mercoledì 13 marzo 2013

Habemus papam? Papa Francesco elezione di dubbia origine divina...

L'allora Cardinal Bergoglio oggi Papa Francesco si fece imporre le mani da carismatici protestanti, la sua elezione può mai essere... di origine divina ?

Il Cardinal Bergoglio si fa imporre le mani da carismatici protestanti

martedì 12 marzo 2013

Tradizione.biz riapre!

                        Tradizione.biz riapre! 


Tradizione.biz, dopo un anno di chiusura, l'8 Maggio 2013 riapre! Non sarà più un forum, ma un Portale di attualità (cattolicesimo, esteri, cultura e società e molto altro) e di formazione!
La battaglia continua....




 Pronti alla Buona Battaglia per Cristo Re.
 A noi la battaglia, a Dio la vittoria! 

domenica 10 marzo 2013

La FSSPX e la crisi nella Chiesa

La Fraternità San Pio X e la crisi nella Chiesa

 

 di don Régis de Caqueray

Una profonda ingiustizia

Il trattamento che la gerarchia della Chiesa cattolica infligge alla Fraternità Sacerdotale San Pio X, da più di quarant’anni fino ad oggi, deriva da una profonda ingiustizia.

Lo notiamo senza alcuna amarezza, perché ci ricordiamo dell’ottava beatitudine: «Beati i perseguitati per causa della giustizia, perché di essi è il regno dei cieli» (1). Ma il beneficio spirituale che noi speriamo derivi dalla nostra situazione, non deve impedirci di desiderare ardentemente che coloro che si sono persi desistano dall’errore. Per la salvezza di tutte le anime erranti, noi imploriamo il Cielo che risuoni ben presto il trionfo della verità insieme col rintocco a morte di questa ingiustizia.

Nell’attesa, la nostra cara Fraternità resta sempre emarginata perché si rifiuta «di seguire la Roma di tendenza neo-modernista e neo-protestante che si è manifestata chiaramente nel Concilio Vaticano II e dopo il Concilio, in tutte le riforme che ne sono scaturite» (2).
Ancora oggi, essa continua ad essere accusata dello stesso crimine; ancora oggi, basterebbe che essa apponesse la sua firma su una formula d’adesione alla riforma dottrinale del concilio e alla riforma liturgica della Messa, perché la sua reintegrazione fosse approvata. Perché ostinarsi a non apporla? Perché Mons. Fellay non ha raccolto la mano che Benedetto XVI gli ha teso in quest’anno 2012? E adesso il momento favorevole è passato, poiché egli non è più il Papa!
Perché Mons. Fellay non ha raccolto la mano che Benedetto XVI gli ha teso in quest’anno 2012?

Perché? Perché questo Papa obbligava la Fraternità a riconoscere la liceità della nuova Messa e il concilio Vaticano II come facente parte integrante della Tradizione.
È veramente necessario comprendere in profondità i motivi per i quali l’accettazione di tali condizioni ci è moralmente impossibile. Esse ci sottometterebbero alla nuova religione che noi abbiamo sempre combattuta e avvelenerebbero gravemente le nostre anime.

Vorremmo ridire qui perché il sottometterci all’una e all’altra di queste due condizioni è inconcepibile, perché ognuno tenga bene a mente i motivi di fondo che giustificano il perseverare su questa linea di cresta che segue la Fraternità.


Innanzi tutto, per quanto riguarda la nuova Messa, facciamo nostra la gravissima conclusione alla quale pervennero i cardinali Ottaviani e Bacci, ancor prima della sua promulgazione: «Essa rappresenta, sia nel suo insieme come nei particolari, un impressionante allontanamento dalla teologia cattolica della Santa Messa» (3).
La Fraternità rimane sulla scia di questo primo manifesto di protesta contro la nuova Messa. Essa afferma (4) in particolare che la nuova liturgia fa sparire il carattere propiziatorio del Sacrificio di Nostro Signore Gesù Cristo sulla Croce (5) e che questa cancellazione volontaria operata nella liturgia, costituisce un tradimento dello spirito della Sua divina oblazione. Il motivo più profondo della venuta del Figlio di Dio sulla terra per patire la Sua Passione, nella nuova Messa è cancellato. Mentre Egli si è incarnato per offrire Se stesso come vittima espiatoria ed è morto sulla Croce a causa dei nostri peccati, Dio «per placare Dio e rendercelo propizio» (6), la nuova Messa ha soppresso questa finalità propiziatoria del Sacrificio, che invece rappresentava la quintessenza dello spirito cattolico. Non bisogna quindi stupirsi se affermiamo che la nuova Messa, anche senza le particolari derive che spesso la caratterizzano in nome del principio di creatività liturgica, e anche quando è celebrata da un prete devoto, non può essere gradita a Dio. Non reagiamo in maniera emozionale a questa affermazione molte volte ripetuta da Mons. Lefebvre, ma cerchiamo di comprendere perché questa conclusione oggettiva si impone. Il nuovo rito non esprime più il Sacrificio redentore del nostro divino Salvatore, come si è svolto realmente sulla Croce, nonostante i suoi autori pretendano, per principio, di aver conservato questa fedeltà. Di conseguenza, questo nuovo rito inganna gravemente le anime, che pensano di assistere alla Messa rimasta sostanzialmente immutata, mentre in realtà si trovano alle prese con una liturgia che è stata distolta dal suo fine. Di nome la nuova liturgia è detta cattolica, ma per il suo contenuto, di fatto non lo è. Il colpo da maestro di Satana consiste nel fatto che oggi si ritiene cattolica una liturgia più vicina alla cena protestante che alla Messa cattolica.
Questo rito, indicato oggi come la forma ordinaria del rito romano, non solo non veicola più la religione cattolica, ma distilla una religiosità tutta umana, che solo a stento a menziona che l’uomo è innanzi tutto un povero peccatore e che il suo dovere  è di lottare senza posa contro le tre concupiscenze per conseguire la salvezza. In realtà, i testi della nuova Messa celebrano l’uomo e il suo lavoro sulla terra. Invano si cercherebbero le antiche orazioni, così frequenti nel Messale tradizionale, che invitavano i cattolici a disprezzare le cose della terra per consacrarsi a quelle del Cielo. Alla dimensione verticale dell’esistenza, la nuova Messa sostituisce una visione orizzontale, profana.
In realtà, sono rari i cattolici che rimangono per tutta la vita dei praticanti assidui della messa riformata. Essa è talmente desacralizzata, che gli uomini che vi cercano realmente Dio non riescono a trovarlo. Molti di loro, disgustati, hanno disertato i santuari riformati, perché appunto non vi hanno più ritrovano la religione della loro infanzia. Non sopportavano più questa esaltazione dell’uomo, spinta fino al punto di dimenticare il Figlio di Dio morto sulla Croce per salvarli. Capivano velatamente che questa Messa non trasmetteva più la religione che era stata loro insegnata.
Qual è stato il loro peccato? È una domanda che ci si può veramente porre. Cos’hanno fuggito? Una nuova religione che voleva velatamente imporsi alla loro coscienza senza dichiarare di essere nuova. Sono spesso queste persone che all’epoca avevano interrotto la pratica domenicale, ad aver conservato la fede, mentre le altre, impregnate Domenica dopo Domenica dei nuovi riti, sono purtroppo diventate adepti della nuova dottrina conciliare. A nuova liturgia... nuova religione!

