vede dove sta il vero problema. Si pone male. Lo vede nel nostro
cosiddetto scisma. Ora, il problema
non è quello della FSSPX, ma quello di Roma, della Roma
neomodernista che non è più la Roma eterna, che non
è più la maestra di saggezza e di verità, ma
è diventata fonte di errore a partire dal Concilio Vaticano II e
ancora oggi lo è. Quindi,
la soluzione della crisi potrà venire solo da Roma. Dopo
Benedetto XVI.
Rivarol: Allora, come vede la soluzione di questo disaccordo, da molti giudicato scandaloso, tra la FSSPX e Benedetto XVI?
Mons. Tissier: È vero che la
FSSPX è una «pietra dello scandalo» per coloro che
resistono alla verità (cfr. 1
Pt. 2, 8) e questo è un bene per la Chiesa. Se noi fossimo “reintegrati”, per
ciò stesso cesseremmo di essere la spina conficcata nel fianco
della Chiesa conciliare: il rimprovero vivente contro la perdita
della fede in Gesù Cristo, nella sua Divinità, nella sua
Regalità.
Rivarol: Ma, Monsignore, Lei ha scritto con i suoi due colleghi una lettera a S. Ecc. Mons. Fellay per rifiutare un accordo puramente pratico con Benedetto XVI. Quali sono le ragioni di questo rifiuto?
Mons. Tissier: La diffusione della
nostra lettera è dovuta ad una indiscrezione di cui non abbiamo
colpa. Noi rifiutiamo un accordo puramente pratico perché la
questione dottrinale è primaria. La fede viene prima della legalità.
Noi non possiamo accettare una legalizzazione senza che sia risolto il
problema della fede. Sottometterci adesso senza condizioni
all’autorità superiore imbevuta di modernismo, sarebbe esporci a dover disobbedire.
Dunque a che pro? Nel 1984, Mons. Lefebvre diceva: «non ci si pone sotto un’autorità
quando questa ha tutto il potere per demolirci». E credo
che questa sia saggezza. Io vorrei
che noi producessimo un testo che, rinunciando alle finezze
diplomatiche, affermi chiaramente la nostra fede e di conseguenza il
nostro rifiuto degli errori conciliari. Questo pronunciamento avrebbe
il vantaggio, primariamente di dire apertamente la verità al
Papa Benedetto XVI, che è il primo ad avere diritto alla
verità, e secondariamente di restaurare l’unità dei
cattolici tradizionali attorno ad una professione di fede combattiva e
non equivoca.
Rivarol: Alcuni credono che lo statuto della prelatura personale che vi si propone, vi garantirà sufficientemente da ogni pericolo di abbandono della battaglia della fede. Cosa risponde?
Mons. Tissier: È inesatto.
Secondo il progetto di prelatura, non saremmo liberi di impiantare
nuovi priorati senza il permesso dei vescovi locali e inoltre tutte le
nostre recenti fondazioni dovrebbero essere confermate da questi stessi
vescovi. Questo equivarrebbe quindi
ad asservirci del tutto inutilmente ad un episcopato globalmente
modernista.
Rivarol: Può precisarci questo problema di fede che Lei si augura vedere risolto per prima cosa?
Mons. Tissier: Volentieri. Si tratta, come diceva Mons. Lefebvre, del tentativo del Concilio Vaticano II di riconciliare la Chiesa con la rivoluzione, di conciliare la dottrina della fede con gli errori liberali. È lo stesso Benedetto XVI che l’ha detto nel suo colloquio con Vittorio Messori nel novembre del 1984: «il problema degli anni ’60 (dunque del Concilio) era l’acquisizione dei valori meglio maturati in due secoli di cultura liberale. Valori che, anche se nati fuori della Chiesa, possono trovare il loro posto – purché vagliati e corretti - nella sua visione. In questi anni si è adempiuto a questo compito» [Rapporto sulla fede. Vittorio Messori a colloquio con Joseph Ratzinger, Ed. Paoline, 2° ediz. 1985, p. 34] Ecco l’opera del Concilio: una conciliazione impossibile. «Quale conciliazione ci può essere fra la luce e le tenebre?», dice l’Apostolo, «quale intesa fra Cristo e Beliar?» (2 Cor. 6, 15). La manifestazione emblematica di questa conciliazione è la Dichiarazione sulla libertà religiosa. Al posto della verità di Cristo e del suo Regno sociale sulle nazioni, il Concilio ha messo la persona umana, la sua coscienza e la sua libertà. È il famoso «cambiamento di paradigma» che confessava il Cardinale Colombo negli anni ’80. Il culto dell’uomo che si fa Dio al posto del culto di Dio che si è fatto uomo (Cfr. Paolo VI, Discorso di chiusura del Concilio, 7 dicembre 1965). Si tratta di una nuova religione che non è la religione cattolica. Con questa religione noi non vogliamo alcun compromesso, alcun rischio di corruzione, perfino alcuna apparenza di conciliazione, ed è questa apparenza che fornirebbe la nostra cosiddetta “regolarizzazione”.
Che il Cuore Immacolato di Maria, immacolato nella sua fede, ci conservi nella fede cattolica…
Intervista raccolta da Jèrôme Bourbon
tratto da : http://www.unavox.it/Documenti/Doc0406_Interv_Tissier_1.6.12.html
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