Noi condanniamo l’equivocità di questa nuova Messa
Essa non esprime più il dogma cattolico. Certo, può essere compresa in maniera cattolica da un cattolico, ma può essere ugualmente compresa in maniera protestante da un protestante.

Com’è possibile una cosa del genere?
Si tratta di una sottile alchimia che passa per il cambiamento delle parole, dei gesti e di molti segni liturgici. Si tratta di edulcorare in maniera quasi sistematica le espressioni troppo apertamente cattoliche e di rimpiazzarle con altre, sufficientemente sfumate da permettere che i protestanti possano comprenderle anche secondo il loro intendimento. È così che si è diminuito il numero e si è attenuata la precisione dei simboli che esprimono i dogmi della presenza sacramentale, del rinnovamento del Sacrificio della Croce, del sacerdozio del ministro. Ormai, si insiste su una presenza solamente spirituale di Cristo tra gli uomini; sull’Ultima Cena, pasto nel corso del quale fu spezzato e diviso il pane; sul ruolo dell’assemblea che celebra con il sacerdote. È assolutamente stupefacente, dal punto di vista storico, constatare come tutte le distorsioni operate dagli artefici della nuova Messa assomiglino, quasi  a confonderle, con quelle operate dai riformatori protestanti per mutare la Messa cattolica nella cena protestante.

La nuova Messa non può quindi essere gradita a Dio, perché è ingannevole, nociva ed equivoca: «Essa non può essere oggetto di una legge che, come tale, obblighi tutta la Chiesa. Infatti, la legge liturgica ha per oggetto il proporre con autorità il bene comune della Chiesa e tutto ciò che è richiesto. La nuova Messa di Paolo VI, che rappresenta la privazione di questo bene, non può essere l’oggetto di una legge: essa è, non solo malvagia, ma illegittima, a dispetto di tutte le apparenze di legalità di cui s’è potuta circondare e di cui ancora la si circonda» (7).
Ci rifiutiamo quindi di ammettere come legittima questa liturgia nociva, che si oppone alla gloria di Dio e alla salvezza delle anime. Riteniamo invece la nuova messa illegittima e illecita. Coloro che si santificano assistendovi, lo fanno malgrado essa e non grazie ad essa. Un giorno sarà bandita per sempre dai santuari cattolici.

È per questo che, seguendo Mons. Lefebvre, raccomandiamo vivamente ai nostri fedeli di non assistervi mai attivamente, anche se certe convenienze permettono di esservi con una presenza passiva. Non è certo perché vi si assiste una volta che si possa perdere la fede e quindi non è certo questa la ragione essenziale della nostra opposizione alla nuova messa. Il motivo più profondo per il quale sconsigliamo ai cattolici di assistere alla nuova messa è costituito dal fatto che essa può solo essere sgradita a Dio, così che, in tutta evidenza, i fedeli non devono mai partecipare ad un culto che dispiaccia a Dio, neanche per far piacere ai loro familiari.

Il Vaticano II in fondo ha accarezzato l’utopia che vuole la Chiesa e il mondo darsi la mano perché l’umanità cammini lungo strade nuove
Quanto al concilio Vaticano II, oggi è riconosciuto e abbondantemente provato, anche in ambiti molto distanti dalla Fraternità, che è stato pilotato da dei teologi novatori, la cui preoccupazione non era minimamente quella di esporre la fede. Sono numerosi quelli che l’hanno confessato e ne hanno menato vanto alla fine del concilio. Durante le quattro sessioni del Vaticano II, ciò a cui essi hanno mirato per quanto hanno potuto, è una riconciliazione ufficiale fra la Chiesa e il mondo moderno. Le dichiarazioni conciliari, soggette alla loro forte influenza e spesso ispirate o scritte da costoro, hanno cercato di dissimulare le verità più deplorate dallo spirito moderno, come se ne avessero vergogna e non vi credessero più (8). Invece questi stessi testi hanno espresso ammirazione per il mondo moderno, decantandolo. Ne hanno adottato, non solo il linguaggio e le impostazioni intellettuali, ma le idee stesse, che sono quelle della rivoluzione francese, della dichiarazione dei diritti dell’uomo e delle filosofie moderne. Da allora, il messaggio ufficiale della Chiesa si trova in collusione con lo spirito del mondo.
In definitiva, il Vaticano II ha accarezzato l’utopia che vuole la Chiesa e il mondo darsi la mano perché l’umanità cammini lungo strade nuove. Il vecchio antagonismo di tutti i secoli passati fra la Chiesa e il mondo è finito! Il dialogo, elevato al rango di nuova virtù, permetterebbe ormai di superare i disaccordi, di comprendersi e di arricchirsi mutualmente. Che si tratti del nuovo significato dato alla libertà religiosa e all’ecumenismo o dell’invenzione del dialogo interreligioso e della democratizzazione delle strutture ecclesiali, ci troviamo al cospetto di deviazioni insidiose e ripetute, dedotte dalle filosofie liberali e introdotte nei testi conciliari. Queste nozioni pervertite hanno poi agito a loro volta come delle metastasi su gli altri testi che rimanevano tradizionali.

Il nostro fondatore non esitava a scrivere: «… È più che certo che il Concilio è stato sviato dal suo fine da un gruppo di congiurati e che è impossibile per noi partecipare a questa congiura, nonostante ci siano molti testi soddisfacenti di questo Concilio. Perché i buoni testi sono serviti per fare accettare i testi equivoci, subdoli, corrotti» (9).
Egli scriveva anche: «Che, in modo più o meno generale, quando il Concilio ha introdotto delle innovazioni, ha sconvolto la certezza delle verità insegnate dal Magistero autentico della Chiesa, in quanto appartenenti definitivamente al tesoro della Tradizione» (10).
Aveva davvero ragione il progressista cardinale Suenens, quando scriveva con soddisfazione: «Il Vaticano II è stato il 1789 nella Chiesa».
Questo paragone così verace aiuta a capire perché si è obbligati a riparlare sempre del Concilio. Se la rivoluzione francese costituisce l’avvenimento che ha sconvolto da cima a fondo le istituzioni del nostro paese e passo dopo passo di tutti i paesi del mondo, il concilio Vaticano II costituisce un capovolgimento della stessa portata nella storia della Chiesa. È impossibile comprendere la storia della Chiesa degli ultimi cinquant’anni senza riferirsi ai testi del concilio, che ne forniscono i principi e i grandi orientamenti. L’implosione che si è prodotta da allora nel seno della Chiesa, non potrà terminare fin quando ci si resterà attaccati.
Il più grande disastro che si sia mai prodotto nella storia della Chiesa, non potrà avere fine, fintanto che non si rinuncerà ad ispirarsi a questo concilio, per ritornare alla Tradizione della Chiesa.
Mons. Lefebvre ha anche notato: « “Io accuso il Concilio” mi sembra la risposta necessaria a “io scuso il Concilio” del cardinale Ratzinger! Mi spiego: io sostengo, e lo proverò tra poco, che la crisi della Chiesa si riconduce essenzialmente alle riforme postconciliari emanate dalle autorità più ufficiali della Chiesa e in applicazione della dottrina e delle direttive del Vaticano II. Nulla dunque di marginale o sotterraneo nelle cause essenziali del disastro conciliare!» (11).
Questa riflessione di buon senso dice molto semplicemente che la migliore interpretazione del concilio ci è data dai fatti stessi che l’hanno seguito. Tutte le sapienti contorsioni nelle quali si dibattono certi ermeneuti dei testi conciliari, per salvarli dall’errore, non sono né serie, né utili. I loro tentativi di discolpare il concilio ad ogni costo si ritrovano immediatamente screditati da un ritorno al reale che è crudele. I fatti non mentono. Il campo di rovine è intorno a noi, ci camminiamo in mezzo mentre le ultime mura finiscono di crollare. In avvenire, il discredito graverà sempre più fortemente su coloro che si ostinano a credere che le parole lenitive che si dicono, bastino per eliminare i mali che esistono. Nel far così, costoro fanno del male, poiché allontanano ancora il momento in cui si accetterà di risalire coraggiosamente alle cause profonde dei flagelli che affliggono la Chiesa, per permetterle di rivivere.
Comunque sia, la Fraternità si rifiuta con forza di ammettere che il concilio Vaticano II appartenga alla Tradizione della Chiesa; al contrario, essa dice che su molti punti questo concilio le si oppone diametralmente. È la ragione per la quale il nostro Superiore Generale ha respinto le condizioni avanzate dal Papa per la nostra reintegrazione canonica. Non appena le ha conosciute, Mons. Fellay ha fatto avere a Roma il «non possumus» della Fraternità. Noi gli esprimiamo la nostra riconoscenza per questo rifiuto coraggioso che egli ha indirizzato al Papa. D’altronde crediamo che Benedetto XVI non ne sia rimasto del tutto sorpreso, perché la nostra opposizione alla nuova Messa e al concilio si trova, da sempre, al centro della battaglia della Fraternità.
Iniziamo stasera la nostra novena perché il nuovo papa sia un papa tradizionale.

Per quel che ci riguarda, continuiamo dunque come prima.
Non conosciamo l’avvenire. In Francia è evidente che le cose si disintegrano molto presto. Il cattolicesimo vi si trova sempre più minoritario ed emarginato. I cattolici si contano: ben presto tutti finiranno col conoscersi! Le condizioni imposte ai cattolici da uno Stato ostile diventano brutali, avvilenti, perniciose. Si avvertono dei segnali di persecuzione, provenienti da un governo tra i cui ministri sono molti i settari massoni, particolarmente del Grande Oriente di Francia.
Come reagiremo se in avvenire sopraggiungeranno delle circostanze ancora più difficili e se finirà per prodursi la caccia ai battezzati? Crediamo sia possibile che cominci una caccia all’uomo cattolico. Non sarebbe la prima volta nel nostro paese. Ve ne sono state altre in epoche in cui la Chiesa era anche ben più forte di oggi. Preghiamo gli uni per gli altri per rimanere fedeli alla fede cattolica fino all’ultimo istante della nostra esistenza. Preghiamo perché, se Dio ci facesse l’onore di chiederci la testimonianza del nostro sangue, possiamo ottenere la grazia di non rifiutarglielo, ma di darglielo con riconoscenza.
Soprattutto non crediamo che uno spirito di conciliazione col mondo sarebbe suscettibile di evitare questo conflitto. La storia di tutte le rivoluzioni dimostra che i liberali non sono al sicuro con le concessioni che fanno alla rivoluzione. Essi perdono dapprima il loro onore, ma molto spesso non salvano la loro pelle, a cui tengono particolarmente. La rivoluzione infatti è insaziabile e trova sempre insufficiente ciò che le offrono i liberali. Essa vuole vederli strisciare ai suoi piedi. Ma quando si trovano ridotti così, si dice ancora insoddisfatta e non resiste al piacere di finire quei vinti che disprezza.



Evidentemente non ce lo auguriamo, come speriamo che le prospettive che evochiamo non si producano; ma, in totale serenità interiore, preferiamo evocare la possibilità di queste cose, non per impaurire, ma perché ciascuno si applichi più intensamente alla preghiera e a tutti i suoi doveri. Certamente ci saranno elargite le grazie per domani. È dunque sterile spaventarsi oggi per le croci ignote che dissemineranno gli anni a venire.
Non dimentichiamolo, è  proprio la preghiera, la preghiera sempre più profonda e sempre più generosa; la preghiera che viene dal più profondo dell’animo, essa sola è capace di allontanare queste prospettive, di accorciare i giorni di sventura, di addolcire i castighi divini.
In quest’anno 2013, vi invitiamo specialmente a supplicare San Giuseppe, Patrono della Chiesa universale, perché ponga fine alla crisi della Chiesa. Pensiamo che, ancora oggi in Francia, se i vescovi tornassero ad essere dei vescovi cattolici e coraggiosi, nel nostro paese si avrebbe un immenso slancio religioso, un po’ paragonabile a quello che si produce attualmente in Russia, sfortunatamente nell’ortodossia. Che la fede rinasca, e la Francia rinascerà e si ritroverà rigenerata. Per ottenere queste risorse divinamente feconde, alla nostra Francia basta ritornare ai suoi fonti battesimali.

Il prossimo 9 marzo, al santuario di Cotignac, il Distretto di Francia sarà consacrato a San Giuseppe da Mons. Fellay

Il prossimo 9 marzo, al santuario di Cotignac, il Distretto di Francia sarà consacrato a San Giuseppe da Mons. Fellay. Riunitevi con tutti quelli che lo possono. Poi, il 19 marzo prossimo, sarà consacrata tutta la Fraternità. Vorremmo invitarvi a moltiplicare specialmente i sacrifici e le preghiere in suo onore. Offrire ogni giorno qualcosa di se stessi in onore di San Giuseppe: ecco il programma che vi proponiamo per l’anno 2013! Egli vi colmerà delle sue benedizioni. Invece di privare di onore Nostro Signore o la Santa Vergine, siamo certi che tutto ciò che noi faremo per lui, li riempirà di gioia. Se il Bambino Gesù non ha trovato di meglio su questa terra che affidarsi a questa donna, benedetta fra tutte le donne, perché fosse sua madre, e a quest’uomo, benedetto fra tutti gli uomini, perché fosse suo padre, possiamo stare certi che non potremmo trovare per noi stessi protettori migliori di questi due santi Sposi, preoccupandoci di non separarli nella nostra devozione e amandoli appassionatamente.

Coraggio, cari amici e benefattori: quando i tempi sono duri, Dio fa scendere sulla terra tante di quelle grazie che si finirà (quasi!) per dimenticare perfino la durezza di questi tempi.

Lettera agli amici e benefattori n° 80, marzo 2013

Don Règis de Cacqueray, Superiore del Distretto di Francia
Fonte: La Porte Latine


NOTE

1 – Matteo, 5, 3
2 – Dichiarazione di Mons. Lefebvre del 21 novembre 1974.
3 - Cardinali Ottaviani e Bacci, lettera di presentazione del «Breve esame critico del Novus Ordo Missae» del 5 giugno 1969.
4 - Mons. Lefebvre in «La messe de toujours» p. 257 e ss.
5 - Mons. Lefebvre in «La messe de toujours » p. 270: «Sono stati eliminati dal nuovo ordo tutti i testi che affermavano in maniera molto chiara il fine propiziatorio, fine essenziale del sacrificio della Messa. Vi si trovano ancora una o due leggere allusioni, è tutto. Ora, questo è stato fatto perché il fine propiziatorio è negato dai protestanti. Le preghiere che esprimevano esplicitamente l’idea di propiziazione, come quelle dell’offertorio e quelle pronunciate dal sacerdote prima della comunione, sono state soppresse.»
6 - Catechismo del Concilio di Trento, ed. Cantagalli, 1981, p. 292.
7 - Don Jean-Michel Gleize: Vatican II en débat, p. 63.
8 - Negli ambiti molto diversi, citiamo l’esistenza dell’inferno, la condanna del comunismo, la mediazione universale della Santa Vergine Maria…
9 - Mons. Lefebvre, Accuso il Concilio, ed. Ichthys, Albano, 2002, p. 45.
10 - Mons. Lefebvre, Lettera del 20 dicembre 1966 al Card. Ottaviani.
11 - Mons. Lefebvre, Lo hanno detronizzato, ed. Amicizia Cristiana, Chieti, 2009, p. 241.


fonte: http://www.sanpiox.it/public/index.php?option=com_content&view=article&id=898:la-fraternita-san-pio-x-e-la-crisi-nella-chiesa&catid=88&Itemid=69

Comunicato di Don Régis de Cacqueray



Comunicato del Superiore del Distretto di Francia:messa punto a proposito di una lettera anonima

 Il Superiore del Distetto di Francia della Fraternità Sacerdotale San Pio X
è Don Régis de Cacqueray

Il comunicato è stato pubblicato sul sito internet del Distretto di Francia della FSSPX:
La Porte Latine




Una lettera che si pretende firmata da 37 sacerdoti del Distretto di Francia, è stata pubblicata alcuni giorni fa su un sito anonimo.
Dopo aver preso tempo per procedere a delle verifiche, oggi siamo in grado di affermare che si è trattato di una bufala.

Se sfortunatamente è vero che alcuni sacerdoti si sono effettivamente lasciati andare a dei comportamenti anonimi e gravemente sovversivi contro l’autorità della Fraternità, fino a volere ottenere le dimissioni dei suoi Superiori, essi rappresentano solo un numero molto piccolo.

Tre di essi hanno dovuto essere immediatamente rimossi dal loro apostolato.
Noi esprimiamo il nostro dolore tanto più profondo per quanto questa attitudine non si fonda su alcunché di oggettivo (*). Questi sacerdoti si sono lasciati andare ad una sfiducia irragionevole contro l’autorità della Fraternità, mentre questa non fa altro che continuare nel suo ruolo di mantenimento e di difesa della fede in questa grave crisi che attraversa la Chiesa.

In questo mese di marzo, in cui la Fraternità San Pio X si consacra a San Giuseppe, essa ripone più che mai la sua fiducia nell’aiuto soprannaturale che il Patrono della Santa Chiesa non ha mai mancato di procurarle.

Comunque vada questa prova, la Fraternità continua serenamente il suo lavoro apostolico, nella fedeltà alla linea assegnatale da S. Ecc. Mons. Lefebvre, suo fondatore, per restaurare tutto in Cristo.

Nota
* - Le immutate posizioni della Fraternità sono state ricordate in particolare da Mons. Fellay nella conferenza fatta a Nantes il 1 marzo scorso e dal mio editoriale della lettera agli amici e benefattori del 3 marzo.


tratto da:http://www.unavox.it/Documenti/Doc0497_Comunicato_di_Don_de_Cacqueray_7-3-13.html






domenica 3 marzo 2013

Lettera aperta a Mons Fellay di 37 sacerdoti della FSSPX

La lettera è stata pubblicata sul sito internet francese La Sapiniere



Eccellenza,

come Lei ha scritto recentemente: «i legami che ci uniscono sono essenzialmente soprannaturali». Tuttavia, Lei si preoccupa di ricordarci, a giusto titolo, che anche le esigenze della natura non devono essere dimenticate. «La grazia non distrugge la natura». Tra queste esigenze vi è la veridicità. Ora, noi siamo obbligati a constatare che una parte dei problemi che abbiamo dovuto affrontare in questi ultimi mesi, derivano da una grave mancanza di questa virtù.

Dieci anni fa, Lei diceva come Mons. Tissier de Mallerais:
«Mai accetterò di dire: “Nel concilio, se lo si interpreta bene, quanto meno, lo si potrebbe far corrispondere alla Tradizione, lo si potrebbe trovare accettabile”, Mai accetterò di dirlo. Sarebbe una menzogna e non è permesso dire una menzogna, anche se si trattasse di salvare la Chiesa.» (Gastines, 16 settembre 2012).
Ma dopo, Lei è cambiato, fino a scrivere:
«L’intera Tradizione della fede cattolica dev’essere il criterio e la guida per la comprensione degli insegnamenti del Concilio Vaticano II, il quale a sua volta chiarisce certi aspetti della vita e della dottrina della Chiesa, implicitamente presenti in essa e non ancora formulati. Le affermazioni del Concilio Vaticano II e del Magistero Pontificio successivo, relative alla relazione fra la Chiesa cattolica e le confessioni cristiane non cattoliche, devono essere comprese alla luce dell’intera Tradizione» (Saint-Joseph-des-Carmes, 5 giugno 2012).

A Brignole, nel maggio 2012, Lei ha parlato di quel documento che «conveniva a Roma», ma che «bisogna spiegare tra noi perché vi sono delle dichiarazioni che sono talmente sul filo del rasoio che se si è mal disposti o a seconda che si indossano lenti nere o rosa, le si legge così o cosà».
Dopo di che, Lei si è giustificato nel modo seguente:
«Se possiamo accettare di essere “condannati” per il nostro rifiuto del modernismo (che è vero), non possiamo accettare di esserlo perché aderiamo alle tesi sedevacantiste (cosa che è falsa), è questo che mi ha condotto a redigere un testo “minimalista” che teneva conto di uno solo dei due dati e, per questo, si è potuto prestare a della confusione tra di noi.» (Cor Unum 102).
«Questo testo, quando l’ho scritto, evidentemente pensavo che fosse sufficientemente chiaro, che fossi riuscito a sufficienza ad evitare le… - come si dice? – le ambiguità. Ma gioco forza… diciamo che i fatti sono quelli che sono, io sono obbligato a vedere che questo testo era diventato un testo che divideva noi, nella Fraternità. Questo testo, evidentemente, lo ritiro.» (Ecône, 7 settembre 2012).

Lei è dunque un incompreso che, per condiscendenza, ritira un testo molto delicato che degli spiriti limitati non sono stati in grado di comprendere. Questa versione dei fatti è abile, ma è giusta? Ritirare un documento e ritrattare un errore dottrinale non sono formalmente la stessa cosa. Per di più, invocare le «tesi sedevacantiste» per giustificare questo documento «minimalista» che «conveniva a Roma», sembra molto fuori posto quando per altro verso, da più di tredici anni, Lei ha autorizzato un confratello a non citare più il nome del papa nel canone, dopo avergli confidato che comprendeva la sua scelta di fronte alla scandalosa firma di un documento comune tra Cattolici e Protestanti.

Mons. Tissier de Mallerais confidava a un confratello che questa «Lettera del 14 aprile» non dovrebbe mai essere pubblicata, perché, secondo lui, Lei sarebbe «definitivamente screditato e probabilmente costretto alle dimissioni». Il che conferma il caritatevole avvertimento di Mons. Williamson: «per la gloria di Dio, per la salvezza delle anime, per la pace interna della Fraternità e per la sua salvezza personale, Lei farebbe meglio a dimettersi da Superiore Generale, piuttosto che escludermi.» 
 
 (Londra, 19 ottobre 1012).
 
 

Eppure, Lei ha preso la cosa come un’aperta, pubblica provocazione.

Ma quando Mons. de Galarreta pronunciò, il 13 ottobre a Villepreux, questa frase incredibile, che si può ascoltare, ma non leggere, poiché la trascrizione in linea de La Porte Latine l’ha omessa:
«È quasi impossibile che la maggioranza dei Superiori della Fraternità – dopo una franca discussione, un’analisi approfondita di tutti gli aspetti, di tutti i pro e i contro – è impensabile che la maggioranza si sbagli in una materia prudenziale. E se per caso accade l’impossibile, ebbene tanto peggio, faremo in ogni caso ciò che pensa la maggioranza»,
a Menzingen, il Segretario Generale, don Thouvenot, scrisse che egli «esponeva con distacco e sottolineava gli avvenimenti dello scorso giugno».

Com’è che la Fraternità è potuta cadere così in basso?
Mons. Lefebvre scriveva: «Il giorno del giudizio, Dio ci chiederà se siamo stati fedeli e se abbiamo obbedito a delle autorità infedeli. L’obbedienza è una virtù relativa alla Verità e al Bene. Ma se essa si sottomette all’errore e al male, non è più una virtù, ma un vizio.» (Mons. Leebvre, lettera del 9 agosto 1986).
E don Berto, nel 1963, scriveva:
«si deve guardare più in là della punta del proprio naso e non immaginare che si ha diritto allo Spirito Santo come fosse a comando, quando si è in Concilio».

Alla conferenza del 9 novembre 2012, a Parigi, un Priore Le ha chiesto:
«all’uscita da ritiro sacerdotale, due confratelli mi hanno accusato di essere in rivolta contro la sua autorità, perché avevo manifestato soddisfazione a proposito del testo di don Cacqueray contro Assisi III. Come mai?»
E la sua risposta è stata:
«Ignoro che vi siano simili cose nella Fraternità. Sono stato io che ho chiesto questa dichiarazione. D’altronde, essa è stata pubblicata con la mia autorizzazione. Io sono del tutto d’accordo con don Cacqueray

Ora, durante il ritiro delle suore a Ruffec, Lei ha confidato a sei confratelli di non essere d’accordo col testo di don Cacqueray. E d’altronde, Lei si era lamentato con lui per i rimproveri che il cardinale Levada, per venti minuti, gli aveva rivolto sull’argomento. E ha spiegato che se gli aveva dato l’autorizzazione per la pubblicazione era per non sembrare parziale… ma che personalmente ne disapprovava il contenuto, che giudicava eccessivo.

Chi è, dunque, Monsignore, che utilizza dei mezzi «sostanzialmente sovversivi»? Chi è il rivoluzionario? Chi nuoce al bene comune della nostra società?

Il 9 novembre 1012, a Parigi, abbiamo sentito un confratello che Le chiedeva:
«Faccio parte di quelli che hanno perso la fiducia! Quante linee di condotta ci sono oggi nella Fraternità…»

E Lei ha risposto:
«È una grave ferita. Abbiamo subito una grande prova. Ci vorrà del tempo».
E davanti a questa risposta sfuggente, un altro Priore Le ha chiesto.
«Ritiri la sua risposta ai suoi tre confratelli vescovi…».
La sua risposta fu ancora nebulosa:
«Sì, quando la rileggo, mi sembra che vi siano dei piccoli errori. Ma in effetti, per aiutarvi a comprendere, sappiate che quella lettera non fu una risposta alla loro, ma alle difficoltà che avevo avuto con ciascuno di essi separatamente. Io ho molta stima di Mons. Williamson, perfino dell’ammirazione, egli ha dei colpi di genio nella lotta contro il Vaticano II, è una grossa perdita per la Fraternità e giunge nel momento peggiore…».

Ma chi è il responsabile della sua esclusione?
In privato, Lei dice molte cose: «ero in guerra», «Roma mente»… ma non ha mai pubblicato il minimo comunicato ufficiale per denunciare queste pretese menzogne.
Peggio.
Recentemente, a proposito dell’ultimatum del 22 febbraio, Lei ha ufficialmente avallato la menzogna del Vaticano.

Il suo linguaggio è divenuto interminabilmente confuso. Questa maniera ambigua di esprimersi non è lodevole, come scriveva il Padre Calmel:
«Ho sempre avuto in orrore le espressioni molli e sfuggenti, che possono essere tradotte in tutti i sensi e alle quali ognuno può far dire ciò che vuole. E mi sono tanto più in orrore per quanto si coprono dell’autorità ecclesiastica. Queste espressioni mi sembrano soprattutto un’ingiuria diretta a Colui che ha detto: «Io sono la Verità… Voi siete la luce del mondo… Che il vostro parlare sia sì sì, no no…»

Monsignore, Lei e i suoi Assistenti siete stati capaci di dire tutto e il contrario di tutto, senza timore del ridicolo.

Don Nély, nell’aprile 2012, di passaggio da Toulouse, dichiarò a una dozzina di confratelli che
«se le relazioni dottrinali con Roma sono arenate è perché i nostri teologi sono stati troppo impetuosi»,
eppure ad uno di questi teologi egli aveva detto:
«Avreste dovuto essere più incisivi».

Lei stesso, il 9 novembre 2012, ci ha detto:
«Vi faccio ridere, ma penso veramente che noi, i quattro vescovi, siamo dello stesso avviso».
Mentre sei mesi prima Lei aveva scritto loro:
«sulla questione cruciale tra tutte, quella della possibilità di sopravvivere nelle condizioni di un riconoscimento della Fraternità da parte di Roma, noi non arriviamo alle stesse vostre conclusioni.»

Nella stessa conferenza del ritiro a Ecône, Lei ha dichiarato:
«Vi confesso che facendo ciò che ho fatto non ho pensato di andare contro il Capitolo [del 2006].»
Poi, pochi momenti dopo, a proposito del Capitolo del 2012:
«se è il Capitolo che l’ha deciso, è una legge che vale fino al prossimo Capitolo».
Ora, quando si sa che nel marzo del 2012, senza attendere il prossimo Capitolo, Lei aveva distrutto la legge di quello del 2006 (nessun accordo pratico senza soluzione dottrinale), ci si interroga sulla sincerità della dichiarazione.

Uno dei suoi confratelli nell’episcopato, a Villepreux, ci invitava a
«non drammatizzare. Il dramma sarebbe abbandonare la fede. Non bisogna chiedere una perfezione che non è di questo mondo. Non bisogna cavillare su queste questioni. Bisogna vedere se l’essenziale c’è o no

È vero, Lei non è diventato maomettano (1° comandamento), non s’è sposato (6° comandamento), Lei ha semplicemente malmenato la realtà (8° comandamento). Ma, quando le ambiguità riguardano la battaglia per la fede, l’essenziale continua a sussistere?
Nessuno Le chiede una perfezione che non è di questo mondo. È facilmente concepibile che ci si sbagli di fronte al mistero d’iniquità, poiché anche gli eletti potranno essere ingannati, ma nessuno può accettare un linguaggio duplice.
Certo, la grande apostasia, predetta dalla Scrittura, può solo turbarci. Chi può pretendere di essere indenne dalle trappole del diavolo? Ma perché ingannarci? Certo, ad ogni peccato, misericordia, ma dove sono gli atti che esprimono l’esame di coscienza, il pentimento e la riparazione degli errori?

Davanti ai Priori di Francia, Lei ha detto:
«sono stanco delle diatribe sulle parole».
È qui che sta forse il problema.
Chi Le impedisce di andare a riposarsi a Montgardin e di gustarvi le gioie della vita riservata?
Roma ha sempre usato un linguaggio chiaro. Mons. Lefebvre anche. Anche Lei in passato. Ma oggi Lei introduce una confusione identificando indebitamente «la Chiesa cattolica, la Roma eterna» con «la Chiesa ufficiale, la Roma modernista e conciliare».

Ora, in nessun caso Lei può cambiare la natura della nostra battaglia. Se non vuole più compiere questa missione, Lei, insieme ai suoi Assistenti, deve rinunciare all’incarico che la Fraternità vi ha affidato.

In effetti, don Pfluger dice pubblicamente di soffrire per l’irregolarità canonica della Fraternità. Egli ha confidato a un confratello, nel giugno 2012, di
«essere stato scosso dai colloqui dottrinali».
Uscendo dalla sua conferenza a Saint-Joseph-des-Carmes, diceva in maniera sprezzante a chi voleva capire:
«E dire che c’è ancora chi non comprende che bisogna firmare!».

Il 29 aprile 2012, a Hattersheim, dopo aver confessato che «gli avvenimenti trascorsi hanno provato che le differenze concernenti la questione dottrinale non possono essere colmate», egli faceva suo il timore di «nuove scomuniche».
Ma come si possono temere le scomuniche dei modernisti, che sono già scomunicati dalla Chiesa?

Don Nély, in occasione di un pranzo per i benefattori, a Suresnes, annunciava che
«Il Papa aveva fissato un termine al rapporto con la Fraternità, chiedendo il riconoscimento della Messa e del Vaticano II»
e aggiungeva che
«Mons. Fellay stava sulla sua piccola nuvola ed era impossibile farlo scendere».
Ma don Nély, non ha firmato anch’egli la mostruosa lettera ai tre vescovi?
Non è stato lui stesso «sulla sua piccola nuvola», quando, di passaggio a Fanjeaux, ha detto alla Superiora, inquieta a proposito dell’ultimatum di Roma: «Non si preoccupi, con Roma va tutto bene, i loro canonisti ci aiutano a preparare gli statuti della prelatura…».

Può dire, in coscienza, che Lei e i suoi Assistenti vi siete assunte le vostre responsabilità?
Dopo tante dichiarazioni contraddittorie e nefaste, come pretendete ancora di governare?
Chi ha nuociuto all’autorità del Superiore Generale, se non Lei stesso e i suoi Assistenti?
Come può pretendere di parlarci di giustizia, dopo averla lesa?
«Quale verità può uscire dalla bocca di un mentitore?» (Eccli. 34, 4).
Chi ha seminato la zizzania?
Chi è stato sovversivo usando la menzogna?
Chi ha scandalizzato sacerdoti e fedeli?
Chi ha mutilato la Fraternità diminuendo la sua forza episcopale?
Può esserci una carità senza l’onore e la giustizia?

Scrivendo così pubblicamente, noi sappiamo che ci si rimprovererà di non aver rispettato le forme. E allora la nostra risposta sarà quella del Padre de Foucauld al Generale Laperrine: «Entrando nella vita religiosa, avevo creduto che avrei consigliato soprattutto la dolcezza e l’umiltà; col tempo, credo che manchi più spesso la dignità e la fierezza» (Lettera del 6 dicembre 1915).
A che pro scriverLe in privato, quando si sa che un confratello coraggioso e lucido ha dovuto attendere quattro anni per avere una lettera da Lei e non per leggervi, poi, delle risposte, ma delle ingiurie.
Quando un Superiore di Distretto aspetta sempre una nota di ricevimento della sua lettera di 17 pagine, inviata alla Casa Generalizia, sembra che Menzingen non abbia altri argomenti che il volontarismo: «sic volo, sic iubeo, sit pro ratione voluntas».

Monsignore, ciò che viviamo in questo momento è odioso.
La rettitudine evangelica è andata perduta: sì, sì, no, no.
Il Capitolo del 2012 non ha affatto chiarito la situazione.
Don Faure, un capitolare, ci ha recentemente messo in guardia pubblicamente contro «Le lettere e le dichiarazioni di questi ultimi mesi degli attuali Superiori della Fraternità».
Un altro capitolare ha confidato ad un confratello: «Bisogna riconoscere che il Capitolo è bloccato. Oggi si è per l’OK ad una Fraternità libera nella Chiesa conciliare. Sono rimasto sconvolto per il livello di riflessione di certi capitolari».

I suoi interventi e quelli dei suoi Assistenti sono ingannevoli e lasciano credere che avete attuato solo un passo indietro strategico.

Alla fine del 2011, un Assistente con un fratello “accordista” cercarono di stimare il numero dei sacerdoti che in Francia avrebbero rifiutato un accordo con Roma. Il loro risultato fu di sette. Menzingen si rassicurò.
Nel marzo 2012, Lei ha detto confidenzialmente che il signor Guenois del Figaro era un giornalista informato molto bene e che la sua visione delle cose era molto giusta.
Ora, il suo articolo diceva: «Che lo si voglia o no, il Papa e Mons. Fellay vogliono un accordo non dottrinale, ma ecclesiale».

Nel maggio 2012, Lei ha confidato ai Superiori dei Benedettini, dei Domenicani e dei Cappuccini: «Sappiamo che ci sarà una rottura, ma si andrà fino in fondo». Nel giugno l’accordo ecclesiale fu impossibile.
Tuttavia, nell’ottobre 2012, di passaggio al Priorato di Bruxelles, dei preti diocesani, invitati da don Wailliez, Le hanno manifestato il loro desiderio di vedere un accordo fra Roma e la Fraternità, e Lei li ha rassicurati con queste parole: «sì, sì, si farà ben presto». Erano passati tre mesi dal Capitolo di luglio.

Monsignore, Lei ha il dovere di giustizia di dire la verità, di riparare alle menzogne e di ritrattare gli errori. Lo faccia e tutto tornerà in ordine. Lei sa che André Avellin è diventato un gran santo, nel XVI secolo, dopo aver subito l’onta di una menzogna che aveva pronunciato per debolezza. Noi vogliamo semplicemente che Lei divenga un gran santo.

Eccellenza, non vogliamo che la storia si ricordi di Lei come dell’uomo che ha sfigurato e mutilato la Fraternità Sacerdotale San Pio X.

Stia certo, Eccellenza, della nostra totale fedeltà all’opera di Mons. Lefebvre.

28 febbraio 2013
Trentasette sacerdoti del Distretto di Francia

articolo tratto da: Unavox